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L’angelo della balalayka

Publie le lunedì 13 febbraio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Storia

La guerra in Cecenia vista attraverso gli occhi di una ragazza di Grozny

di Milana Abuyeva*

Per festeggiare l’anno nuovo, la scuola del villaggio organizza una grande festa da ballo. Siamo alla fine del dicembre 2004. Una ragazza di 14 anni balla davanti allo specchio, indossando l’abito da principessa che sua madre le ha comprato per la festa. Già si vede danzare, sognando le eroine di Tolstoì e Lermontov, riscaldata da progetti per il futuro senza senso.

Quel vestito infatti non l’ho mai indossato e non ci fu nessun ballo, né quell’anno, né i seguenti. La guerra aveva fatto il suo ingresso nelle nostre vite, bruscamente. L’esercito russo aveva appena invaso la Cecenia. E con lui, sono arrivate ad abbattersi su di noi la morte, la disperazione, la distruzione e soprattutto la solitudine.

La guerra non ha solamente distrutto le città, i villaggi e le case, ma ha inquinato le nostre anime. Da quel giorno di dicembre del 2004 la nostra vita è diventata una lotta continua per serbare un’apparenza umana e restare almeno un poco i ragazzini che eravamo prima.

Continuare a vestirsi "chic", truccarsi, studiare è continuare a vivere. Ma la guerra soffoca ogni essere in uno stato di dubbio infinito e persino i più credenti fra noi si sono rivolti al Cielo per chiedere a Dio perché avesse lasciato a questa peste di rovinare le nostre famiglie.

E’ una cosa veramente difficile da credere. Non avevo la minima idea di cosa potesse essere la guerra: per me era un fatto lontano, di cui parlava talvolta la televisione. Un fatto totalmente estraneo alla ragazzina che ero.

Sono nata in un piccolo villaggio. Circondata dalla famiglia, la mia infanzia è stata spensierata, felice. Amavo il mio villaggio ma ancor di più Grozny, la capitale. Mia zia mi ci ospitava spesso. Ricordo le strade illuminate di notte, i parchi, i musei, e soprattutto i cinema, dove mi rifugiavo di nascosto per vedere i film sconsigliati ai bambini.

GroznyOra, a Grozny, non ci sono che rovine. L’esercito russo ha interamente raso al suolo la città più ricca e moderna della Regione, nota un tempo come la "Parigi del Caucaso". Dei suoi cinema, musei, biblioteche, non restano che scheletri abitati da fantasmi.

Durante la prima guerra, dal 1994 al 1996, il nostro piccolo villaggio fu letteralmente inondato dai rifugiati. All’epoca non avevamo ancora finito di costruire la nostra casa, e in sedici ci stipammo in due stanze.

Dovevamo andare a cercare l’acqua al fiume e fare luce con le lampade ad olio. E’ stato come un violento ritorno al Medio Evo, ma i problemi materiali non sembravano importanti allora. Segnavamo con una pietra bianca ogni giorno trascorso senza la notizia della morte di un parente o di un conoscente. Gli adulti passavano il loro tempo partecipando a funerali, fino a quando non ci andò più nessuno, perché era diventato troppo pericoloso ma anche perché ci venne negato il diritto di seppellire i nostri morti.

Dopo Grozny, l’esercito russo attaccò il nostro villaggio, e fuggii con mia madre verso la capitale. Ci ho terminato il liceo, in una scuola mezza distrutta. Nonostante tutto ho serbato dei bei ricordi, malgrado i soldi che bisognava versare ai militari per recuperare i cadaveri e i racconti atroci dei prigioneri scampati ai "campi di filtraggio" , ormai disseminati ovunque.

Nel 1996, l’esercito russo si è ritirato. Finalmente la pace. Eravamo felici, sollevati. Ma ovunque c’erano questi bambini resi storpi e persone impazzite per la morte dei genitori o dei figli. Mi ricordo degli occhi di quei piccoli esseri feriti, che ci impedivano di festeggiare veramente la pace.

Sono entrata all’Università. La guerra si allontanava a poco a poco dal mio animo, anche se tutto sembrava annunciare un nuovo conflitto.

MilanaFino a quando bussò di nuovo alle nostre porte nell’ottobre del 1999, restammo a lungo increduli su una nuova guerra. Non poteva ricominciare! Ma così fu, e fu anche peggio.

Ci rifugiammo in Inguscezia, assieme a decine di migliaia di ceceni. Poi, rientrammo a Grozny ed io ripresi gli studi, ma la città non assomigliava più a nulla. La "Parigi del Caucaso" era diventata "Griazny Grozny" -Grozny la Sporca- un caos di corruzione, rapimenti, di "zatchistka" ("pulizie"). Sono decine le sporche storie di una sporca guerra a venirmi in mente. Ed eccone una fra tutte.

Un uomo di circa quarant’anni veniva di tanto in tanto a suonare la "balalayka", uno strumento simile alla cetra, nel mio cortile. La guerra gli aveva preso tutto, anche il senno. Vagabondava per la città, solo con il suo strumento e la sua musica, il suo unico tesoro. L’ho conosciuto assieme a un’amica, e gli piaceva raccontarci che "prima" suonava in un’orchestra e aveva viaggiato in molte regioni. Le sue storie terminavano sempre con queste parole, pronunciate a bassa voce: "Ma poi, la guerra...".

Un giorno, arrivò nel nostro cortile senza musica. Un gruppo di uomini voleva imporgli "la protezione". Siccome non aveva denaro, decisero di prendergli la balalayka. Così, per non consegnar loro il suo tesoro, la spezzò, perdendo così anche la sua ultima ragione di vita. La mia amica ed io raccogliemmo così dei soldi Il mercato di Grozny (foto E.Piovesana)per compragli una nuova balalayka, e andammo a cercarne una al mercato. Ma quando tornammo, era troppo tardi. I russi avevano fucilato il povero musicista pazzo con altri otto giovani del quartiere. Il giorno dopo la televisione russa annunciava che: "...nove terroristi ceceni erano stati eliminati dall’esercito".

Grozny è così, colma di morti e menzogne. E sono le menzogne ancor più dei morti a contaminare la mia città, il mio paese, la Russsia e persino il mondo. Così si chiamano "terroristi" o "banditi" i giovani andati sulle montagne per difendere la loro terra o semplicemente vendicare i propri cari. Io non li idealizzo: fra i combattenti ci sono arrivisti e fanatici islamici, ma molto più numerosi sono i giovani che amano la vita e che lottano per la propria casa e libertà, o semplicemente per non morire in prigione, dopo essere stati portati via senza un motivo.

Questi ragazzi della mia età, con i quali condividevo l’amore per gli stessi film e canzoni, hanno dovuto seppellire i loro amici di notte, scavando con dei semplici coltelli, e ora sono chiamati "banditi".

MilanaOggi il mio paese è minato dall’odio. Io stessa ricordo di aver provato per la prima volta quest’odio tornando al mio villaggio durante la prima guerra: tutto era distrutto. Ho trovato i miei disegni bruciati in mezzo ai rifiuti e agli escrementi dei soldati. E ho capito in quel momento i sentimenti espressi da Tolstoì in "Hadji Mourat", il libro sulle guerre caucasiche dell’Impero Russo: "Una volta partito il nemico, si fa ritorno al villaggio.

La casa è stata saccheggiata, il tetto ha ceduto, le porte sono state bruciate e gli interni insudiciati. Il cadavere del figlio giace sul soglio della moschea... Il pozzo è stato sporcato, affinché gli abitanti non possano più attingervi l’acqua. Anche la moschea è stata sporcata. Nessuno parla o esprime il proprio disgusto per i russi. I sentimenti condivisi da tutti i ceceni, dal più piccolo al più anziano, erano del resto ben più forti del disprezzo".

Ecco come cent’anni fa un grande scrittore russo ha dipinto nel miglior modo possibile i sentimenti estremi che albergano nel mio popolo oppresso.

*Milana Abuyeva è una ragazza cecena di 25 anni. Gazie all’associazione ‘Studi Senza Frontiere’ (Esf) da due anni frequenta un master in giornalismo al prestigioso Institut d’Etudes Politiques di Parigi allo scopo di tornare a Grozny e fondare un giornale indipendent

http://www.peacereporter.net/dettag...