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Fausto Bertinotti, sfida da comunista "Seicentomila voti e governerò"

Publie le martedì 13 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Partiti Elezioni-Eletti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Rifondazione prevede un milione e 200 mila elettori alle urne. "E io voglio vincere, non solo partecipare". Una campagna in grande stile, firmata dai creativi che hanno portato Vendola al trionfo a sorpresa in Puglia. "Palazzo Chigi comunque per me non è il traguardo massimo. Come Nenni, penso che al più possiamo condizionare il potere degli altri"

Nel suo ufficio i disegni da bambino del figlio Duccio: il Cremlino e un operaio in fabbrica. Poi Coppi e Bartali che si passano la borraccia

di CONCITA DE GREGORIO

ROMA - Nella stanza di lavoro di Fausto Bertinotti accanto ad un paio di affiches di Dorazio e Fuksas («amici») sono incorniciati due enormi disegni di bambino: li ha fatti suo figlio a 5 anni. Il bambino Duccio in età prescolare ritraeva a memoria il Cremlino (un enorme castello rosso, con bandiera rossa) e un operaio in fabbrica. Il padre ne è tuttoggi visibilmente fiero.

Ci sono poi alla parete, in foto, il Gramsci classico con palandrana e occhialetti e la famosa immagine di Coppi e Bartali che si passano la borraccia. Avversari leali, pronti al mutuo sostegno. Nella corsa fra Bertinotti e Prodi per vincere le primarie, tuttavia, non si rintracciano per il momento episodi paragonabili a quello della borraccia. Prodi è stato invitato quest’estate alla festa dell’Unità da Fassino, a quella di Mastella a Telese, da Pecoraro Scanio alla festa verde di Bologna ma a quella di Liberazione no. E’ stata una cortesia, spiegano nello staff del segretario: gli si volevano evitare episodi di contestazione.

Perché ci sia il rischio, per Prodi, di essere fischiato da alleati di coalizione ed eventualmente di governo è il nodo di tutta la faccenda. Bertinotti corre per vincere. Corre per prendere un voto più di Prodi, non uno di meno. Non fa il gregario. Ha messo in campo una macchina poderosa, in tutto simile a quella per una campagna elettorale tradizionale. Trecentomila euro sono il tetto di spesa per l’ultimo mese, ma alla fine del semestre di campagna il partito ne avrà spesi molti di più. Sono mobilitati dirigenti, iscritti e simpatizzanti, i ragazzi che corrono nei corridoi ti dicono che «Fausto non potrà ritirarsi dalla politica fra un anno, come ha detto, perché dovrà fare il presidente del Consiglio».

Si preparano nuovi testimonial per la campagna: Massimo Carlotto lo scrittore sarà uno dei prossimi. Sta per uscire un libro intervista con un giornalista del manifesto intitolato "Io ci provo".?Vediamo, segretario. Quanto c’è di vero in tutto questo? Quanto sta facendo "come se", per fare poi i conti politici alla fine? Bertinotti arrota la sua elegante erre francese, sorride. «Non conosco competizioni in cui si faccia come se. Alle elezioni si corre per vincere, io mi candido per vincere». D’accordo. Perciò ha esaminato l’ipotesi di candidarsi poi alla presidenza del Consiglio? «Naturalmente. Sarebbe automatico». E pensa che la voterebbero tutti, dai Ds a Rutelli? «Non ne ho il minimo dubbio.

Le regole della competizione sono queste, semplici e chiare. La domanda d’altra parte non è per chi voterà Rutelli, è cosa farà l’elettorato. Io credo che le operazioni di sinistra vincenti siano quelle che scompaginano: vince chi sposta l’opinione non chi registra il suo consenso. La crisi della società italiana è così profonda che non accetta risposte tradizionali, vuole un cambiamento». "Cambiamo binario" dice lo slogan che il regista Alessandro Piva, quello de "La capa gira", ha inventato per il viaggio del segretario sul treno dei pendolari: da Lambrate a Bergamo senza prenotazione, e poi giù fino in Sicilia. Chi c’è c’è, sul treno. E se avesse ragione chi sostiene che la sua candidatura fa l’interesse della destra, se ci fosse davvero chi seguirà l’invito degli editorialisti del Giornale a votare per lei?

Lei è stato spesso accusato di "intelligenza con nemico", di aver fatto l’interesse di Berlusconi. «Certo, dicevano anche che la destra avesse votato Vendola alle elezioni in Puglia, poi però Nichi ha vinto. Chi mette in giro queste voci lo fa per interessi visibili e riscontrabili, non merita commento. Viceversa è ancora da dimostrare che avere come avversario un candidato di sinistra sia meglio che averne uno di centro, per Berlusconi. A me pare che i moderati solitamente perdano. Anche in America, lei si ricorda di Kerry? Ha vinto Bush, un estremista». ?"A sinistra", hanno difatti deciso di intitolare questa campagna i giovani creativi baresi di Proforma, l’agenzia che ha già portato al successo elettorale il sindaco di Bari il giudice Michele Emiliano e Nichi Vendola, entrambi partiti perdenti.

E’ la campagna dei post it, i bigliettini gialli con scritto "Voglio": sotto ciascuno deve scrivere cosa. Alla fine del sondaggio (ne sono tornati indietro decine di migliaia, dicono) sono stati scelti i quattro desideri ricorrenti e stampati i manifesti: voglio "uscire dal mercato sorridendo" dice una donna, "combattere le guerre di bush" risponde una ragazza, voglio "un progetto di vita non una vita a progetto" dice un ragazzo, e un uomo "voglio più tempo per me". Il problema ora è capire quanta gente andrà a votare. Prodi ha parlato di un milione di voti. Qui a Rifondazione hanno fatto un calcolo che parte dagli 80mila votanti alle primarie pugliesi: si può arrivare a un milione e due. Gli iscritti a Rifondazione sono centomila perciò è chiaro che a Bertinotti per prenderne seicentomila, la metà più uno, serve un consenso per così dire esteso ad altre zone della coalizione.

Punta ai voti dei ds di sinistra? In fondo i Ds non hanno un loro candidato. «Questa è una sciocchezza. I ds hanno un candidato: è Prodi. L’hanno scelto e sono certo che lo voteranno. C’erano due metodi per arrivare alla definizione del candidato premier: quello di scegliere il leader del primo partito, e allora sarebbe toccato a Fassino. In alternativa, le primarie. Parisi lo ha spiegato bene: questa è una scelta di modello. Prodi, con le primarie, vuole fondare la sua leadership sulla legittimazione popolare. D’altra parte in presenza di un pessimo sistema elettorale, il maggioritario, ben venga tutto ciò che lo rende più democratico. Piuttosto, essendo Prodi in perfetta sintonia coi Ds mi pare che siano i moderati a non avere un loro candidato».

Un altro candidato della Margherita, intende?

«L’ultimo scontro politico che ho visto è stato dentro la Margherita. Però non vedo un candidato che si autodefinisca riformista». E’ perché queste non sono primarie che si corrono per vincere, Bertinotti. Solo lei lo fa. Gli altri - Mastella, Pecoraro, Di Pietro, Scalfarotto - vogliono solo stabilire il loro peso e portarlo poi in dote a Prodi. «E’ davvero bizzarro, non trova? E’ la prima volta in tanti anni di vita politica che sento dire una cosa così». Tanti anni. Nella stanza accanto sono riuniti Milziade Cabrini, coordinatore della campagna, Walter De Cesaris, ufficio di segreteria, Andrea Camorrino, giovane entusiasta guida dell’ufficio comunicazione, Fabio Amato e Fabio Rosati, Cristina Tiddia, lo staff del segretario. Del "pensionamento" non vogliono sentire parlare. «Eppure lo farò - dice lui - a meno di non essere obbligato a realizzare un patto con gli elettori», a meno di non vincere, insomma, «mi ritirerò prima del prossimo congresso».

Cerca il percorso netto, vuole abbandonare la politica senza aver mai fatto il ministro, senza essere entrato nella stanza dei bottoni?

«Come Pietro Nenni, io non credo che esista la stanza dei bottoni. "Qui non c’è il potere, nella migliore delle ipotesi possiamo condizionare il potere degli altri", diceva. Io non considero il governo come il vertice di una carriera politica».

Qual è il suo vertice, allora? Cosa vorrebbe vedere prima di lasciare?

«Vorrei vedere nascere una grande forza della sinistra europea». Anche Veltroni: parla di Partito Democratico. «Un nome del tutto estraneo alla nostra tradizione politica. Noi ci chiamiamo liberali, socialisti». Comunisti, voi, in specie.

E’ vero che pensa al giorno in cui non ci sarà più bisogno di definire comunista il suo partito?

«E’ completamente falso. Io vengo da una cultura molto legata all’identità e all’ideologia. Tutti i tentativi realizzati nel corso del secolo di realizzare il socialismo hanno in comune, oltre alla sconfitta, la capacità di immaginare un futuro senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Non abbiamo bisogno di ricostruire un partito con un altro nome, abbiamo bisogno di un luogo dove trovino posto anche i partiti. Il nostro si chiama comunista, e così si chiamerà sempre. A sinistra: per chi ci cerca noi siamo lì».

da La Repubblica