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Due miliardi spesi nell’inferno dell’Iraq

Publie le lunedì 25 luglio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Governi

di Silvana Pisa*

Dal giugno del 2003 a tutto il 2005 il costo ufficiale della missione Antica Babilonia è di circa un 1 miliardo e duecentomila euro per la parte militare e di circa novantadue milioni di euro per la parte umanitaria: già questa proporzione - meno di un decimo - la dice lunga sull’ambiguità della nostra missione sempre intitolata negli atti legislativi “Missione umanitaria e di ricostruzione in Iraq”. A queste cifre vanno però aggiunti ulteriori costi per gli stipendi, per l’addestramento specifico per i reparti destinati all’Iraq, per l’usura dei mezzi impiegati in zona operazioni, per le attività di supporto in Italia e nel teatro operativo. Alla fine il costo reale aumenta del 70 per cento. Vediamo come.

Cominciamo dagli stipendi: le somme stanziate coprono soltanto le indennità aggiuntive di missione, ma non includono i trattamenti base. Il monte stipendi speso per i circa 3.000 militari presenti in Iraq ammonta a circa 48 milioni di euro ogni sei mesi: in due anni e mezzo fanno un totale di 240 milioni. Un costo da considerare, perché la decisione di strutturare le forze armate su 190 mila uomini è stata presa valutando questo livello di impegno internazionale.

Uno schieramento così massiccio di uomini all’estero ha ripercussioni d’altra parte sull’operatività delle caserme e dei reparti rimasti in Italia, rendendo necessario il ricorso al richiamo di riservisti, agli straordinari, anche all’outsourcing. Sono altri 50 milioni di euro.

Preparare i reparti per le missioni significa fargli svolgere attività molto intense nei mesi precedenti l’invio, il che di fatto raddoppia gli uomini direttamente impegnati per la missione: un costo ulteriore di circa 100 milioni di euro.

L’usura dei mezzi. Le forze armate hanno circa 5000 mezzi di vario genere in Iraq, che costano 9.250.000 euro al mese per funzionare. L’uso in condizioni operative e ambientali estreme comporta una maggiore usura che si può valutare in un maggior costo del 20%. Una spesa aggiuntiva mensile, dunque, di circa 2 milioni di euro, un totale di 60 milioni nei trenta mesi di missione.

Il supporto in Italia, dalla logistica, alle telecomunicazioni, al comando e controllo;: almeno altri 500 uomini impegnati, con mezzi e materiali. Altri 30 milioni di euro complessivi da calcolare. Ne deriva che il costo totale dei due anni e mezzo della missione Antica Babilonia è quindi di 1 miliardo e 772 milioni di euro.

Ma il prezzo di gran lunga maggiore pagato è quello umano. Sono sinora caduti 32 militari e civili, morti per atti ostili o per cause accidentali, sempre comunque troppi. Per non parlare delle vittime altrui, prime tra tutte quelle irachene, per lo più civili uccisi dai bombardamenti americani prima, e poi durante le loro normali attività operative. E ancora le vittime della guerra civile irachena, le circa 7.000 persone uccise dai quasi 1.000 kamikaze. Un bagno di sangue inutile e crudele che da più di due anni quotidianamente si svolge nel devastato scenario iracheno che - secondo i calcoli più recenti - raggiunge il numero di 25.000 vittime irachene. A questi vanno aggiunti i morti delle truppe occupanti: 1759 americani, 92 inglesi, 16 ucraini, 14 polacchi, 19 spagnoli, e 24 di altri paesi.

Nel prezzo pagato per l’occupazione irachena c’è dell’altro: le violazioni sistematiche dei diritti umani, le perquisizioni illegali, la distruzione di intere città: Ramadi, Samarra, Tall-Afar, Falluja. Quest’ultima ha visto ben 36.000 abitazioni danneggiate di cui 2.000 bruciate, 3.100 rase al suolo, 2.000 fabbriche e piccole aziende distrutte, devastate anche moschee, ospedali, scuole. In attesa di risarcimenti, 31 mila abitanti di Falluja vivono accampati fuori dalla città. Sono numeri e fatti che restituiscono l’orrore di una guerra illegittima e insensata. E quale è stato il “ricavo” per l’equilibrio mondiale, quale il vantaggio per il nostro paese? Il mondo è più sicuro da quando si è sollevato il coperchio del vaso di Pandora iracheno?

Il ministro Martino sul quotidiano “La Stampa” per giustificare la permanenza del nostro contingente in Iraq afferma: «Abbiamo un ruolo positivo e lo dimostra il fatto che a Nassyria la partecipazione al voto è stata alta». Peccato che - secondo quanto ci ha detto nel briefing il generale della Folgore Costantino durante una recente visita di parlamentari a Nassiriya - manchi un’anagrafe e non si sappia nemmeno il numero degli abitanti della provincia di Dhi Qar! Il che la dice lunga sulla regolarità di un voto, che per l’Iraq nel suo complesso è stato comunque positivo per la partecipazione anche se boicottato dalla componente sunnita. Ma la situazione - lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni - è molto lontana dalla normalizzazione e la nostra missione “umanitaria di stabilizzazione e di ricostruzione in Iraq” è abbastanza opaca.

In un contesto di instabilità, il lavoro che il nostro contingente (preparato, capace, composto da “belle persone”) riesce a svolgere consiste, in base alla scala da 0 a 100 fornitaci nel briefing, di 70 per l’attività di sorveglianza sul territorio, di 45 per le scorte, di 35 sorveglianza ai presidi fissi e di 30 per le attività umanitarie. Queste si svolgono quando le condizioni di sicurezza lo permettono. Consistono in un ambulatorio da campo per visite “veloci” che viene portato nei villaggi - l’ospedale attrezzato che svolge un ottimo lavoro è invece nel presidio di Camp Mittica - e nella distribuzione di generi alimentari di prima necessità. Quando abbiamo chiesto ai militari che ci accompagnavano con quale criterio venivano scelti i villaggi in cui andare per la distribuzione, non ci hanno saputo rispondere: secondo il bisogno? Il grado di povertà? O secondo le richieste degli sceicchi locali e delle nuove autorità provinciali recentemente elette e accusate di corruzione dai primi? In questo caso si tratterebbe di una forma morbida di “clientela” per prevenire possibili ostilità, nello stile Usa di «conquistare le menti e i cuori» inventato senza esito da Robert Mcnamara nei confronti della popolazione vietnamita: versione moderna delle perline e degli specchietti distribuiti dai conquistadores col crocifisso in mano nell’America Latina del XVI° secolo. Comunque la si veda, il contesto odierno è lontano dalla stabilizzazione. Certo, si stanno addestrando le nuove forze armate e le forze di polizia, oggi sono riaperti i reclutamenti per chi apparteneva alla polizia baathista che era stata disciolta due anni fa: disfare e rifare. È questo il leit-motiv stile gambero della ricostruzione degli occupanti. Non ne può uscire nulla di buono. Perchè non fare quello che da tempo si propone: la pacificazione con i resistenti non terroristi, in una conferenza che non li veda esclusi; un calendario per il ritiro di tutte le truppe che sancisca il diritto del popolo iracheno di autodeterminarsi e di rifiutare l’occupazione (tutti i partiti, nei programmi elettorali delle scorse elezioni, prevedevano il ritiro degli occupanti); l’assegnazione alle Nazioni Unite di un ruolo effettivo, unica garanzia per una reale stabilizzazione e pacificazione.

* deputata Ds nella commissione Difesa

http://www.unita.it/index.asp?SEZIO...