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Perché si vuole colpire al cuore il sindacato

Publie le venerdì 7 novembre 2003 par Open-Publishing

Sindacati Rina Gagliardi

Il centrodestra tenta di gettare discredito morale, prima che politico, sulla Cgil

di Rina Gagliardi

Perché si vuole colpire al cuore il sindacato

Con quella sua aria di gentleman che ha fatto gli studi a Eton e non alza mai la voce, Sandro Bondi ha sparato la sua cannonata: «Non si può ignorare» ha dichiarato il berlusconide doc «che alcuni dei brigatisti arrestati in questi giorni facevano parte della Cgil». Tesi non inedita, ma velenosamente e violentemente rilanciata, quasi con un piglio "terroristico", in una fase sociale e politica certo non ordinaria. All’indomani, cioè, di uno sciopero generale, pienamente riuscito, a difesa delle pensioni, ma anche nel cuore di una densa mobilitazione sociale (tra una settimana lo sciopero nazionale Fiom) e alla vigilia di una imponente discesa in piazza delle opposizioni politiche. In affanno evidente, e in perdita secca di consensi, il centrodestra reagisce dunque tentando di gettare discredito morale, quasi prima che politico, sul suo più agguerrito avversario. Non solo i sindacati di base, non solo il movimento giovanile e no global, ma, appunto, la maggiore organizzazione sindacale, la Cgil, diviene il bersaglio privilegiato della criminalizzazione delle lotte sociali e di classe, tout court equiparate ad atti terroristici o comunque a iniziative "eversive", illegittime, sospettabili di torbide "contiguità". Non ci si sono messi, del resto, anche gli ex-brigatisti iperpentiti ad aggiungere confusione a confusione, a confondere i propri (dolorosi) bilanci personali con il giudizio storico e politico? Non c’è in corso una rappresentazione sovraeccitata delle nuove Br, alle quali (da destra e da sinistra) non si consente mai la tragica dignità di essere soltanto se stesse?

In un clima così intorbidato, insomma, chiunque riproponga ipotesi di complotto, o le più improbabili teorie di complicità, un qualche effetto è destinato a produrlo. Quelli del centrodestra ci marciano, com’è ovvio, e non sono solo i "falchi". Che quella di Bondi non sia una sortita improvvisata, o specificamente forzitaliota, lo attesta l’iniziativa appena antecedente del moderato Giovanardi contro la Fiom, così come, non poi un’epoca fa, il maldestro tentativo di tirare in ballo Sergio Cofferati. In realtà, è il governo, nel suo insieme e in quanto tale, che vuole - vorrebbe - liberarsi della Cgil, colpirla al cuore. Una volta che la più forte struttura sindacale del paese fosse gravemente delegittimata, indebolita o destrutturata, l’intero movimento sindacale ne uscirebbe malconcio, marginalizzato. Un fatto che muterebbe in profondità la costituzione materiale del paese, quel che resta della sua democrazia effettiva.

Due strategie
Nel mirino della Cdl, cioè del suo blocco dominante, ci sono dunque i sindacati, come tali. Parafrasando il generale Sherman, Berlusconi & C. potrebbero a questo punto far proprio il motto "l’unico sindacato amico è il sindacato morto". Non è stato sempre così. Nella sua fase iniziale, il governo oscillò a lungo tra due strategie diverse e relativamente opposte: quella "cooptativa", che puntava a dividere l’opposizione, soprattutto l’opposizione sociale, integrando l’ala più moderata e neocorporativa e, al tempo stesso, isolando la sinistra; e quella "frontale", thatcheriana, che mirava, sic et simpliciter, a smantellare tutte le forme organizzate del conflitto, e a distruggerne ogni potenza politica. Frutto della prima fu il così detto "Patto per l’Italia", con il quale il centrodestra riuscì a dividere i sindacati, ad assicurarsi un rapporto privilegiato con la Cisl (e la Uil, ma anche numerose strutture associative provenienti dal mondo della sinistra, come la Cna), a promuovere una stagione di accordi contrattuali separati. Un’esperienza di breve durata, grazie al "risveglio" della Cgil (le straordinarie manifestazioni della primavera 2002). Ma, anche e soprattutto, di efficacia pressochè nulla, rispetto ai risultati di ripresa dello sviluppo e stabilità sociale che la nuova pratica concertativa si era prefissata: la recessione economica, e la desolante vuotezza delle casse dello Stato, hanno impedito ogni concreta articolazione dell’accordo. A questo punto, l’ipotesi "radicale" è tornata a prevalere. Perché? Non solo per le ragioni politiche e sociali - lo scontro avviato da Cofferati - che abbiamo detto, ma per le difficoltà del quadro d’insieme. Intanto, per realizzare la più ambigua e discutibile delle concertazioni, occorrono risorse (che non ci sono), idee (che latitano), progetti (che non si vedono): questa classe politica non ha, a questo punto, alcuna visione che vada oltre la propria sopravvivenza nel breve termine. Non è quindi in grado di stipulare alleanze, o di articolare tatticamente il proprio "comando". D’altra parte, è pur vero che il conflitto tra sindacati e governi tende a diventare un fatto quasi endemico, in Europa e in occidente: il neoliberismo, anch’esso in affanno strategico, ha nei sindacati nemici strutturali, irriducibili. Quanto all’Italia, dov’è oggi una "borghesia nazionale" in qualche modo interessata a proporre alle organizzazioni dei lavoratori una ipotesi pattizia, un compromesso, una qualche forma aggiornata di politica dei redditi o di patto tra produttori?

Oltre i rumori della polemica quotidiana, alla fin fine, quel che si profila è uno scontro di civiltà. Quella che è stata imperfettamente costruita da decenni di lotte e di conquiste sociali, innervata di politica organizzata e di pratiche collettive. E quella selvaggia, atomizzata, senza diritti, senza il diritto di associarsi oggi in sindacato, domani in partito. Nella sua logica "terroristica", uno come Bondi - che non è in grado di distinguere la lotta di classe organizzata dalla follia omicida di un piccolo gruppo - intuisce in fondo che questa è la vera posta in gioco: o noi o loro.

rina.gagliardi@tiscalinet.it