Home > Katrina affonda Bush
Il presidente rientra dalle vacanze e si fa finalmente vedere negli Stati colpiti dall’uragano. Ma stampa e opposizione lo attaccano
Gli americani non gli perdonano i riflessi troppo lenti
di Stefania Podda
«Come osa comprare scarpe quando migliaia di persone stanno morendo o hanno perso le loro case?». Bella domanda. Condoleezza Rice se l’è sentita rivolgere in un lussuoso negozio di scarpe di New York, dove era poco opportunamente entrata per acquisti mentre la sua amministrazione veniva accusata di latitanza. L’aneddoto riportato dalla stampa Usa - pur marginale - rende bene la percezione che gli americani hanno del modo in cui il presidente e la sua squadra stanno gestendo il disastro di New Orleans.
Gestione pessima e pessima scelta dei tempi. Solo giovedì Bush ha messo fine alle sue vacanze texane e - a quattro giorni dal passaggio di Katrina - si è deciso a farsi vedere. «Non vedo l’ora di incontrare la gente sul posto - ha detto ai giornalisti prima di partire -. Voglio rassicurare le popolazioni delle zone colpite e il paese intero che metteremo a disposizione i fondi necessari e faremo in modo che la situazione torni sotto controllo». Poi è salito sull’Air Force One per un sopralluogo dell’area colpita dall’uragano, negli stati di Mississippi, Alabama e Louisiana. Un tour a più tappe, con il presidente che si fa riprendere in maniche di camicia mentre ascolta compito e assorto il racconto dei governatori o mentre dà una pacca sulla spalla a un vigile del fuoco impegnato a spiegargli l’entità dei danni.
Difficile che la tardiva trasferta gli faccia recuperare i danni all’immagine rimediati in questi giorni. Il suo indice di popolarità ha registrato l’ennesimo record negativo, la stampa non gli ha risparmiato nulla, mettendo l’accento sull’inadeguatezza della risposta del governo all’emergenza. Il "New York Times" gli ha dedicato un editoriale dal titolo «Aspettando un leader», ieri il Daily News gli ha rimproverato di fare come Nerone che suonava la cetra mentre Roma bruciava.
D’altronde quella sulla lentezza dei riflessi era una critica che Bush si era sentito rivolgere anche l’11 settembre del 2001quando la sua risposta all’America terrorizzata era arrivata con un ritardo poco giustificabile, dimenticato poi solo per amore di patria. Ma allora la minaccia era esterna e compattava l’America. Ora la rabbia della popolazione di questi Stati rischia di avere un costo politico molto alto per i repubblicani.
Il presidente ha cercato di difendersi attaccando. «I ritardi e l’inefficienza con cui sono stati portati i soccorsi - ha detto - sono inaccettabili. Ci sono molte persone che stanno lavorando duramente e voglio ringraziarle per i loro sforzi, ma lo ripeto: i risultati sono inaccettabili».
Giudizio condiviso dalla maggioranza dell’opinione pubblica americana che però incolpa della situazione il governo federale. Il 59 per cento dei cittadini sentiti dall’istituto demoscopico "Survey Usa" conferma le accuse di ritardi e inefficienze nei soccorsi, affermando che l’amministrazione è venuta meno ai suoi doveri e non ha fatto abbastanza.
Intanto il Senato ha approvato lo stanziamento iniziale di 10 miliardi e mezzo di dollari in aiuti straordinari per fare fronte alla crisi. Esattamente quanto chiesto dalla Casa Bianca, alla quale però non ha risparmiato critiche. L’opposizione democratica ha accusato la presidenza di aver sottovalutato le dimensioni di quello che si è presto rivelato come il peggior disastro naturale nella storia degli Stati Uniti. Ma anche i repubblicani si sono trovati in imbarazzo nell’imbastire una difesa d’ufficio.
E ora a Bush tocca anche affrontare uno smacco non indifferente: gli Stati Uniti - ha fatto sapere il portavoce della Casa Bianca, Scott McClellan - accetteranno tutte le offerte di assistenza che verranno dall’estero. E le offerte sono arrivate numerose, la comunità internazionale si è mobilitata per questo pezzo di America in ginocchio e il segretario generale dell’Onu ha lanciato un appello: «Il mondo aiuti gli Stati Uniti».