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No al rischio zero

Publie le giovedì 29 settembre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Movimenti Storia Oreste Scalzone

di Oreste Scalzone

Nello sciopero della fame ci sono due fasi: la messa a rischio e poi il catabolismo. Io sono contrario a chi corre in moto ma ritengo che l’idea del rischio zero che ci viene continuamente propinata è della stessa portata distruttiva della buona intenzione di sradicare il male dalla storia senza nemmeno passare per un Dio. Penso alla promessa di felicità insita nei moderni messianismi: dal liberismo alla Smith, con il suo feticismo della potenza regolatrice del mercato, ai preti bolscevichi (fosse anche nella versione lassalliana: dove il feticcio diventa lo Stato), dai padri della Costituzione americana, la cui base materiale è le ferma credenza, scritta a chiare lettere nel dollaro, che “Dio è con noi” alle tante promesse di Paradisi terrestri utopici o cronici.

No, il rischio zero ti porta a morire di fame in casa, per paura di finire con la testa rotta dalla tegola che aspetta il tuo passaggio per cadere. Una volta ucciso Carlo Giuliani - o via via a risalire nel tempo di generazione militante in generazione militante Francesco Lo Russo o Saverio Saltarelli o i morti di Reggio Emilia - se ne dovrebbe dedurre allora che non si fa più una manifestazione. Mi turbano le ricorrenze e le ricorrenze delle ricorrenze ridotte a occasione per martellare un’indignazione a fini propagandistici i cui esiti oscillano tra la serenata a se stessi e l’autoterrorismo.

Ben più tragica fibra ha il catabolismo dello sciopero della fame. Perché finiti i grassi, il fabbisogno di calorie ti attacca i muscoli e ti brucia il cervello. A questo punto anch’io tremo un po’: come se Maraini avesse deciso di continuare, sotto i riflettori televisivi, a farsi a fette nel teatro dell’anticrudeltà. Mi è venuto a mente di colpo, con un po’ di vergogna, nei giorni scorsi, al crematorio di un cimitero di Parigi, il Père Lachaise, una sala sinistra, da loggia massonica, con la triste pretesa di imitare la grandiosità di una cattedrale.

I compagni mi hanno chiesto di suonare sommessamente Addio Lugano bella, prima che bruciassero la salma di una militante proletaria, la moglie di Giuseppe, un immigrato siciliano di Montreuil, mio coetaneo ed amico, arrivato in Francia con i genitori cinquant’anni fa. Mi è venuto a mente il giorno che l’ex marito venne a prenderla a casa per portarla a operarsi del cancro al polmone che l’ha poi ammazzata. A casa loro, erano i giorni del Paris Social Forum, ospitavano ai materassi una quindicina di compagni del Sud Ribelle e dei Cobas (ricordo Antonino Campennì di Radio Ciroma e Vincenzo Miliucci). E a lei ridevano gli occhi per la gioia: convinta che rital (italiano nel parigino popolare) e rivoluzionario fossero sinonimi.

Negli ultimi dieci giorni di vita ha chiesto di andare in un centro palliativo perché tutti i compagni potessero andare a salutarla e io non ce l’ho fatta ad andarci per lo sciopero della fame. E così, tra le lacrime dei presenti, mi è toccato di testimoniare, insieme al compagno, ai genitori, ai figli, la sua contentezza di fare una cosa terribilmente rompicoglioni. Tutti abbiamo conosciuto persone dal grande cuore ma che non si prendono dal cuore, ma tutte queste cose sono rare in una persona.

Mi è venuto di pensare al “tempo di nostra vita mortal... quando gli occhi ridenti e fuggitivi”: questa donna aveva il cuore negli occhi. Così mentre suonavo mi sono un po’ vergognato a pensare che cosa sarebbe successo se avessi fatto in tempo ad andare a trovarla. Be’, alla fine penso che se lei mi avesse detto, tutto quello che altri, senza titolo, senza onore, mi dicono: “Ma come, Oreste, io lotto per guadagnare un’ora di vita per salutare un altro compagno e tu ti affetti il dito e lo servi in tavola...” avrei finito per dirle una bugia ma non potrò mai raccontarmi la favola che è una storia bella, pulita e luminosa.

http://orestescalzone.over-blog.com/article-914330.html