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Sanguineti accusa: "Un pezzo di sinistra ha perso l’etica. Io sto con Bertinotti"

Publie le domenica 8 gennaio 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Partiti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Intervista al poeta. Impegno intellettuale, politica, questione morale: "S’è rotto il rapporto di fiducia con i lavoratori"

di Angela Azzaro

Per Edoardo Sanguineti la separazione tra politica e etica, a sinistra, inizia prima del caso Unipol. Ha radici lontane. Anche se non troppo. Quando il centrosinistra stava al governo e avviò quella deriva che ha portato al tradimento della Costituzione, con la partecipazione alla guerra nel Kosovo, e al tradimento dei diritti degli sfruttati. "E’ per questa ragione che a D’Alema e Fassino preferisco Fausto Bertinotti: per lui dettato costituzionale e classe lavoratrice restano punti fondamentali". Settantacinque anni (computi lo scorso dicembre) il grande poeta, tra i maggiori esponenti del Gruppo ’63, è tra gli intellettuali che non ha mai smesso di prendere posizione, di dire la sua. Ha aderito fin dal suo nascere alla Sinistra europea.

 Quale situazione generale segnala il caso Unipol nei rapporti tra politica e società, tra politici e cittadini?

C’è una sfiducia diffusa nei confronti della classe politica. E’ un nuovo qualunquismo, diverso dal passato. Il qualunquista di una volta era colui che non prendeva mai posizione, che era scettico davanti a tutto e a tutti. Ora è diverso. Una grande quantità di cittadini non riesce a trovare politici che difendano i loro interessi reali. Chi è di destra ha perso fiducia nei confronti di un presidente del Consiglio che ha perseguito solo i suoi interessi e che continua a fare promesse non mantenute.

 La situazione cambia per chi vota a sinistra?

A sinistra accade qualcosa di molto simile. I politici di questa area dovrebbero tutelare gli interessi del mondo del lavoro e soprattutto del non lavoro, dei disoccupati e precari oggi così numerosi. Invece quando la sinistra era al potere è stata molto deludente. Ha avviato una politica che ha portato alla situazione attuale. E’ iniziata allora una riforma universitaria che non funziona, la flessibilità del lavoro che ha avuto effetti disastrosi. E’ iniziato allora un atteggiamento di indifferenza nei confronti del dettato costituzionale che è culminato nella partecipazione alla guerra del Kosovo in violazione dell’Articolo 11 e dello stesso Patto Atlantico. Siamo arrivati al punto che oggi il proletario e il sottoproletario hanno difficoltà ad individuare qualcuno che li possa difendere.

 Un giudizio senza distinzioni?

Se qualcuno mi chiede: ma tu che fai? Rispondo che appoggio Fausto Bertinotti. Ci sono punti su cui concordiamo, altri su cui abbiamo posizioni diverse e discutiamo. Non mi convince, per esempio, l’idealizzazione che secondo me lui fa dei movimenti, né quella del Chiapas. Ma ha due meriti grandissimi: la difesa della Costituzione su un punto fondamentale qual è il rifiuto della guerra. Il Prc è l’unica forza politica che ha detto no alla partecipazione a quella nei Balcani. In secondo luogo Bertinotti si è posto per davvero il problema di rappresentare gli interessi dei lavoratori e dei sottoccupati, precari e disoccupati con una consapevolezza di classe: la consapevolezza che si possono fare anche dei compromessi, nel senso alto del termine, ma che non si rinuncia al proprio programma e ai punti che si considerano fondamentali.

 Torniamo al caso Unipol.Come giudica l’informazione sul coinvolgimento dei Ds?

Non capisco bene una cosa. Il caso Unipol è oggi oggetto di inchiesta da parte della magistratura. Sarebbe quindi giusto aspettare che i giudici si pronuncino e via via farsi un’idea sulla base di quello che dicono gli avvocati e gli indagati. C’è invece una campagna molto dubbia nella stampa, che dà per certo una colpevolezza sicura e allargata. Io aspetterei l’esito processuale prima di formulare un giudizio definitivo. E’ però vero che coloro che sono in qualche modo sospettati o accusati invece di pronunciare parole chiare, fanno dichiarazioni sul piano giudiziario e politico che sono tutto un dico e non dico. Situazioni di questo genere spiegano come ci sia un clima generale di nuovo qualunquismo.

 E gli intellettuali: non sarebbe il caso che si pronunciassero? Luperini,su queste pagine, rimpiangeva figure del calibro di Pasolini, Fortini, Volponi, capaci di intervenire nel dibattito pubblico perché conoscevano bene di cosa parlavano, cioè il capitalismo, i suoi poteri, i suoi effetti.

Vorrei spiegare su che cosa sono d’accordo e su che cosa non lo sono. Lo sono sulla sua linea ideologica. Da un intellettuale non mi aspetto che intervenga su punti specifici e particolari delle vicende politiche che spesso richiedono una specializzazione, salvo il caso che sia davvero esperto in un determinato ambito. Mi aspetto però che prenda posizione sulle grandi linee ideologiche. Mi sembra che questa sia anche la posizione di Luperini: un intellettuale cerca in qualche modo di chiarire un sistema di interessi morali, politici e materiali, in quanto si sente organico a un gruppo sociale.

 In che cosa, invece, non è d’accordo?

Quando Luperini dice: ah che bei tempi quelli in cui c’erano Pasolini, Fortini, Volponi. Allora non sono affatto d’accordo. I tre intellettuali non erano assolutamente su posizioni avanzate; erano invece su posizioni o retoriche o sentimentali. Pasolini non si capiva che cosa volesse: essere marxista, cattolico o radicale. Era pieno di nostalgia per il mondo rurale, per le mitologie dell’arcadia viva e violenta delle borgate e del vecchio mondo. Fortini era un opportunista, moralista di ferro a parole, ma anche lui uscito dal quel gruppo di intellettuali che insieme a Volponi e altri lavorarono per Adriano Olivetti per ammorbidire i conflitti di classe e per creare e propagandare l’immagine di un capitalismo dal volto umano. Insomma, erano nella migliore delle ipotesi utopisti sbandati.

 Quale dovrebbe essere il compito degli intellettuali?

Prendere posizione: restituire alle forze proletarie della nazione, e se possibile anche di più, la coscienza che sono degli sfruttati, che i loro interessi non sono quelli che oggi vengono ventilati e che la politica non è mai la realizzazione di ideali predisposti, è il massimo che si possa ottenere in una situazione concreta. Allora io scelgo Bertinotti. In un contesto orribile, con conflitti di classe, miserie, sfruttamenti, guerre preventive, terrorismo scelgo la posizione più vicina a un punto di vista critico, realista, che si pone il compito essenziale di restituire al proletariato la coscienza di classe. Qui si colloca anche il rapporto tra etica e politica: chi difende i miei interessi non può che essere una persona onesta, cioè prima di tutto qualcuno che combatte a fondo gli interessi del capitale.

http://www.liberazione.it/notizia.asp?id=3833

Messaggi

  • Vittorio Foa-
    anni 95-
    grande vecchio della sinistra-
    mente lucidissima:

    "Questo presente non mi piace.
    C’e’ una straordinaria possibilita’di far soldi, una smodata capacita’ di far quattrini da parte di gruppi della finanza, che contrasta con lo stato di grandi parti del paese e con le condizioni di molta gente.
    Proprio mentre le condizioni di tutti peggiorano, i salari sono bassi, si tagliano i servizi, vedere questo spettacolo e’ spiacevole.
    Ritengo che anche da parte nostra ci sia stata disattenzione per i problemi della vita comune e ci sia stata una certa facilita’ di far soldi.
    La politica non deve entrare nella finanza.
    Metterei una mano sul fuoco sull’onesta’ di Fassino, ma credo che egli non abbia visto abbastanza il confronto della ricchezza di pochi con i bisogni di molti.
    La finanza e’ ricerca di denaro attraverso lo scambio.
    Noi dovremmo avere come scopo la societa’, non il denaro.La finanza va conosciuta ma non si deve lasciarsene prendere!"

    Altri tempi. Altre persone. Hanno fatto i loro errori, ma erano ben altri personaggi.
    Lama, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Foa...
    Ora e’ il tempo della gente piccola. C’e’ poco da essere allegri.
    viviana