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REPORT DA BAGHDAD N.47

Publie le lundi 7 avril 2003 par Open-Publishing

Questo giorno non è come gli altri a Baghdad. La percezione che
qualcosa di
irreversibile stia per accadere non è solo nell’aria, ma nelle strade,
sulle facce degli iracheni. La si può toccare con mano, è visibile.

La linea telefonica, raggiunta libera dopo così tante ore da non
sperarci
più, mi porta un racconto di una Baghdad alla fine. O, all’inizio di
qualcosa che segnerà per sempre la città e la popolazione.

Migliaia di soldati sono ormai ammassati nelle periferie nord e sud
della
capitale. Per tutta la notte sono ricomparsi i camion scoperti pieni di
milizie in divisa che correvano da un lato all’altro del fiume.
Le bombe ed i missili hanno continuato senza sosta a cadere, esplodere,
incendiare e distruggere quartieri residenziali, viali alberati, ancora
l’università ed ancora un ’ala del museo nazionale.

Eppure la notte passata, la città era piena di gente che camminava e
correva lungo i muri, gli argini dei fiumi, persino sui tetti della
città
vecchia. La città vecchia e tutta l’area metropolitana di Baghdad sono
rimaste al buio, un buio pesto da fa paura.

Chi mi parla sta preparando le sue cose, chiudendo lo zaino e le borse
per
trasferirsi altrove. Non ci si fida più a restare nei piccoli alberghi,
preferiscono concentrarsi il più possibile insieme. Tanto per una
questione
di sicurezza, quanto per allentare la tensione e la paura che sale fino
alla gola.

Al mattino presto, gli uomini in borghese, armati, che spesso
pattugliavano
durante la notte le strade del centro della capitale sono stati visti
equipaggiati con delle maschere anti-gas allacciate in vita. Non tutti
le
avevano. Ma, mi riferiscono, l’impressione è stata terribile.

La casa dove sono concentrati i miei contatti, non è lontana da Shaab,
dove
si trovava il mercato dilaniato dai missili americani.
I vetri delle finestre sono stati sostituiti con assi di legno ed ogni
cosa
che si trovava in qualche modo in bilico è stata posata a terra.
Sotto la casa si trova un grande magazzino pieno di uva passita che
sparge
tutto intorno un profumo quasi inebriante fin dentro le stanze della
casa.
Il propprietario è riuscito proprio ieri mattina a far andare via dalla
città la sua famiglia, fino alla fattoria del fratello che si trova
poco
fuori Baghdad. Egli è convinto che lì siano più al sicuro. Ma lui non
lascia la casa ed il suo magazzino nel quale faceva seccare e lavorava
l’uva per le pasticcerie mischiandola ad altra frutta secca. Preparava
macedonie in barattolo e, pur se formalmente proibito, distillava una
acquavite meritatamente rinomata.

Di bocca in bocca giungono le notizie della grande battaglia
all’aeroporto
durata tutta la notte e niente affatto finita. Notizie a volte
euforiche,
"l’abbiamo rimandati indietro, gli americani", a volte, il più delle
volte
"100 morti, anzi 300 per le bombe degli invasori".
La battaglia dell’aeroporto si è sentita fin dentro la città. Si è
sentita
e si è vista, con quelle esplosioni che non avvenivano più a terra, ma
dieci, quindi ci metri sopra i palazzi e le infrastrutture. Era come se
le
bombe ed i missili esplodessero emettendo una fortissima luce
giallo/verde
che illuminava per chilometri tutto quanto era intorno.
Con un rumore, un fragore, un boato esplosivo mai sentito prima da
quanto
era enormemente forte.

Proprio per il suo lavoro con la frutta, il padrone di casa conservava
in
dei grandi vasconi di ferro ed in altri di pietra tantissima acqua. Che
è
servita fino a due giorni fa per cucinare, per bere dopo essere
bollita, ed
anche per lavarsi. Stamane l’ha indicata ai reportes che sono con lui,
gli
ha tirato un sapone e degli asciugamani profumati di bucato. Non se lo
sono
fatti ripetere due volte e l’un con l’altro aiutandosi con un secchio
si
sono fatti una doccia.

Baghdad appare cone "fortificata" : una trincea, un avamposto
dove trovano posto cinque milioni di cittadini spaventati. Non più
impegnati a spazzare dai detriti, dei danni provocati dalle bombe e dai
missili, i marciapiedi e gli ingressi delle abitazioni, ma a porre uno
su
l’altro, uno accanto all’altro, sacchi di sabbia grandi e piccoli come
fragili ripari da prima linea contro l’arrivo della guerra fin dentro
le
case, i vicoli e le grandi strade della capitale. Srotolare metri di
nastro
adesivo da incrociare sui vetri dei negozi e delle case. I alcuni casi,
mi
dicono, perfino murare, letterlamente, gli ingressi delle abitazioni
dove
tantissime famiglie si sono rifugiate come prigioniere delle loro
stesse
case, con le ultime scorte di cibo e acqua per aspettare questa notte
che
deve arrivare. Una notte lunghissima.

La casa dove si trovano i reporters, è stata come "spostata"al suo
interno,
più simile ad un luogo, il più sicuro possibile, di osservazione e di
attesa. I letti rovesciati con i materassi a terra incrociati con i
cuscini
dei divani come a formare un grande letto, come quello che fanno
bambini
quando giocano o hanno paura.
I tappeti di Fahez, così si chiama il padrone di casa, sovrapposti
anch’essi a terra nella stanza più grande, così da poter mangiare ed
ascoltare i notiziari della radio seduti o semisdraiati sul "morbido".
Formaggio di capra, carne di agnello e di pollo cotta in padella, con
spezie piccanti e verdure. La dispensa di Fahez era piena, ma ora che
la
famiglia è "al sicuro" vuol dividerla con quegli stranieri che
considera un
po’ matti, che ancora sono lì a Baghdad per raccontare una guerra che
ora è
davvero vicina. Come se non bastasse la guerra delle bombe e dei
missili
che continuano a squarciare la città.
La guerra è ora proprio vicina. La guerra con il rumore dei cannoni,
dei
fucili, dei cingoli dei carri armati, con il sangue lungo le strade.La
guerra della resistenza dei cittadini e della popolazione contro gli
invasori.
Ma la guerra sarà già stanotte ? Chiede con insistenza Fahez ai
reporters,
mentre puliscono le verdure e non sanno davvero cosa rispondergli.
Stanotte ? Si guardano tra loro e non riescono a trovare neppure le
parole
per una risposta.

Che la notte sia leggera.
r.