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RICORDO DI GIOVANNI PIOLI

Publie le venerdì 3 febbraio 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Storia Carmelo R. Viola

di Carmelo R. Viola

Giovanni Pioli è una delle persone più nobili e più amabili che io abbia conosciuto fra migliaia di figure mediocri o scialbe. Per coerenza con la propria coscienza morale e sociale, costui aveva buttato la veste talare alle ortiche per dedicarsi alla libera ricerca e divulgazione della “verità che fa liberi” - come dice un negletto versetto della Bibbia. Stavo per dire “per seguir virtude e conoscenza”, ripetendo le parole di Dante. Se non ricordo male, era un acceso fautore del “modernismo”, considerato dalla Chiesa cattolica eresia meritevole di anatema. Pioli era, a mio avviso, un laico per costituzione e doveva avere accettato la ferrea catechesi del seminario non so per quali circostanze esistenziali, talora perfino violenti come certe pretese genitoriali di “vestire il pupo secondo fede maniaca o convenienza”, o probabilmente nella convinzione che quella fosse, tutto sommato, la strada per diventare il meglio di sé stesso.

Un uomo geniale e giusto, che si ritrova attanagliato nella gabbia dogmatica di un istituto machiavellicamente autocratico, quale è quello romano dei papi, o ne viene espulso per totale incompatibilità o se ne fugge come da un sogno terrificante. Non conosco - o non ricordo - l’esatta storia della crisi che portò il Pioli fuori e contro la terribile piovra dei sedicenti referenti storici di Pietro. So che si rivelò quello che si dice un uomo libero, un libero pensatore, un combattente disarmato volontario per la verità e la giustizia. Come tale si sentì attratto per affinità direi magnetica dagli ambienti nonviolenti, anarchici e di coloro che continuano ad onorare il ricordo di Giordano Bruno, la cui statua si erge nella Piazza dei Fiori di Roma a perenne condanna della impostura e ferocia dell’Inquisizione.

Me lo fece conoscere come studioso e scrittore l‘amico Francesco Sciuto, militante nonviolento, docente di Cristianesimo Antico presso l’Università di Catania e pubblicista. Era il tempo della stampa anticlericale, del famoso “Don Basilio” ed altri fogli “mangiapreti” come “Il Mercante” e della caccia ai vilipendiatori. Io ero già stato processato, condannato ed amnistiato (sic!) assieme al direttore del settimanale anarchico “Umanità Nova” di Roma, Umberto Consiglio, per avere citato l’aforisma di Arturo Schopenhauer. “ Se un Dio ha creato questo mondo non vorrei essere io perché la miseria umana mi spezzerebbe il cuore”. Era anche il tempo in cui impazzava il caso della statua della Madonna siracusana, che si era messa a lacrimare. Era l’ennesimo caso di miracolismo pagano di fronte al quale la Chiesa segue un preciso percorso subdolo: dapprima esprime scetticismo: la cautela prudenziale di chi, prima di esprimersi, esige la certezza dei fatti ma - e questo è l’essenza dei fatti, che sfugge ai più -, il solo attendere presuppone la possibilità di un miracolo contro la logica e la scienza secondo le quali non può esistere alcun miracolo all’interno di quell’unico incommensurabile miracolo che è la vita per miracolo intendendo una deroga alle leggi che governano il divenire della vita stessa.

Tramite lo stesso Sciuto ebbi l’aureo libretto del Pioli dal titolo “Luce sul mistero. Come si spiega la comparsa di lacrime e sangue su immagini di Madonna” e quasi contemporaneamente ricevetti la recensione dello scrittore milanese Luigi Rodelli, noto anche come fondatore dell’”Associazione per la libertà religiosa in Italia” (ALRI). La nota critica la ospitai nel numero di marzo 1957 della mia “Previsioni” (Rassegna internazionale polemica di cultura umanistica e sociale). Il recensore riassume in una sintesi pensosa i pregi del lavoro e le qualità dell’autore. Pioli, dopo avere ricordato che “anche le statue dei pagani sudavano lacrime e sangue” e che “ogni fenomeno è l’anello di una catena interminabile di cause ed effetti”, accenna all’”origine psichica delle visioni tipo Lourdes, Salette, Fatima, provocate da individui ipersensibili in genere fanciulle e contadinelli, dall’incrocio e dall’interazione di radiazioni cosmiche con le telluriche causate da corsi d’acqua giacimenti di minerali e metalli esistenti nelle località in cui avvengono tali perturbazioni psichiche”. Dunque, la presunta lacrimazione della Madonna di Siracusa - conclude il Rodelli - va ascritta alla fenomenologia psico-fisica, ovvero alla presenza di un soggetto psicopatico. E davvero la statuetta in causa “lacrimava” mentre un giovane soggetto dispsichico, abitante nella stessa casa, era in preda a crisi epilettiformi. Il saggio (intendo il testo in questione) era anche un inno alla religiosità, che, per il Pioli (come per il sottoscritto) è il legame mistico-affettivo dell’uomo con il tutto, e che non ha niente a che vedere con la religione istituzionalizzata, canonizzata, ridotta ad un codice catechistico di verità chiuse e di precetti con il solo dovere dell’obbedienza cieca e senza possibilità di appello della coscienza. Così ebbi occasione di conoscere, assieme all’uomo, anche lo scienziato.

Anch’io, come giornalista e come uomo, mi recai a Siracusa, per vedere la famosa statua, ma non vi riscontrai lacrime di sorta. I miei servizi (cinque, se non ricordo male), che contenevano mie ipotesi personali, vennero ospitate da testate varie ed anche dal periodico italo-americano “L’Adunata dei Refrattari” ed ottenne il plauso dell’allora noto sensitivo Eugenio Vento di Torino. L’iter subdolo della Chiesa si concluse con la costruzione di un immenso luogo di culto dedicato alla “Madonna delle lacrime” arricchendo la piovra di un ennesimo punto di suggestione collettiva e di cattura mentale.

Nel numero di settembre di “Previsioni” dello stesso anno ospito un intervento del Pioli dal titolo eloquente “Israele c’è e resterà dov’è” dal quale si scopre come anche il saggio uomo credesse nello Stato avveniristico dei Kibutzin e nelle migliori intenzioni dei suoi promotori, dietro lo sconcerto della persecuzione di cui gli ebrei erano state vittime anche in Italia. Anch’io sentivo alla stessa maniera finché mi ricrederò. Avevo un corrispondente, un certo Hocchauser-Armony di origine tedesca, unico superstite della sua famiglia, ospite di un lager della morte, che mi scriveva da Haifa ed era entusiasta delle innovazioni sociali del nuovo Stato. Probabilmente il Pioli non avrà il tempo di ravvedersi. Scriveva Egli di un “piccolo civilissimo Stato, che sostiene, isolato, l’immane compito, di restituire una patria ad un popolo martire da due millenni”. La verità sarà ben diversa. Gli Usa - e questo lo dico io - avevano furbescamente sfruttata la contingenza storica per crearsi un punto geopolitico chiave nel Medio Oriente, usando il nascente e sempre più forte potere israeliano come cuneo nel mondo arabo. Vero è che le origini ebraiche risalgono dritte dritte a Gerusalemme (o Sion) e quindi alla Palestina ma anche all’Egitto. Tuttavia, è altrettanto vero che non si può riportare indietro la storia. Gli Usa avrebbero avuto la possibilità di dare un territorio agli ebrei nella propria immensa area evitando di farli stipare lungo una striscia compressa da forze avversarie, ma avrebbero perso la loro più grande occasione di fornirsi del più grande pretesto d’intervento militare nel mondo sotto la fattispecie del “terrorismo”: nella realtà del “contro-terrorismo” delle vittime del proprio imperialismo!

Del Pioli ospiterò ancora l’articolo “Princìpi e coerenza” nel numero di giugno 1958. Con esso lo studioso risponde ad una domanda di un certo Nico apparsa sul n.ro 2 del “Seme Anarchico” di Torino di quell’anno: se fosse dovuto per legge “far battezzare i neonati che nascono da genitori cattolici”. L’A. fa notare l’ignoranza della maggior parte dei cattolici - più consuetudinari che cattolici - i quali fanno battezzare i loro figli per “costumanza” senza sapere che il “sacerdote battezzante” “intima all’immondo diavolo di uscire da quella creatura per dar luogo allo Spirito Santo” (così offendendo il neonato, spiegherà più avanti) e senza rendersi conto che l’opera del prete ha un effetto anagraficamente indelebile. E’, infatti, sulla base dei registri parrocchiali che “la Corte Costituzionale” sentenzierà che in Italia la maggior parte della popolazione è cattolica”.

Lo studioso richiama, per l’appunto, alla coerenza, che non è compatibile con l’indifferenza e la ripetitività delle consuetudini solo per darsi l’illusione di avere fatto il proprio dovere. A tal proposito il Pioli ricorda il Concilio di Trento che nella sessione XIII del secolo XVI prevedeva la scomunica (disposizione sempre valida) per coloro che dicono che i battezzati, una volta consapevoli del sacramento, “debbano essere lasciati fare a loro arbitrio” con la sola restrizione di non potere ricevere l’Eucaristia e gli altri sacramenti. Giovanni Pioli, liberatosi del tutto della cattura clericale, ricorda come il battesimo pregiudichi e condanni degli innocenti ad una catena infrangibile a tutti gli effetti mentre la sua assenza lascia liberi i soggetti, una volta in età di ragione di scegliere, se lo vogliono, anche la sudditanza passiva alla teocrazia dei papi. Il Pioli era per il rispetto rigoroso dell’innocenza dell’infanzia - da sottrarre a qualsiasi catechesi - ma anche di qualunque religione praticata n piena coscienza salvo a confutarla in un dialogo leale fra adulti, nello spirito di Thomas Jefferson, che la rivista “Previsioni” riportava sul proprio frontespizio: “Qui non abbiamo paura di seguire la verità ovunque questa ci possa condurre né di tollerare qualsiasi errore finché la ragione è lasciata libera di combatterlo”. Il contenuto dell’articolo sopra citato è tuttora di estrema attualità.

Qualche anno dopo conoscerò personalmente il Giovanni Pioli che, per me, alquanto giovane, era grande non solo di anni ma anche di esperienza. L’alone di simpatia e di rispetto che lo circondava negli ambienti che io frequentavo, ed anche la mole fisica, me lo facevano apparire ancora più grande. L’incontro avvenne in casa del già citato Luigi Rodelli ed io sentì come il fluido tonificante di un uomo che ha sofferto non poco per amore di coerenza e di giustizia. Della eventuale scomunica non gliene importava più certamente un bel niente ma non degli effetti nel lavoro e nella vita civile in ottemperanza ai Patti del Laterano, non esenti da spirito inquisitoriale. “Previsioni” - apro una parentesi - aveva un altro collaboratore ex prete: si chiamava Antonino Fradà. Questi, in applicazione dell’art. 5 (cito a memoria) di quei Patti, non poteva svolgere un lavoro che lo mettesse in contatto con il pubblico. Il pover uomo aveva ottenuto dal Comune di Messina, per pietà, il posto di guardacessi presso un giardino pubblico! Chiudo la parentesi.

Era con me mio figlio, Gianni, oggi scrittore affermato. Al momento delle presentazioni, Giovanni Pioli ebbe a dire a questo: “figlio di cotanto padre!” Non poteva farmi elogio più grande. Il Pioli aveva una grossa tumefazione su una guancia: forse il tumore che di lì a poco ne chiuderà l’esistenza.

Qualche anno dopo un gruppo di estimatori, fra cui il citato prof. Francesco Sciuto, lo ricorderemo in un libro dedicato alla sua memoria.

Quell’incontro, quasi occasionale, mi aveva dato la piena immagine di tutta la bonomia e la saggezza di un uomo che aveva conosciuto il potere vorace e vendicativo di un istituto che si richiama indegnamente a Cristo - storico o mitico poco importa. Quell’incontro m’è rimasto fermo nella retrospezione interiore come un evento-chiave della mia carriera di ricercatore e di combattente senza partito traendone costante motivo di riflessione. Per questo sono contento di avere ricordato il compianto “commilitone” Giovanni Pioli, autore, tra l’altro (se la memoria non mi abbaglia) di una poderosa opera su “Fausto Socino”.

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