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L’ultimo lavoro di Moretti, ’Il Caimano’, sarà nelle sale italiane da venerdì

Publie le giovedì 23 marzo 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Cinema-video - foto

Caimano il Cavaliere

di Marco Giusti

La vera novità politica della settimana, lo sappiamo tutti, non è Berlusconi che irrompe a Vicenza con 250 uomini di supporto per protestare contro Diego Della Valle che ha osato dargli del tu a Porta a porta. O i manifesti con Mastella che rivendica i valori della famiglia. No, la vera novità politica è la prevista uscita, venerdì 24, del nuovo film di Nanni Moretti, Il caimano.
Proprio il saperne nulla o quasi, a parte il titolo, quindi la metafora politica, e il grande manifesto con Silvio Orlando in piscina, che troviamo per le strade e, soprattutto su tutte le pagine dei giornali, rende il film ancora più forte nello scenario attuale.

Come se facesse parte di un grande disegno di campagna elettorale. Ma la verità è che fa parte, al di là dei voleri dei partiti o delle strategie creative ufficiali, dell’attuale campagna elettorale. È già un manifesto e presto sarà un film-evento. Quindi sarà impossibile non viverlo che in questo modo. Anche perché se ne parlerà più di ogni altro film, Notte prima degli esami compreso, più di ogni programma televisivo e più di ogni tenzone letteraria. Senza avere, è presumibile, nessuno spazio di approfondimento o lancio o salotto televisivo, nessuna promozione da Mara Venier alla Dandini, da Mentana a Marzullo, per il tema che affronta e per il titolo che porta, salva la prevista intervista da Fazio su Rai3 a Che tempo che fa sabato sera a film ormai in sala.

Meglio così, è ovvio. Del resto, negando perfino la conferenza stampa abituale che segue l’anteprima di ogni film, Moretti ben sta a questo gioco del silenzio «ufficiale». Un silenzio voluto e cercato che, proprio per l’attesa che fa crescere in questi giorni l’impalpabile presenza del film, porterà avanti il suo sottile gioco pubblicitario e politico. Ma proprio durante una campagna elettorale fatta di colpi bassi, di duelli all’ultimo sangue, di messaggi fin troppo chiari, di grida e di mancanza di tatto, dove si gioca, più di tutto, la forza di reazione civile di un intero paese, l’arrivo non tanto del film, quanto dell’idea di un film-metafora che, almeno apparentemente, punti al mettere in scena il problema Berlusconi, ci sembra che sollevi il dibattito a un gradino culturalmente maggiore o, comunque, diverso rispetto a quello a cui siamo abituati.

Fuori cioè dal contesto del chiacchiericcio politico-gionalistico o politico- televisivo per tentare, in quanto cinema, di darci un’elaborazione diciamo artistico-poetica di ciò che stiamo vivendo. E più l’oggetto rimane chiuso dentro di sé, cioè esterno al dibattito politico-mondano, più ci appare un eden rassicurante di un modo di fare politica e di fare cinema (un tempo le distanze non erano così lontane...) che da tempo non ci appartiene più. Esterno anche al modello satirico televisivo che pure ci può divertire ma che non ha mai affrontato fino in fondo il problema forse solo perch é, a un certo punto, non c’era più niente da ridere. O, comunque, non bastava e non basta più, visto che vogliamo sentire delle idee e non delle battute.

Per questo e per averci almeno concesso il sogno di un’operazione culturale legata a quello che abbiamo vissuto in questi anni e ancora stiamo vivendo, e per averla giocata in tempi così complessi e confusi in prima persona cioè esponendosi personalmente (e in vent’anni nessuno lo aveva fatto), Il caimano, comunque vada al botteghino o comunque funzioni politicamente (ma non se ne può davvero più delle paure dei film che fanno perdere le elezioni e delle mille critiche a Michael Moore...), ha già assolto a una funzione meravigliosa. Astrarci dall’orrore del presente, del day time politico, facendoci sperare che oggi in Italia, forse, si può ancora produrre cinema o cultura con la realtà e con la metafora.

Certo, sappiamo bene che non può arrivare all ’astrazione politica di History of Violence di Cronenberg o alla parabola di V per vendetta. Ma un titolo, una foto, un’idea di messa in scena, possono ancora aprirci un mondo dove non tutto è riconducibile a un dibattito in tv o un articolo di gossip o a una serie di sketch. Salvando, magari, il salotto buono di sinistra dove già si sono esibiti Umberto Eco e Alberto Arbasino. Se non è campagna elettorale questa... (marco giusti)

http://www.ilmanifesto.it/Quotidian...


http://www.edoneo.org/

Messaggi

  • L’esordio con i travagli dell’ultrasinistra
    poi la "sveglia" all’Ulivo delle liti, ora il premier

    Dal Pci a Craxi a Berlusconi

    Nanni "veggente" dei miti in crisi

    di FILIPPO CECCARELLI

    Se il berlusconismo è agli sgoccioli, e un certo cinema anticipa la realtà, a 17 giorni dalle elezioni vale la pena di ricordare che da più di trent’anni, là dove c’è una crisi politica, piomba Nanni Moretti.

    È ormai questione di antenna, di sensori, o di calamita. Basti pensare che il suo primissimo super8 s’intitolava già La sconfitta e metteva in scena l’eroicomica sofferenza di un militante dell’ultrasinistra.

    A questa specie di disagevole chiaroveggenza si può dire che Moretti è sempre rimasto fedele. Con il che, a partire dal lontano 1973, non c’è disastro strisciante, né pubblica disfatta o depressione di fede o di regime che non abbia previsto e illustrato, di solito con una risonanza che stavolta dovrebbe impensierire il Cavaliere. Perché fino a prova contraria il morso del Caimano è destinato a lui.

    Caso più unico che raro, Berlusconi non ha mai parlato di Moretti. Mai addirittura risulta averne pronunciato il nome, neppure al tempo dei girotondi, quando di colpo, un giorno di carnevale del 2002, trovandosi a passare sotto un palco a piazza Navona, il regista fuoriuscì dai suoi film per entrare sia pure brevemente, ma da protagonista, nella vita pubblica italiana.

    Forse in qualche modo il presidente del Consiglio ne ha paura; forse, da uomo di comunicazione e di spettacolo, non vuole fargli pubblicità. E tuttavia, nella grande battaglia per la conquista dell’immaginario, in quello spazio dove la politica entra in circuito con l’energia delle immagini e dei simboli, si tratta di uno scontro epico, e per tanti versi magari a suo modo perfino terminale.

    Di Moretti, come di ogni vero e nevrotico artista, si può pensare il meglio o il peggio. Ma sul piano quasi oggettivo dello sviluppo storico, nel prefigurare le imminenti magagne nazionali, nessuno più di lui appare recidivo. Così, si deve senz’altro a Io sono un autarchico (1976) e a Ecce bombo (1978) la più illuminante descrizione della crisi dell’ultrasinistra, il disincanto e poi lo sfascio esistenziale di una generazione di rivoluzionari. Militanti barbuti e un po’ spiritati che si infliggevano improbabili sedute di "autocoscienza maschile"; ragazze che "facevano cose e vedevano gente"; un piccolo mondo grottesco che se ne andava - "No, il dibattito no!" - alcuni dietro agli "indiani cicorioni" alla Festa del Sole di Machu Picchu; altri pronti a ricevere rassicurazioni da "un amico mio etiope" riguardo all’impossibilità di un golpe, per via di certe rotaie su cui non potevano transitare i carriarmati.

    "Il comico si annida nelle cerniere della storia come una ruggine corrosiva" scrisse allora Alberto Moravia. Ma se l’universo dei gruppuscoli sembrava minima e misera cosa da raccontare, non così fu dieci anni dopo la fine del comunismo che si involtolava su se stesso in Palombella rossa (1989), con tanto di deputato del Pci in palese crollo psicoemotivo: "Siamo uguali, però siamo diversi". Prima di essere raccolto dagli infermieri della neuro.

    Quindi Moretti, sempre in anticipo sulla scissione e la nascita travagliatissima del Pds, si dedicò a La Cosa (1990): un vero viaggio nelle sezioni di un partito che ondeggiava tra il caos più pauroso, le lacerazioni e il furbo ridimensionamento delle speranze, "una lezione di giornalismo" scrisse Rossana Rossanda.

    Ancora un anno e la rovina da prevedere e debitamente accompagnare nella concretezza delle vicende è quella di Craxi. Il portaborse, in realtà, è un film di Daniele Luchetti. Però s’impone anche perché Moretti incarna l’odiosa figura del ministro Botero, ricostruito come cinica sintesi di Martelli e De Michelis, con qualche sproloquio decisionista attinto di peso dai discorsi craxiani. Dopo averlo visto, il vicesegretario del Psi Giulio Di Donato dice: "M’è venuto da vomitare". Di lì a qualche mese, nella fornace del congresso di Bari, la prossima fine ingloriosa del garofano è davanti agli occhi di tutti. Basta saperla riconoscere.

    Prima e poi ci sono, è ovvio, diversi film non-politici. Storie di preti, di amori, malattie, solitudini, bambini. Pellicole riuscite e meno riuscite. Ma qui vale più ricordare il rabbioso sgomento per la sconfitta e l’ormai malinconica delusione, anzi addirittura l’estraneità che in Aprile (1998) Moretti riserva a quella stessa sinistra finalmente, ma invano al dunque giunta al potere. Gli ombrelli neri sotto la pioggia dopo il trionfo berlusconiano; le navi cariche di albanesi; e quell’ormai celebre tormentone che sanziona la trasformazione del militante in un tifoso davanti alla tv, con tanto di spinellone fumato sotto gli occhi di mamma: "D’Alema, dì qualcosa di sinistra!". E il D’Alema presidente del Consiglio se lo sentì rinfacciare, da un giornalista argentino, addirittura davanti alle cascate di Iguazù.

    Poi sì, certo, come si accennava, Moretti per un po’ fece davvero il suo ingresso in politica. Gli bastò, una sera, quella frase che suonava come una maledizione: "Con questo gruppo dirigente non vinceremo mai", indicando con la testa alle sue spalle D’Alema, Rutelli, Fassino (che prese cappello e se ne andò). E vennero allora le coreografie di piazza senza più le bandiere rosse, vennero i presidi sotto il Senato per la Cirami, e i palloncini da gonfiare, i giornalisti che spiavano dietro le vetrate del Nuovo Sacher, i commessi della Camera che intimavano una postura più consona, e il boato delle moltitudini sotto il palco a San Giovanni, quell’esordio così rauco e cantilenante, così morettiano: "Non perdiamoci di vista... ".

    Ma dopo? Boh. Un conto è avere l’occhio lungo, un altro perdersi di vista. Inoltre gli artisti come Nanni, si sa, valli a capire. Anni orsono Biancamaria Frabotta gli ha dedicato una poesia che si conclude così: "Per una storia che non ci attanagli/ per un mito della nostra taglia/ per una lacrima che non sia di coccodrillo". O di caimano, viene da pensare: che sempre di super-rettili in fondo si tratta.

    (23 marzo 2006) www.repubblica.it

    • Moretti. Non sposta voti, ma che importa?

      Arriva nelle sale il tanto atteso film di Nanni Moretti sull’Italia di Berlusconi: “Il Caimano”. Puntualmente, a sinistra, si è aperto il dibattito sulla sua utilità. E, puntualmente, si è riprodotta la solita cantilena di chi condanna l’antiberlusconismo perché farebbe perdere voti e chi invece sostiene l’esatto contrario. C’è persino chi, come il Riformista, il film non l’ha visto ma già prevedere che è brutto.

      Facciamo un discorso di onestà: gli spettatori di Moretti sono tutti di sinistra, o centrosinistra, e già hanno deciso chi votare. Così come quelli della Guzzanti, o i lettori di Travaglio, tanto per citare i mostri sacri dei girotondi.

      D’altro canto, pensare che una fetta di indecisi venga influenzata da un film che non vedrà appare perlomeno esagerato.

      E allora, a cosa serve il film di Moretti? A nulla. Come è giusto che sia. E’ arte, e l’idea che l’arte debba essere sempre utile ad una causa è un’idea totalitaria.

      www.rossodisera.info