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Alì, che ha perso le braccia e tutta la sua famiglia

Publie le dimanche 6 avril 2003 par Open-Publishing

01.04.2003
Alì, che ha perso le braccia e tutta la sua famiglia
di Leonardo Sacchetti

"Nome : Alì. Cognome : Smain. Età : 12 anni. Luogo di residenza : quartiere
popolare di Baghdad. Attuale residenza : ospedale Al Kindi, nella
capitale
irachena. Una storia come altre, nel senso che anche le altre sono
tragiche
come quella di Alì Smain.

Lunedì pomeriggio, qualche bomba « intelligente » presumibilmente
sganciata da
un B-52, le « fortezze volanti » dell’aviazione americana, ha colpito
alcuni
« obiettivi strategici » nella periferia meridionale di Baghdad. « La
famiglia
Smain abitava a Baghdad, ma avevano deciso di fuggire verso sud per
evitare
i bombardamenti, fermandosi nella campagna a una quindicina di
chilometri
dalla capitale », continua a raccontare, come fosse una litania, il
dottor
Osama Salé dell’ospedale Al Kindi. Alle porte della capitale, sotto un
cielo
colmo di bombardieri e di strisce bianche della contraerea, la famiglia
Smain aveva scelto di fermarsi vicino a un ponte, quello di Dialia. Si
sono
fermati lì, per dormire, senza pensare che anche un ponte già mezzo in
rovina poteva trasformarsi in un obiettivo per gli strateghi
statunitensi
accampati a Doha, nel Qatar. Il ponte di Dialia, però, è diventato la
tomba
per quasi tutta la famiglia Smain.

Nel reparto dell’ospedale Al Kindi, dove lavora il dottor Salé, è stato
portato d’urgenza il piccolo Alì, unico superstite della sua famiglia.
« La
sua storia - racconta il medico - è la più tragica che abbia mai
visto ». Nel
bombardamento, infatti, hanno trovato la morte il padre, la madre e i
due
fratelli di Alì.
« Come se non bastasse - continua il dottor Salé - questo bambino ha
perso
anche altri otto parenti che vivevano nella casa dello zio, proprio
davanti
a casa di suo padre ». Davanti al lettino di Alì, per tutta la giornata
di
lunedì, è stata una continua processione di medici iracheni e
occidentali
(alcuni volontari di ong greche), increduli davanti a quel che rimaneva
del
bambino. Inutile fare giri di parole per nascondere l’orrore : Alì è
sdraiato
nel suo letto, con gravi ustioni su tutto il corpo. Ha perso le
braccia ; il
suo corpo è sovrastato da una gabbia di metallo per evitare il contatto
tra
la sua pelle carbonizzata e le lenzuola di cotone che tentano di
proteggerlo. Ad Alì, il dottor Salé non ha avuto il coraggio di dirgli
la
verità : che lui è l’unico sopravvissuto della sua famiglia. « E poi - ha
commentato commosso il medico dell’ospedale - non credo che il bambino
possa
sopravvivere ». « Non solo depositi militari ma anche luoghi di rilevante
importanza strategica saranno considerati obiettivi bellici », avevano
fatto
sapere la scorsa settimana i generali inglesi e statunitensi dal centro
operativo di Doha, nel Qatar. Qual era l’obiettivo strategico del
bombardamento di lunedì pomeriggio ? Verrebbe da rispondere, senza
pensarci
troppo : la casa della famiglia Smain. Ma così si rischia di cadere nel
qualunquismo di tutte le guerre. E allora, per rispondere a questa
domanda,
basta sbirciare l’unica foto che Francisco Peregil, dello spagnolo « El
País », è riuscito a scattare al piccolo Alì Smain. Qual era
l’obiettivo ? Gli
spagnoli che ieri, comprando il quotidiano « El País », si sono posti
questa
domanda quasi sicuramente non si sono risposti. Non era più importante.
Oltre alle tremende ferite, oltre ai medicamenti sulle ustioni, oltre a
quelle garze bianche a coprire l’assenza delle braccia, sono gli occhi
di
Alì che ci trascinano direttamente sotto le bombe che piovono a
Baghdad.
Sono due occhi scuri, semiaperti. Persi e ignari che, per lui, oltre l’
inferno che ha già vissuto, dovesse sopravvivere alle ferite delle
bombe
« liberatrici », non ci sarà alcuna pace.
Francisco Peregil è riuscito a vedere anche le foto scattate dal
soccorso
iracheno nel luogo del bombardamento dove è stata sterminata la
famiglia
Smain. Ma di queste foto, il giornalista, è riuscito solo a raccontare
alcune immagini. Troppo sangue. « Braccia, teste, gambe... tutto un
groviglio
di sangue - ripercorre a memoria quel che ha visto il giornalista de
"El
País", inviato a Baghdad - tutto quanto talmente deformato che sembrava
un’
imitazione iper-reale del quadro "Il grido" ».

« ... E questo voglio dire al popolo iracheno : non vi lasceremo a
terra... Ma
vi faremo saltar per aria ». Macabre, le due vignette che Steve Bell ha
disegnato per il quotidiano inglese « Guardian » solo pochi giorni fa. Un
monito che, dopo quasi due settimane di guerra, si fa sempre più reale :
il
conflitto in Iraq provoca decine di morti civili. Tra essi, anche
parecchi
bambini.

Bell, sarcastico vignettista del giornale britannico (di area
progressista
ma critico nei confronti di questa Seconda Guerra del Golfo), non ha
usato
mezzi termini per disegnare la guerra di Blair e di Bush contro l’Iraq ;
tra
le parole sopra riportate, Bell ci ha piazzato due disegni : il primo,
con un
Blair dagli occhi fuori dalle orbite, nervoso (tra il paranoico e l’
impaurito), nel secondo, un bambino iracheno riversato in una pozza di
sangue. Il suo stesso sangue, dopo un qualche bombardamento « alleato ».

Uscendo dall’ospedale di Al Kindi, il racconto di Alì si confonde con
tutte
le sirene di quelle ambulanze provenienti dai vari quartieri di
Baghdad.
Barelle rattoppate che sbucano dalle vetture, con un carico umano
distrutto.
Sono ancora le parole di Peregil a tracciare il quadro, "Il grido", di
una
popolazione in ginocchio : « Una bambina si avvicina e in un inglese
zoppicante dice : "Se voi lottate per la pace, fate qualcosa perché
tutto
questo si fermi. Cosa abbiamo fatto io e la mia sorellina per meritarci
tutto ciò ?" ». C’è chi a Baghdad, oltre alle bombe, da stasera aspetta
anche
una risposta."