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Addio Sergio Citti, regista degli ultimi - e il Gip archivia l’inchiesta su Pasolini

Publie le mercoledì 12 ottobre 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Storia

Ninetto Davoli: «Le istituzioni lo hanno lasciato solo». Fino alla fine ha chiesto la verità sulla morte del suo maestro Pasolini

di Angela Azzaro

Non ce l’ha fatta. Mancano solo pochi giorni al trentennale della morte dell’amico Pier Paolo Pasolini, ma Sergio Citti non ha resistito. E’ andato via poco prima che scoccasse l’ora delle cerimonie, per un lutto che ancora non è stato elaborato. Ci ha lasciati prima di poterlo ripetere, con ostinazione, a volte tra le lacrime: bisogna ancora scoprire la verità sull’omicidio del grande intellettuale.

Per lui un amico, un maestro, un punto di riferimento.

Non ce la fatta, ma forse è stato meglio così. Poche ore dopo la sua morte è arrivata la notizia che il gip di Roma ha archiviato l’inchiesta, la terza, sull’omicidio del poeta e regista.

In occasione della riapertura dei fascicoli sulla morte di Pasolini, il giudice aveva sentito anche Citti che, dopo le nuove dichiarazioni di Pelosi, aveva rilasciato un’intervista a La Repubblica: «Pelosi ha detto tante bugie, bisogna riaprire l’inchiesta.

Per fargli dire la verità, tutta, fino in fondo. Dovrebbe rispondere alle mie domande. Vorrei un confronto con lui. Io so, con esattezza, come sono andati i fatti». «Prima di morire - chiudeva così l’intervista - vorrei che si facesse luce sulla sua assurda morte». Invece, l’ennesimo brutto scherzo del destino. Il giorno stesso della sua morte, l’archiviazione.

Uno scherzo. Una beffa. Un cruccio che si porta nella tomba. Un cruccio doloroso, straziante. Ma che non è il solo. Sergio Citti è morto ieri mattina verso le sei, all’ospedale Grassi di Ostia dove era stato ricoverato per problemi al cuore. Da anni, ne aveva 72, si muoveva su una sedia a rotelle. Era vigile, lucido, ma spesso depresso. Aveva seri problemi economici. Viveva insieme al fratello Franco, nella casa di Ostia.

A niente sono valsi i tentativi di amici e registi per fargli avere la pensione garantita dalla legge Bacchelli. In Italia gli uomini e le donne di cultura sono abbandonati: prima durante il periodo creativo, dopo quando ormai sono fuori da qualsiasi mercato. L’ultimo tributo alla presentazione del suo film, Fratella e sorello, girato più di tre anni fa e proiettato la scorsa primavera al cinema Embassy, a Roma. Tra gli amici, David Grieco e Gianni Borgna, Citto Maselli ed Ettore Scola.

Eppure Citti non era un regista qualsiasi. Secondo Maselli è stato uno dei più originali del nostro paese, «non somigliava a nessuno per profonda aristocrazia e per totale radicamento popolare». La sua storia di artista, di intellettuale attento agli umili e agli sfruttati, è strettamente legata alla biografia di Pasolini, di cui fu prima consulente in dialetto romanesco per i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, poi stretto collaboratore di tutti i suoi film, tra cui i primi Accattone e Mamma Roma interpretati dal fratello Franco.

Nel 1970 è il debutto alla regia, con Ostia, che ne mette subito in risalto l’attenzione alle periferie, alla sua gente, alla sua geografia umana e paesaggistica. Dopo la morte di Pasolini non molla. Dietro la macchina da presa arrivano i suoi film più belli. Sono Casotto del 1977 con un cast d’eccezione tra cui una giovanissima Jodie Foster, Mortacci del 1989, I magi randagi del 1996, fino a Cartoni animati, diretto insieme al fratello nel 1998 come tributo a Miracolo a Milano di Vittorio De Sica.

Con il suo stile, spesso irreale, poco incline agli stereotipi della narrazione televisiva, Citti porta avanti l’analisi critica di Pasolini. Non fa morire il suo pensiero, il suo attacco radicale alla società dei consumi. L’attenzione vigile a una periferia in bilico tra resistenza e omologazione. «Con la scomparsa di Sergio Citti - sottolinea Fausto Bertinotti - se ne va una delle figure più amate del cinema italiano, che ha saputo interpretare con passione e professionalità gli umori della gente semplice, degli umili, degli ultimi, dei disagiati. E’ stato apprezzato da tutti noi ogni qual volta ha saputo dare sfogo alla propria spontaneità, riuscendo a coniugare inventiva e critica della realtà».

Tra quegli umili lui, i suoi amici. Che oggi però non stanno zitti. Come Ninetto Davoli che accusa: «Sono addolorato per Sergio, ma anche un po’ arrabbiato, perché credo che le istituzioni avrebbero potuto e dovuto fare di più per aiutarlo. Noi amici ci siamo mobilitati per quanto possibile, ma un personaggio importante come lui, che ha dato tanto al mondo del cinema e della cultura, avrebbe meritato ben altro, doveva ricevere un appoggio da chi di dovere».

Se il governo ha latitato, resta l’abbraccio della città, del sindaco Walter Veltroni, di tutti gli amici registi, di quel popolo che lui ha amato e raccontato. Resta la speranza che tra qualche settimana, oltre Pasolini, si ricordi anche lui. La sua ostinata risoluzione a far scoprire la verità sull’amico scomparso. Un’ostinazione sicuramente legata, non solo a prove reali, ma anche a un elemento biografico molto forte. Che però va letto per quello che è: il simbolo di un’Italia in cui tanti, troppi misteri non sono ancora stati svelati.

http://www.liberazione.it/giornale/051012/default.asp

E proprio ieri il Gip archivia l’inchiesta su Pasolini

Il mistero dell’omicidio

E’finita in archivio la terza inchiesta sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini. Secondo il gip del tribunale di Roma non ci sarebbero elementi utili per una diversa ricostruzione del delitto, nessun particolare suscettibile di riscontro. E così ha messo la parola fine alla terza inchiesta sull’omicidio del poeta e scrittore avvenuta il due novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia.

Con il provvedimento d’archiviazione il gip ha accolto le richieste del procuratore capo Giovanni Ferrara, dell’aggiunto Italo Ormanni e del pm Diana De Martino. A spingere i magistrati verso nuovi accertamenti erano state le dichiarazioni di Pino Pelosi (l’unico condannato per l’omicidio) che in una intervista a pagamento concessa alla Rai aveva negato di essere l’assassino e chiamato in causa tre persone «dall’accento meridionale» senza fornire altri particolari sulla loro identità.

I magistrati hanno riesaminato la vicenda, ma non hanno trovato riscontri. Anche il medico-legale dell’epoca Giancarlo Umani Ronchi non le ha prese sul serio. Secondo lui le lesioni riportate da Pasolini erano compatibili con l’aggressione provocata da una sola persona.

Nel fascicolo processuale, oltre alle dichiarazioni di Pelosi, detto "la rana", arrestato in seguito a Viterbo per detenzione di droga, finirono anche quelle di Sergio Citti, il regista e amico fraterno di Pasolini deceduto proprio ieri. Fu Citti a collegare il delitto ad un tentativo di ricatto messo in atto dopo il furto della pellicola "Salò", ultima opera cinematografica dello scrittore. Ma nessun elemento di riscontro, è detto nelle conclusioni della procura, è emerso durante le attività istruttorie.

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