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In cauda venenum

Publie le lunedì 13 marzo 2006 par Open-Publishing

Dazibao Governi

di Giustiniano Rossi

Il governo Berlusconi tende ormai a disfarsi, come uno di quei vecchi calzini che, malgrado i ripetuti lavaggi ed i sapienti rammendi, continuano inesorabilmente a lacerarsi e puzzano altrettanto inesorabilmente di piedi.

Erano passati appena sei mesi dal suo insediamento quando su quel maleodorante calzino nero-azzurro che é il governo delle destre apparve il primo buco. Renato Ruggiero, ministro degli esteri, ex direttore dell’OMC, che Berlusconi defini’ "un semplice tecnico le cui parole non possono assolutamente avere conseguenze politiche", per quanto abituato a digerire rospi ben più che consistenti, non riusci’ a mandar giù l’atteggiamento della Lega lombarda nei confronti dell’Unione europea.

Chissà cosa aveva capito quando aveva accettato l’incarico in compagnia dell’allegra brigata partita alla conquista di Palazzo Chigi nell’ormai lontano 2001! Ed anche Agnelli, che per l’occasione pronuncio’ la "storica" frase "E’ una brutta giornata per l’Italia", forse pensava alla Fiat ed ai gioielli di famiglia o forse aveva esagerato con la sua amata cocaina, certo non rammentava gli elogi sperticati a Berlusconi che non aveva lesinato appena qualche mese prima!

Dopo meno di sei mesi, siamo già a luglio del 2002 ed il governo "dura" da oltre un anno, grazie ad una legge maggioritaria che anche la sinistra moderata aveva voluto a tutti i costi perché il paese fosse "governabile", il ministro degli Interni, Claudio Scajola, non puo’ fare a meno di dimettersi, dato che i suoi gentili apprezzamenti nei confronti del professor Marco Biagi, il giuslavorista padre della legge 30 - quella che ha generalizzato la precarizzazione del contratto di lavoro - assassinato a Bologna, vengono, malauguratamente per lui, pubblicati da alcuni giornali. Si tratta di vezzeggiativi tipo "rompicoglioni" o di severi giudizi nei confronti di uno che "puntava solo al rinnovo della consulenza".

Era lo stesso Scajola che sei mesi prima aveva ammesso che, a Genova perché il G8 potesse svolgersi nel migliore dei modi, le "forze dell’ordine" a guardia della "zona rossa" - quella dei potenti, lontanissimi dal cosiddetto popolo sovrano - avevano l’ordine di sparare a chi avesse tentato di violarla. Ebbene, un carabiniere aveva sparato in faccia a Carlo Giuliani, la sua jeep era passata e ripassata sul cadavere, qualche collega vi si era accanito a calci e sputi, centinaia di manifestanti, ben lontano dalla "zona rossa" erano stati massacrati nelle strade e nelle piazze di Genova, in una scuola dove trascorrevano la notte, persone inermi avevano subito un assalto di "tutori dell’ordine" giustificato dalla presenza di armi che essi stessi avevano messe al suo interno con conseguenti pestaggi, umiliazioni, brutalità irriferibili, altri ancora venivano ammassati in una caserma, picchiati, insultati, costretti a subire le più orribili violenze, centinaia venivano arrestati. Mentre tutto questo avveniva, Fini, l’ex delfino di Almirante ed attuale ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio, quello secondo il quale Benito Mussolini, condannato a morte dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, catturato dai partigiani mentre lasciava l’Italia alla chetichella protetto dall’uniforme e dalle armi dei valorosi camerati germanici e fucilato nel 1945, (forse un po’ di storia non é inutile) é stato il più grande uomo politico del XX secolo, si precipitava a Genova ad incoraggiare le truppe e dichiarava pubblicamente che "Carlo Giuliani se l’era cercata".

A quell’epoca Scajola, l’ex oscuro medico di Imperia recuperato da Berlusconi dall’inesauribile serbatoio di mamma DC, si era guardato bene dal dimettersi, anzi aveva assunto orgogliosamente tutta intera la responsabilità dell’accaduto, distribuendo generose promozioni per merito ai responsabili diretti che oggi, dopo cinque anni, un tribunale di Genova sta tentando di processare fra mille difficoltà.

Due anni di "stabilità", dedicati alle "riforme" tipo Bossi-Fini e Moratti, ma soprattutto impegnati ad "aggiustare" i processi di Berlusconi e dei suoi compagni di merende Previti e Dell’Utri. Nel luglio 2004 la "strana coppia" Tremonti-Fini, divorzia in nome del sacro 3% di deficit sancito dall’inflessibile trattato di Maastricht, che neppure la Francia e la Germania, o per meglio dire il grande capitale finanziario franco-tedesco, che se lo sono confezionato su misura, riescono a rispettare. Fini tiene duro e lancia un chiaro messaggio alla nuora, Tremonti, perché la suocera, Bossi, intenda, e Berlusconi - che sa che con i camerati, sia pure post ed ormai in doppiopetto come lui, non si scherza - sostituisce l’amato Giulio con il suo braccio destro, Siniscalco. Tremonti, l’uomo della finanza creativa, anch’egli ripescato, nell’ormai remoto 1994, dalle fila della DC, non resterà disoccupato, infatti é il più famoso fiscalista d’Italia: in italiano facile, é l’asso nell’elargizione di consigli non disinteressati a quanti, sono tanti e tutti elettori del loro maestro e leader dichiarato, Berlusconi, cercano un mezzo per evadere le tasse.

Il 19 novembre 2004, dopo due anni di servizio alla Farnesina, il ministro degli Esteri Frattini viene promosso commissario europeo. Durerà più di Buttiglione. Fini aggiunge all’incarico di vicepresidente del Consiglio quello di ministro degli Esteri: é il top per l’ex ragazzo prodigio del MSI, che da anni rodeva il freno berlusconiano, impaziente di coronare le sue ambizioni accomodandosi sulla poltrona del ministero più prestigioso.

Cinque mesi dopo, siamo ad aprile 2005, malgrado la sua stabilità a tutta prova - sempre più insidiata, é vero, da magistrati troppo solerti - Berlusconi é costretto ad un rimpasto. Il ministro della Sanità, Sirchia, all’origine dell’unica riforma vera varata dal governo, quella che proibisce il fumo nei locali pubblici - che infatti gli Italiani, per una volta tutti, o quasi, d’accordo, apprezzano ed applicano senza problemi - viene travolto da un’inchiesta della magistratura su delle tangenti. Quale novità! Gli succede Francesco Storace, ex presidente della regione Lazio, trombato, come il suo collega presidente della provincia di Roma e quasi tutti gli altri presidenti di regione della destra, alle elezioni amministrative. L’uomo é noto soprattutto a Roma, fin da quando, in gioventù, si distingueva nelle file dei picchiatori dell’MSI insieme agli attuali ministri Gasparri, Alemanno ed altri minori, ma ancora più grossi e cattivi. Ed a Roma e nella regione Lazio Storace ha costruito una formidabile rete clientelare, remunerando generosamente i vecchi camerati, non rifuggendo da metodi che, vedremo fra poco, gli costeranno cari.

Tremonti torna in pista, al posto di Siniscalco, per riprendere il lavoro interrotto di svendita del patrimonio pubblico, che realizza accreditandone creativamente i proventi non ancora riscossi sui bilanci degli anni a venire (la cosiddetta cartolarizzazione), e anche per Scajola, rimasto in paziente quanto silenziosa attesa, c’é di nuovo un posto per sostituire Marzano, allontanato. I postfascisti si sbranano fra loro - ma senza conseguenze irreparabili, dato che sono tutti d’accordo nell’opportunità di divorare la torta e si dividono solo sull’entità della porzione che tocca a ciascuno - e dunque Landolfi prende il posto di Gasparri, mentre La Malfa conquista un posticino alle Politiche Comunitarie, la poltrona di Buttiglione, che ne ha comunque un’altra a disposizione, quella, ahinoi, dei Beni Culturali.

Il successivo "ritocco" é di cinque mesi dopo: il 14 aprile 2005 Follini si dimette dalla carica di vice-primo ministro, che occupava in condominio con Fini. I risultati delle elezioni amministrative cominciano a produrre le prime defezioni ed i "centristi", perennemente col culo fra due sedie, sono i primi a dare segni di cedimento. Osano addirittura chiedere le dimissioni di Berlusconi ed elezioni anticipate. Follini trova facilmente dei sostituti e torna a fare il parlamentare, tanto per i tipi come lui, che hanno fatto una lunga gavetta nelle fila della DC, c’é sempre un posto a tavola.

Ed arriviamo all’ultimo anno della legislatura, quando i nodi vengono al pettine o, per usare un’espressione meno fine ma forse più appropriata, quando gli stronzi vengono a galla. Stanco di nascondere il suo vero volto, Calderoli, che ha sostituito Bossi al ministero delle "Riforme" l’11 marzo 2004, quando il valoroso capo padano, infortunato, ha dovuto lasciare, non si lascia sfuggire l’occasione della "crisi delle vignette" per imitare Berlusconi e Pera, inneggiando sguaiatamente alla superiorità della civiltà cristiana ed esibendo una maglietta decorata con la testa del profeta sul petto villoso. Deve lasciare il ministero, dal quale ha diretto la "grande riforma" voluta dalla Lega lombarda, la cosiddetta devolution, fornendo all’odiato concorrente fascista Fini, xenofobo e razzista quanto e più di lui, l’occasione di fare sfoggio della sua moderazione nei confronti del mondo mussulmano dopo averne esibita altrettanta con i discendenti dell’odiata razza ebraica.

Infine, in questo crepuscolo del basso impero berlusconiano, (ma é veramente la fine?) il ministro della Sanità, Storace, tornato quasi vergine come padre di famiglia, cattolico esemplare, sempre in prima fila a baciare le sacre babbucce del santo padre o di qualsivoglia prelato in servizio nella Capitale, plurifotografato mentre va a messa la domenica con la moglie e i bambini, deve dimettersi perché al centro di uno scandalo di intercettazioni telefoniche a danno di concorrenti della propria parrocchia e di quella avversaria. Ha perfino pestato i piedi alla nipotina del duce, nota, insieme ad altre camerate, per la sua inimitabile finezza e per la signorilità del gesto.

Una manna per Prodi e la coalizione di centro-sinistra, che ha appena incassato la benedizione del Corriere della Sera, l’inossidabile testata milanese sempre pronta a schierarsi dalla parte del potente di turno, regime fascista compreso, purché faccia o prometta di fare gli interessi dell’Assolombarda. Non é forse il Professore il campione del liberoscambismo? Colui che promette di detassare i contributi alle imprese, la decontribuzione del lavoro al posto del sostegno al reddito e dunque il sostanziale mantenimento del precariato, la privatizzazione dei servizi degli enti locali rimasti pubblici, il mercato dei farmaci in regime di "libera concorrenza", l’accelerazione del processo di liberalizzazione per formare nuove, grandi imprese?

Se gli elettori troveranno ragioni sufficienti per resistere alle sirene berlusconiane ancora appetibili, ma con i lineamenti ormai irrimediabilmente appesantiti dall’uso del trucco, la specialità di Silvio, rispondendo all’auspicio che da tanta parte di un paese devastato da cinque anni di un governo che non aveva lesinato promesse tanto numerose quanto non mantenute impossibili da elencare qui, le forze della sinistra radicale, il movimento sindacale ed i movimenti contro la globalizzazione, con il suo macabro corollario di guerre che insanguinano il pianeta, hanno davanti a loro una non facile battaglia per spostare in senso progressista il programma politico un’alleanza che ha tali e tante componenti moderate al suo interno da rischiare di sostituire, ancora una volta, una politica liberista con il liberismo in politica.

Parigi, 11 marzo 2006