Home > UNA RIVOLTA ALL’OMBRA DEL GIGANTE AMERICANO

UNA RIVOLTA ALL’OMBRA DEL GIGANTE AMERICANO

Publie le domenica 1 gennaio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Libri-Letteratura

"Il collare di fuoco" di Valerio Evangelisti. Romanzo sulla prima rivoluzione messicana e i suoi rapporti di amore e odio con il vicino Texas. Una storia corale dove i veri protagonisti sono i conflitti che marchiano a sangue una società stretta tra un feroce potere feudale e l’abbraccio mortale con la democrazia made in Usa

di Mauro Trotta

Valerio Evangelisti nasce come storico - una sua prova magistrale in questo campo, Gli sbirri alla lanterna, è stata pubblicata di recente da DeriveApprodi (Il manifesto del 15 dicembre) - ma da oltre dieci anni si dedica con successo alla narrativa di genere. Convinto della superiorità attuale della cosiddetta «paraletteratura» nei confronti della letteratura d’autore nell’affrontare tematiche "forti" d’ordine economico, politico, sociale, si è sempre servito nei suoi romanzi - fantascientifici, western, noir - degli strumenti dell’indagine storica per far emergere le radici di contraddizioni e conflitti attuali.

Così, di volta in volta, il Medioevo dell’inquisitore Eymerinch, l’America di fine Ottocento del palero Pantera o quella del secolo scorso di Eddie Florio hanno rappresentato quasi delle lenti attraverso le quali leggere il nostro presente.

Insomma, la caratteristica principale dell’opera di Evangelisti sembra essere quella di mettere insieme, facendole reagire, la letteratura «popolare» e la storia. Una tendenza che si conferma e, anzi, appare rafforzarsi tentando strade nuove, nell’ultimo libro dello scrittore bolognese, Il collare di fuoco (Mondadori, pp. 440, € 16). L’argomento di cui tratta il romanzo è la storia del Messico, la sua formazione come stato moderno. Tutto inizia il 16 settembre 1859 a Brownsville, cittadina texana di confine, e si conclude a Città del Messico in una giornata di maggio del 1890. Si parte con l’insorgere di una rivolta, guidata da un possidente messicano, Juan Nepomuceno Cortina detto Cheno, contro i soprusi e le angherie che i suoi connazionali sono costretti a subire nelle terre che un tempo erano loro, e si finisce con un tentativo fallito di rivoluzione durante la manifestazione per la rielezione a presidente di Porfirio Dìaz.

Tra questi due avvenimenti, a prima vista minori, si susseguono eventi, avventure, intrighi, che caratterizzano un periodo compreso tra la «rivoluzione» juarista e la normalizzazione portata avanti da Diaz, passando per la monarchia di Massimiliano d’Austria. Trent’anni di storia, in cui si affacciano sulla ribalta una miriade di personaggi, messicani e statunitensi: rivoluzionari, banditi e bandoleros, indios, generali, reduci della guerra civile americana, rangers, vedove, organizzazioni operaie come i knights of labour. E poi ancora, il lavoro come schiavitù, razzismo, deportazioni, febbre gialla, linciaggi.

È praticamente impossibile raccontare la trama di questo romanzo, avvincente e appassionante, il quale deve il suo titolo a una citazione da Justo Sierra, riportata in epigrafe: «Non c’è nulla di tanto pericoloso per un popolo d’America quanto l’amore disinteressato degli Stati uniti. La loro protezione è un collare di fuoco».

La prima cosa che colpisce è l’assenza di una delle costanti narrative della letteratura «di genere». Qui, a differenza degli altri libri di Evangelisti, non c’è un protagonista. Nemmeno negativo, come nel caso di Noi saremo tutto. Non c’è neanche una famiglia, un clan, un gruppo che garantisca unità narrativa al dipanarsi delle vicende. Eppure il romanzo - e qui si conferma la maestria della scrittura di Valerio Evangelisti - non è assolutamente frammentario, anzi conserva sempre coesione e unitarietà. Si tratta di un’opera corale, in cui emergono di volta in volta una serie di personaggi a svolgere quasi, per un certo periodo, il ruolo di solista. Poi escono di scena, sostituiti da altri, per riconquistare la ribalta qualche capitolo dopo.

Un’altra novità rispetto alle prove precedenti è rappresentata dai riferimenti, ad esempio cinematografici, evocati dal testo. Qui, si tratta, mi sembra, di riferimenti «alti». Innanzi tutto, il primo film che viene in mente è Que viva Mexico! di S. M. Ejzenstejn, film a episodi, incompiuto, sulla storia e il popolo messicani, che, nelle parole del grande regista russo, doveva rappresentare il passaggio «dalla animalesca sottomissione alla morte al superamento di tale pensiero nella concezione dell’entità sociale, collettiva».

Ancora, si può ravvisare una vera e propria citazione del cinema di Ernst Lubitsch nella scena in cui Margarita Magòn, e il lettore, viene a sapere di cosa stanno parlando il generale Carvajal e gli altri signori dai discorsi dei camerieri in cucina. Ma in realtà è un po’ tutta la storia, quella con la S maiuscola, che rimane per così dire sullo sfondo, raccontata attraverso vicissitudini a prima vista minori che danno, però, il senso profondo di quello che sta accadendo. Del resto è proprio questo ciò che da sempre hanno fatto i grandi romanzi storici: raccontare attraverso piccole storie, a prima vista marginali, vissute da protagonisti in qualche modo minori, i cambiamenti, le contraddizioni, la mutata temperie che caratterizzano un’epoca. È nelle «classi popolari», è nella «vita minuta» che si possono rintracciare con più chiarezza i fili che formano il tessuto degli avvenimenti storici.

Non solo, da sempre il romanzo storico non si accontenta di narrare il passato ma parla, e con forza, del presente. E Il collare di fuoco affronta alcune delle tematiche fondamentali della situazione contemporanea. Basti pensare all’atteggiamento imperialistico della potenza statunitense esplicitato allora nei confronti del Messico, oggi a livello mondiale. O al rapporto di odio-amore che lega tanti personaggi messicani al grande vicino. O, ancora, allo svuotamento delle forme democratiche: «I texani, innamorati della democrazia, votavano sempre su tutto; poi non importava che elettori balordi esprimessero preferenze balorde». Soprattutto, però, quello che più sembra parlare al nostro presente è proprio quel protagonista che non c’è.

E che può essere rintracciato in tutta quella serie di personaggi, chicanos o statunitensi, diversissimi tra loro, che lottano contro il potere. E che vanno a comporre quello che Lukàcs chiamava l’«individuo storico universale», il quale all’interno del romanzo storico, riunisce e concentra «nella sua personalità la tangibile incarnazione delle forze sociali in conflitto». Certo, nell’analisi lukàcsiana questo era un personaggio storico che nel romanzo - a differenza che nella tragedia - rivestiva un ruolo secondario, ma fondamentale. Nel libro di Evangelisti, invece, è un insieme di personaggi, profondamente differenti tra loro, ma uniti dalle loro lotte, protagonisti per tratti più o meno lunghi della vicenda, che vanno a comporre quella che è la figura centrale anche del conflitto sociale attuale, ovvero la moltitudine.

Del resto, proprio le parole dedicate dal critico ungherese a Walter Scott sembrano attanagliarsi in modo perfetto a quest’ultima fatica di Valerio Evangelisti: «La necessità storica è nei suoi romanzi del tutto inesorabile. Non è però un fato che trascenda l’uomo, bensì la complicata azione reciproca di circostanze storiche concrete nel loro processo di trasformazione, nel loro rapporto di mutua dipendenza con uomini concreti i quali, cresciuti in quest’ambiente, influenzati variamente da esso, agiscono tuttavia in modo individuale, secondo le loro personali passioni. Nella rappresentazione artistica la necessità storica è quindi sempre una risultante e non un presupposto; essa esteticamente è la tragica atmosfera del periodo e non l’oggetto delle riflessioni dello scrittore».

Se Il collare di fuoco è, dunque, un romanzo storico, anzi un grande romanzo storico, resta - e non potrebbe essere altrimenti - nel lavoro di Evangelisti tutta la parte relativa alla letteratura di genere: un linguaggio in qualche modo «medio», asciutto e tagliente, il gusto per l’avventura, continui colpi di scena, un montaggio avvincente e coinvolgente, i riferimenti ad altre opere dello stesso autore - il ciclo di Pantera - quasi a sottolinearne la natura seriale. Ma del resto, soprattutto qui in Italia, Ivanohe, il capolavoro di Walter Scott, non è da sempre considerato letteratura per ragazzi?

http://www.ilmanifesto.it/Quotidian...