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report da bagdad 49 - 50 - 51

Publie le lundi 7 avril 2003 par Open-Publishing

report 49

La sottile linea rossa che divide i cittadini di Baghdad dalle armate

anglo-americane passa subito dietro l’università, e come l’ansa di un
fiume
attraversa l’area del Saddam International Airport fino alle caserme
di
addestramento della Guardia Repubblicana nell’area sud della
capitale.

La voce al telefono mi giunge chiara, asciutta, senza modulazioni che
possa
interpretare come stato d’animo di paura o di agitazione. Una voce
che mi
parla di guerra. Una voce dalla guerra.

Mi chiede di diffondere questa notizia : "siamo in sei attualmente a
Baghdad, in contatto tra noi. Conosciamo benissimo i rischi che
stiamo per
affrontare, ma siamo organizzati e consapevoli di come muoverci. I
luoghi
di riferimento che ci siamo dati sono in ordine : l’hotel "Palestine",
l’
hotel "Sheraton", gli uffici dell’Ambasciata russa, e la Nunziatura
Apostolica.
Tutti luoghi, questi, che siamo in condizione di raggiungere e dove
saremo
in grado di trovare riparo ed assistenza, qualora non ci trovassimo
nelle
condizioni minime di sicurezza per affrontare la notte o gli eventi
che
potranno accadere nei giorni prossimi a Baghdad".

La città da questa mattina è completamente militarizzata. Migliaia di

soldati sono schierati nelle piazze e lungo le strade principali.
Cannoni
di diverso diametro sono montati su camion, autoblindo e su piccole e
agili
fuoristrada. Trincee sono state scavate lungo gli argini del Tigri.
Persino sui tetti di molti edifici si possono notare soldati ed armi.

Batterie di missili, montate sui mezzi militari, si muovono
lentamente
all’interno della città.
Impossibile raggiungere l’università, la si può vedere solo da
lontano e
solo la parte degli edifici risparmiati dai bombardamenti dei giorni
scorsi. Posti di blocco misti, polizia ed esercito, bloccano tutte le

strade, anche le lunghe "scorciatoie" spesso usate dai reporters
indipendenti per spostarsi senza problemi.
Gruppi di civili, (forse "feddayn") organizzati in "squadrette" di
una
cinquantina di persone ciascuna pattugliano su e giù le principali
arterie
della città e spesso si uniscono ai militari, per poi allontanarsi
subito dopo.

In tutta la città manca la luce, anche i piccoli "bazaar" che fino a
ieri
resistevano aperti sono ora chiusi. Sprangati, coperti di assi di
legno e
lamiere di ferro inchiodate sulle porte e sulle vetrine.

Due colonne di automobili, furgoni e pick-up sono incolonnate in
direzione
nord, tentando di raggiungere le grandi autostrade che salgono in
direzione
di Giordanie e Siria.
Interi nuclei familiari, 6/8 ed anche 10 persone tra uomini, donne,
bambini
ed anziani si stringono, pigiati gli uni sulgli altri negli abitacoli
dei
veicoli. Sul tetto, e spesso legato con le corde sopra il cofano
posteriore, tutto quanto sono riusciti a portare con loro.
Valige, tappeti, materassi, quadri, piatti e pentole, abiti. Ed anche

televisori, videoregistratori, radio e ventilatori.
Su di un pick-up Toyota, sulla cima di una pila di indumenti ed
oggetti,
una coperta decorata a tinte forti copre una grande gabbia in legno e
ferro
piena di pappagalli coloratissimi.

Una lunga fila di iracheni muove nella stessa direzione delle auto,
ma a
piedi, con la schiena curva piegata dal peso di un trasloco
innaturale che
fa penzolare le braccia in basso ed in avanti come a cercare aria e
spazio.
Tenuti, trascinati per mano molti, tantissimi bambini stupefatti ed
impauriti.
Nessuno di loro sa esattamente dove andare, quale direzione prendere,
dove
arriverà mai a posare quel carico spaventoso legato con corde e
cinghie al
proprio corpo.

Alle 19.15 ora italiana, mi riferiscono che neppure un soldato
anglo-americano od un mezzo militare dell’esercito d’occupazione è
penetrato, e quindi presente, all’interno dell’area urbana di
Baghdad.
Sulla battaglia dell’aeroporto di questa notte e di questa mattina si

rincorrono voci incontrallabili. Molti cittadini parlano di oltre
cento
soldati invasori uccisi dalla resistenza irachena nell’area
dell’aeroporto.
Le notizie che si raccolgono in città sostengono che il Saddam
International Airport è tuttora sotto il controllo dell’esercito
iracheno.

Nessun corridoio umanitario è stato aperto per soccorerre la
popolazione :
quella in fuga, con migliaia di persone abbandonate a loro stessi, e
la
stragrande maggioranza dei cinque milioni di abitanti la capitale
chiusi,
rannicchiati nelle case, artigianalmente fortificate, a dividersi
quanto
resta nelle dispense per poter mangiare e bere.
Negli ospedali i ricoverati sono stati concentrati nei piani bassi e
e nei
sottoscala, privi di medicine e cure sanitarie, alla luce dei lumi ad
olio,
assistiti solo dagli straordinari medici ed infermiere iracheni.

E’ la seconda notte d’assedio questa che Baghdad è costretta ad
affrontare
senza che nessun Governo, oppure il Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni
Unite, l’Unione Europea, e neppure il Parlamento Europeo
abbiano alzato un dito, un grido, un allarme, un appello concreto per

aiutare la popolazione irachena, per cercare di salvare milioni di
uomini
donne e bambini intrappolati da un’esercito invasore che ha
unilateralmente
dichiarato una guerra illegale, ingiusta e crudele.

E con questa frase, colta negli ultimi secondi della comunicazione
telefonica prima che si interrompesse, avverto che la voce asciutta e
secca
che avevo colto pochi minuti prima è come incrinata, mossa da un
brivido di
sdegno e di orrore. Ma anche di paura. Una paura condivisa e vissuta
con i
cittadini di Baghdad in questa lunga notte d’assedio.

Che la notte sia leggera.
r.

(fine.)

report 50

5.4.03. "Aeroporto di Bagdad".

di Rosarita Catani
da Shafa Badran
(Amman)
Giordania

L’aeroporto di Bagdad è di nuovo in mano agli iracheni a seguito di
un
operazione compiuta da "fedayn". Sono entrati all’interno
dell’aeroporto
carichi di tritolo e si sono fatti saltare in area.
Si vedono le immagini dei carri armati americani distrutti.
Le persone scendono per strada, saltano sui carri armati americani e
cantano inni di vittoria.
Gli americani sono ad Abu Greb a 40 Km da Bagdad.
Vedo le immagini della capitale irachena. Strade distrutte, case
distrutte.
"Guardate, guardate - grida uno uomo ai giornalisti mi hanno
distrutto la
casa, era tutto quelo che avevo."
Un’altra persona intervistata dice : "Loro gli americani dicono
che noi
non li amiamo io dico perché. Il perché è evidente ci hanno ucciso i
nostri
figli, hanno ammazzato la nostra storia ed adesso vogliono prendere
la
nostra terra".
Ancora bombardamenti. Ad Al Musal , vicino Bagdad non si conosce
ancora
l’entità dei morti. Si vede il fumo nero. Scende una pioggia di
cenere.
A Basra nuovi bombardamenti, colpite 8 case, 51 sono i morti.
Alle porte della città si vedono soldati americani che perquisiscono
uomini
e donne.
Un uomo piange ! Vede che i soldati perquisiscono la moglie e la
figlia.
Sono vestite in modo tradizionale. I soldati mettono le mani
all’interno
dei loro vestiti, toccano le parti più intime. Lui si sente impotente

dinanzi a questa scena e grida "Kalas" Basta basta.
Se per una donna europea questo è umiliante, per una donna araba è
una
violenza inaudita.
Ancora rastrellamenti. Sfondano le porte delle case a calci. Entrano,

cacciano le persone fuori di casa..
Mio Dio, non so se questo è consentito.
Sono entrati in una casa. Le persone dormivano. Hanno preso degli
uomini li
hanno incappucciati con sacchi di plastica. Gli hanno legato mani e
piedi.
Incaprettati. Li buttano fuori a calci e gli puntano il fucile alla
testa.
Mi sento impotente anch’io dinanzi a tutto questo.
La televisione araba non fa altro che lanciare appelli per gli aiuti
umanitari in Iraq. Lanciano sport ogni cinque minuti. Hanno bisogno
di
sangue e medicine subito.

report 51

5.4.03. "Aeroporto di Bagdad".

di Rosarita Catani
da Shafa Badran
(Amman)
Giordania

L’aeroporto di Bagdad è di nuovo in mano agli iracheni a seguito di
un
operazione compiuta da "fedayn". Sono entrati all’interno
dell’aeroporto
carichi di tritolo e si sono fatti saltare in area.
Si vedono le immagini dei carri armati americani distrutti.
Le persone scendono per strada, saltano sui carri armati americani e
cantano inni di vittoria.
Gli americani sono ad Abu Greb a 40 Km da Bagdad.
Vedo le immagini della capitale irachena. Strade distrutte, case
distrutte.
"Guardate, guardate - grida uno uomo ai giornalisti mi hanno
distrutto la
casa, era tutto quelo che avevo."
Un’altra persona intervistata dice : "Loro gli americani dicono
che noi
non li amiamo io dico perché. Il perché è evidente ci hanno ucciso i
nostri
figli, hanno ammazzato la nostra storia ed adesso vogliono prendere
la
nostra terra".
Ancora bombardamenti. Ad Al Musal , vicino Bagdad non si conosce
ancora
l’entità dei morti. Si vede il fumo nero. Scende una pioggia di
cenere.
A Basra nuovi bombardamenti, colpite 8 case, 51 sono i morti.
Alle porte della città si vedono soldati americani che perquisiscono
uomini
e donne.
Un uomo piange ! Vede che i soldati perquisiscono la moglie e la
figlia.
Sono vestite in modo tradizionale. I soldati mettono le mani
all’interno
dei loro vestiti, toccano le parti più intime. Lui si sente impotente

dinanzi a questa scena e grida "Kalas" Basta basta.
Se per una donna europea questo è umiliante, per una donna araba è
una
violenza inaudita.
Ancora rastrellamenti. Sfondano le porte delle case a calci. Entrano,

cacciano le persone fuori di casa..
Mio Dio, non so se questo è consentito.
Sono entrati in una casa. Le persone dormivano. Hanno preso degli
uomini li
hanno incappucciati con sacchi di plastica. Gli hanno legato mani e
piedi.
Incaprettati. Li buttano fuori a calci e gli puntano il fucile alla
testa.
Mi sento impotente anch’io dinanzi a tutto questo.
La televisione araba non fa altro che lanciare appelli per gli aiuti
umanitari in Iraq. Lanciano sport ogni cinque minuti. Hanno bisogno
di sangue e medicine subito.
Davanti a miei occhi vi è solo distruzione e morte.

(fine.)