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Bertinotti e Prodi a duello sulle truppe italiane all’estero

Publie le sabato 8 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Partito della Rifondazione Comunista Parigi Primarie

di Stefano Bocconetti

Mancano dieci giorni, ancora meno. Funziona tutto poco, pochissimo, metà paese non sa ancora dove e come andrà a votare. Ma qualcosa è successo ieri. Molti sostengono che le primarie, quelle "vere", sono cominciate solo questo giovedì. Ieri Fausto Bertinotti era a Bologna, con un "calendario" che racconta benissimo, senza bisogno di aggiungere altro, la sua campagna elettorale: prima sul treno dei pendolari per Faenza, quaranta chilometri stretti come sardine in un treno dove non funziona nulla.

Poi all’università, in questa antica piazza che nell’immaginario di tutti ha ancora il simbolo delle rivolte giovanili, dove è ancora tutto uguale a quel marzo ’77. Per incontrare i fuori sede, i migranti. E’ stato accolto da una marea di giovani in un clima di entusiasmo grandissimo. Poi, l’assemblea coi precari. Infine, gli operai a Reggio Emilia.

Ma la giornata di Bertinotti era cominciata presto. Con la lettura dei giornali. Con la lettura del Corriere della Sera. In prima pagina, un titolo sugli altri: annunciava, all’interno, un’intervista a Romano Prodi. Che fin dal titolo - una volta tanto fedele al contenuto - spiegava che se vincerà l’Unione, l’Italia resterà con le sue truppe in Afghanistan e in Kosovo. In Iraq no. Anche Prodi dice che ci sarà il ritiro dall’Iraq, ma in quegli altri scenari di guerra, l’ex presidente europeo spiega che tutto resterà come prima. l’Italia c’è e ci resterà.

E allora davvero le primarie possono cominciare. Fausto Bertinotti ora è sul treno, che è appena partito. Dovrebbe giocare "fuori casa" qui in Emilia, terra di diesse, terra di Prodi. Anche se non si direbbe se lo "stadio" fosse questo treno. Gli si accalcano addosso, gli stringono le mani. Gli parlano. Le frasi che si colgono nella calca sono un po’ meno dei "post. it", sono un po’ meno del "voglio". Sono denunce, brevissimi racconti. Di chi non ce la fa più, di chi deve farsi quattro ore al giorno di treno per tirar fuori mille, mille e duecento euro che questo mese, ottobre, non bastano neanche a pagare i libri di scuola. Sono i racconti di chi, quei ragazzi, "deve" prendere questo treno. Loro, sarebbero restati volentieri fuori dalla facoltà, a Bologna, a bere con gli amici.

Ma non hanno i soldi, in tasca, hanno solo l’abbonamento ferroviario. Lui li ascolta, prova a mettere insieme quelle denunce, provando - a volte solo provando - a trasformarle in "voglio". E’ insomma la situazione più difficile se si vuole parlare di politica, di alleanze, di opposizione e di governo. Ma si prova a buttare là la domanda. E la risposta è ragionata esattamente come quella che poco prima ha dato a quel ragazzo di Ingegneria che gli spiegava l’assurdità di uno studio che è poverissimo di contenuti all’inizio e iperspecializzato dopo. Quando invece servirebbe acquisire gli strumenti per provare a cogliere tutto ciò che l’innovazione offre.

Bertinotti risponde con la stessa pacatezza. «Ho letto l’intervista al Corriere della Sera a Prodi. E ho una sensazione». Si fa silenzio, anche il controllore si ferma e guarda. «Ho la sensazione che Prodi con questo passaggio abbia - come dire? - dismesso l’unico vestito che aveva indossato in questi mesi: quello di leader della coalizione. Ora è diventato un candidato». E le primarie cominciano sul serio. Bastano queste parole e l’incontro diventa una stranissima assemblea su rotaia. Perchè a quegli studenti, a quel controllore, a quel pendolare (che deve arrivare a Faenza prima che chiudano i negozi e andare in libreria a pagare trecento-euro-trecento per i libri di suo figlio che fa la prima media) sono discorsi che interessano. Come se le loro denunce comportassero automaticamente - se così si può dire - la richiesta di una maggiore radicalità politica.

In tutti, ad essere sinceri, tranne in uno che si dice convinto che «dopo l’allegra gestione di Tremonti, ci sarà bisogno di lacrime e sangue per risanare i conti». E lui, aggiunge, lo farà volentieri. Ma gli altri, tutti gli altri, la pensano diversamente. E chiedono, parlano, si sovrappongono. «Non sempre e non in ogni momento, ma fino ad ora Prodi ha cercato di parlare come superpartes. Poi deve aver capito, e con lui devono averlo capito anche gli altri, che la sinistra dello schieramento stava acquisendo peso. Forza, consensi». E Prodi ha cominciato a fare il candidato.

Sostenendo le sue ragioni. Ragioni moderate. «Vedi - stavolta si riconosce, a parlare è di nuovo Bertinotti - c’è una base comune: il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, il rifiuto della guerra in Iraq». Ma poi ci sono anche le differenze. Forti, notevoli. «Quando Prodi dice che dovremmo restare in Kosovo o in Afghanistan ho la sensazione che sia rimasto al ’98». E’ fermo lì. «Lui dice che avrebbe detto sì ad un intervento militare, noi ripetiamo che fu sbagliatissimo. Ma ha senso tutto questo? Ha senso riportare le lancette dell’orologio a molti anni fa? Perché non andiamo a vedere cosa ha comportato quell’intervento militare, perché non discutiamo davvero di cosa sono oggi i Balcani o di come sta l’Afghanistan? Discutiamo, analizziamo, studiamo. E allora scopriremo che guardare indietro serve a poco, visto che tanti - e non solo noi - chiedono, propongono, lottano per istituzioni sovranazionali che cambino radicalmente il loro modo d’intervenire. Non con i soldati ma con vere politiche di pace».

Non è il momento per chiedere a Bertinotti un commento sul "credito" che Prodi - sempre nella stessa intervista - finisce per concedere a Fini, migliore del suo predecessore. Non è la situazione adatta, tutto fa capire che la destra da queste parti non gode di molta popolarità . Tranne forse quella signora laggiù’ che ostenta Il Foglio e fa finta di distrarsi col paesaggio. Non è il caso anche perché si è arrivati. A Faenza. Lo aspettano in un centinaio di persone. Applausi, baci, pugni chiusi. "Post. it". Ce n’è uno collettivo: è di settecento operai di una fabbrica chiusa, che stanno manifestando a due chilometri da qui. Non si sposteranno, resteranno lì a presidiare la fabbrica. Hanno timore di un colpo di mano, è già successo. Bertinotti manda loro un saluto. Poi, un fuori programma. E’ stato invitato a registrare una trasmissione nella sede di una tv locale. C’è un giornalista serio e ragionevole - che fa domande serie e ragionevoli - e c’è il capo della potentissima associazione degli albergatori e dei gestori degli stabilimenti balneari della Regione. Il capo dell’Ascom, in una regione a forte tradizione riformista. E il presidente degli albergatori e titolari di stabilimenti balneari parte con una raffica di domande: chiede cosa farà il candidato Bertinotti per battere la "piaga" dei venditori ambulanti sulle sue spiaggie e chiede che - dentro l’opposizione alla finanziaria - si lasci spazio a quel capitolo che prevede l’apertura di tanti casinò". Dà del "tu" a Bertinotti ma la risposta è tranchant: i migranti sono una risorsa. La fuga di massa dai paesi poveri, dai paesi in guerra, dalla fame e dal sottosviluppo è figlia del neoliberismo. La soluzione non è, non può essere nelle frontiere protette, non ci crede neanche chi le invoca. E sull’altro tema, aggiunge: «Non siamo integralisti. Ma mi vergogno di un paese che taglia la ricerca universitaria e apre casinò».

Si riparte, si torna a Bologna. Davanti all’università. In quella piazza e in quei vicoli che anche i più giovani hanno imparato a riconoscere col film "Lavorare con lentezza" di Guido Chiesa. Bertinotti parla al megafono, regalando un’immagine di tanti anni fa. Incontra i migranti. In pochi giorni si sono iscritti in trecento per partecipare alle primarie. Spiega che la Bossi-Fini va abolita. Subito, prima possibile. Prodi - non sul Corriere ma l’altro giorno in una conferenza stampa - aveva detto che va cambiata, anche se sostanzialmente. Non sembrano la stessa cosa, a questi ragazzi non sembra la stessa proposta. E allora le primarie sono cominciate davvero. In gara, solo loro due. I ragazzi e le ragazze del comitato bolognese, gli chiedono di scrivere di suo pugno un gigantesco "post.it". Ci pensa molto. Poi scrive. Vuole "un futuro". Lo applaudono.

http://www.liberazione.it/giornale/051007/LB12D6E7.asp