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Iran, Israele, il sionismo: la scivolosa ambiguità de “L’Ernesto”

Publie le lunedì 7 novembre 2005 par Open-Publishing
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Dazibao medio-oriente Ok. Tober

di Ok. Tober

Le dichiarazioni del presidente Iraniano Ahmadi-Nejad sulla cancellazione di Israele dalla carta geografica hanno provocato varie reazioni nella sinistra italiana. La discussione si è in un buona parte concentrata sulla manifestazione promossa da Giuliano Ferrara. Anche a sinistra si è discusso se partecipare o meno, dato l’orientamento pro-Sharon e anti-palestinese da sempre sostenuto dal direttore del “Foglio”. Nella sinistra alternativa è prevalsa la decisione di non partecipare a questa manifestazione, anche se si è espressa qualche voce dissenziente che è ha trovato spazio anche su Liberazione.

Al di là delle diverse valutazioni sull’opportunità di scendere in piazza, la gran parte della sinistra alternativa ha espresso una comune valutazione di netta condanna alle dichiarazioni di Ahmadi-Nejad e di riaffermazione, “senza se e senza ma”, del principio dei “due popoli, due stati”, entrambi con il pieno diritto ad esistere e convivere in pace: Israele e Palestina.

Ma non bisogna nascondere che c’è un settore, anche se marginale, della sinistra “radicale” che esprime una posizione quanto meno ambigua su questa vicenda. Ne fa testo l’articolo di Marcello Graziosi, pubblicato con grande evidenza sul sito dell’Ernesto.

In questo intervento non emerge nessuna condanna delle dichiarazioni del presidente iraniano, che vengono anzi banalizzate. “Nulla di nuovo, in realtà (sono diversi i paesi arabi od islamici, incluso l’Iran dal 1979, che continuano a ragionare nella prospettiva della fine di Israele).“ Derubricato a “ragionamento”, l’intervento del capo degli oltranzisti iraniani, si afferma che è stato data al suo intervento un’importanza del tutto sproporzionata.

Molto diversa l’opinione dei comunisti iraniani del Partito Tudeh (partito che proviene dalla corrente filosovietica) che hanno ritenuto di dover rispondere al discorso del presidente dell’Iran con una impegnativa dichiarazione del loro Comitato Centrale di netta e inequivocabile condanna. (Tradotta in inglese è disponibile sul loro sito web). Vengono definiti “commenti profondamente irresponsabili” quelli di Ahmadi-Nejad. “Il Partito Tudeh dell’Iran, insieme a tutte le forze progressiste e democratiche dell’Iran e del mondo, condannano questo sciocco e vanno atteggiamento” I comunisti iraniani ricordano di aver già messo in guardia nei mesi scorsi contro i pericoli derivanti dall’elezione di un presidente reazionario (elezione, ricordano, avvenuta attraverso una estesa frode elettorale). Invitano alla costruzione di un ampio fronte democratico e nel contempo respingono “le politiche di Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi capitalisti che stanno cercando di avvantaggiarsi della attuale situazione per far avanzare la loro agenda imperialista nel Medio Oriente”.

Accolte senza particolari remore da Graziosi e da “L’Ernesto” le dichiarazione che vengono da uno dei settori più reazionari dell’integralismo islamico (ricordiamo che la sinistra iraniana ha denunciato Ahmadi-Nejad come uno dei più feroci anticomunisti presenti nel campo khomeinista, in quanto ha partecipato direttamente all’eliminazione fisica di militanti comunisti e democratici) si passa immediatamente a denunciare il vero nemico: “il sionismo”.

Non è questa l’occasione e la sede per un esame ampio della storia del movimento sionista. La sinistra comunista israeliana, come altre componenti della sinistra marxista internazionale, sono state sempre critiche dell’ideologia sionista, ma da qui a costruire una sommaria caricatura della vicenda storica come fa Marcello Graziosi c’è ne corre. Citiamo solo due elementi di evidente faziosità.

Il primo è che il sionismo, ben lungi dall’essere riducibile ad “ebrei fanatici e conservatori”, è stato in gran parte un movimento di sinistra, influenzato dalle correnti del socialismo, e in certi settori importanti dal marxismo, con una base largamente proletaria. (Per una complessa ricostruzione del rapporto tra socialismo e nazionalismo all’interno del sionismo, e di come alla lunga il secondo abbia “ucciso” il primo, si può leggere “Nascita di Israele” di Zeev Sternhell).

Il secondo è che la nascita di Israele non è riducibile ad un operazione “imperialista” contro il nascente nazionalismo arabo. Qui siamo nella pura leggenda. Comprendiamo l’imbarazzo di Graziosi nel dover riconoscere il ruolo dell’Unione Sovietica nella decisione che ha fatto nascere lo Stato di Israele (difficile da far rientrare in uno schema manicheo). Non solo ci fu la decisione dell’Unione Sovietica a favore della soluzione dei due Stati in Palestina. Ci fu anche un consistente appoggio militare all’Hagana, cioé all’esercito ebraico. Sostegno che passava dalla Cecoslovacchia già dal ’47 quando i comunisti erano parte dominante di un governo di coalizione. In quel momento il movimento sionista non riusciva facilmente ad armarsi, perché c’era un vincolo agli Stati a non concedere armamenti a quello che era un movimento insurrezionale non “legittimo”. Dopo la formazione di Israele, la Cecoslovacchia con l’autorizzazione dell’URSS, fornì armi, aerei, addestramento militare, e ad un certo punto arrivò a creare un campo di addestramento per volontari che si sarebbero dovuti recare in Palestina a combattere a fianco di Israele. La ricostruzione dettagliata di questa vicenda è stata fatta da Karel Bartosek, in “Le pouvoir communiste en Tchécoslovaquie et la naissance de l’Etat d’Israel” in “Communisme”, 1984. La realtà storica ci dice che erano semmai le classi dirigenti arabe, in gran parte feudali e reazionarie, ad essere legate a filo doppio al “vecchio” imperialismo in declino, quello britannico, che in quel momento aveva interessi divergenti da quello nascente degli Stati Uniti.

Questa realtà storica non cancella l’altra sulla realizzazione di una vera e propria “pulizia etnica” verso i palestinesi, l’allontanamento forzato dalle loro terre, le stragi commesse da settori militari sionisti (anche per effetto di una scelta politica dei vertici e di Ben Gurion, come hanno dimostrato gli storici israeliani più coraggiosi). Fatti che Graziosi denuncia ma che inserisce in un contesto “depurato” per farli rientrare in una storia che procede per “feticci” e “immagini sacre”, più che per analisi materialistiche (verrebbe da dire marxiste) della realtà.

Sul sionismo ritengo valga a tutt’oggi quanto ha scritto ormai parecchi anni fa, in un libretto sulla sinistra israeliana, David Meghnagi (che riconosceva tra l’altro le ragioni dei palestinesi). Richiamate le ambiguità, i limiti e le responsabilità politiche dell’ideologia sionista si chiede: “Bisogna forse per questo rappresentare l’insediamento e la colonizzazione sionista della Palestina prima e la creazione dello stato di Israele dopo come il risultato di un “complotto” imperialista tramato contro i popoli arabi della regione? No, senza dubbio. Una tesi del genere, fino ad alcuni anni fa largamente diffusa in ampi settori della nuova sinistra e considerata come un punto qualificante e imprescindibile da parte delle varie correnti del nazionalismo arabo e della Resistenza palestinese, è grossolanamente semplificatrice e va rifiutata anche per le sue implicazioni politiche”. (Meghnagi, La sinistra in Israele, Feltrinelli).

Queste implicazione politiche a cui fa riferimento Meghnagi, sono esattamente quelle che portano Graziosi e “L’Ernesto” ad assumere un atteggiamento accomodante nei confronti delle dichiarazioni di Ahmadi-Nejad e delle correnti islamico-integraliste che cercano di assumere la guida della resistenza palestinese sottraendola alle componenti laico-democratiche.

Infine, c’è un’altra considerazione che va fatta, anche se non possiamo qui supportarla in modo più ampio, ed è che il “sionismo” ha smesso da tempo di essere l’ideologia dominante della politica israeliana. Sharon, al di là dei rapporti complessi che la tradizione del Likud ha con il cosiddetto “sionismo revisionista”, non è più l’espressione di quella corrente ideologica. Il “sionismo” in realtà, come idea-forza, è sostanzialmente morto da tempo. Identificare la politica del governo Sharon, che va criticata e combattuta politicamente come fanno anche tanti ebrei israeliani, come quella delle forze che lo sostengono (USA soprattutto), con il sionismo è sbagliato e pericoloso. Lo è perché non individua le vere ragioni degli interessi e delle forze che impediscono la formazione dello Stato palestinese e che cercano di destrutturate il Medio Oriente per renderlo omogeneo agli interessi al capitalismo globalizzato. Lo è ancora di più perché l’utilizzo di questo “totem” ideologico, mescola e confonde, anziché dividere nettamente, tre posizioni inconciliabili: quella di chi è per i due Stati, per la pace e contro ogni forma di antisemitismo; quella di chi è per risolvere la questione palestinese attraverso l’eliminazione di Israele; quella di ambienti realmente antisemiti che utilizzano l’”antisionismo”, perché più rispettabile del rozzo razzismo antiebraico ma che alla fine veicolano la solita, vecchia spazzatura.

Messaggi

  • in aggiunta all’articolo ben scritto e ben documentato di Ok.Tober, vorrei ricordare come lo stato di israele nasce dopo l’Olocausto , in sostanza dopo la prova provata che la convivenza di grandi comunità ebraiche , quelle per intenderci nella europa centrale ed orientale ,con le masse cristiane era sempre e comunque a rischio di pogrom. Mi chiedo cosa sarebbe successo di eventuali altre importanti comunità ebraiche ricostituite in europa orientale dopo la caduta del muro di berlino . Quindi fondazione di uno stato di israele , con le caratteristiche attuali, anche come luogo di vita la più tranquilla possibile per un popolo perseguitato da secoli ; da ciò anche la evidente voglia attuale degli israeliani , ma anche dei palestinesi, di pace e di normalità , onde l’appello della classe dirigente persiana per l’annullamento dello stato di israele appare non solo criminale, ma anche francamente estraneo all’attuale comune sentire dela parte migliore della società araba.
    Buster Brown