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Adriana Mater : nella Parigi in rivolta un’opera sulla guerra

Publie le mercoledì 5 aprile 2006 par Open-Publishing

Dazibao Musica-Opera Francia Chiara Ristori

Di Chiara Ristori

Lunedì sera all’Opéra Bastille di Parigi una sala mezza vuota ha assistito all’avvenimento musicale più atteso della stagione. La creazione mondiale di un’opera inedita. Il suo titolo, un nome di donna: Adriana Mater (in replica dopodomani, il 10, 12, 15 e 18 aprile). Alla quale un’altra donna, la compositrice finlandese Kaija Saariaho, ha affidato una sostanza musicale (lugubre e dolorosa) sul testo drammatico dello scrittore libanese Amin Maalouf.

È la loro seconda collaborazione, sei anni dopo L’amour de loin. Ma questa volta non si tratta dell’amore da lontano, in un lontano passato, all’epoca dell’ amour courtois. Al contrario, questa è una storia di odio, e da vicino. È la nostra storia contemporanea.

In un paese in preda alla guerra civile, nel quale possiamo riconoscere una regione dei balcani alla fine del XX secolo, Adriana, una giovane donna, è vittima di uno stupro. Violentata non da un nemico -sarebbe troppo facile additare « l’altro » come colpevole- ma da un membro della sua stessa comunità. Incinta, in preda a dubbi atroci, la donna rifiuta di abortire. Questa figlio, nato dalla violenza di un carnefice su una vittima, sarà a sua volta un assassino? Il dovere della vendetta incomberà su di lui, un giorno ? È quanto sembra sperare Adriana. O forse il perdono ?

Come L’amour de loin, questa nuova opera è stata commissionata dal neo-direttore dell’Opéra de Paris, Gerard Mortier, al quale è anche dedicata. La prima, prevista per il 30 marzo, era saltata a causa dello sciopero degli intermittenti dello spettacolo, solidali con i manifestanti anti CPE. In preda all’inquietudine generale che anima questa primavera parigina, che dalle strade sembra pervadere ogni momento del quotidiano, o piuttosto febbrile come ad ogni « prima » di cui è il fierissimo promotore, Mortier si agitava nella sala delle conferenze.

Come un padre in attesa accanto alla sala parto. È possibile scegliere di dare la vita ? Creare invece di distruggere, in un mondo in guerra? lanciava il direttore al pubblico saggiamente disposto al rituale della « presentazione dello spettacolo ». Come allevare il proprio figlio in un paese devastato ? Educarlo nell’odio, o scegliere di mentire sulle sue origini, per farlo crescere nell’amore ? Sperando per lui un destino migliore ? Perché Adriana, lei , sceglie di nascondere al figlio l’orrore del suo concepimento (e anche noi spettatori, per una volta, non saremo obbligati a fare i voyeurs, e non vedremo niente dello stupro, ouf).

Sono le questioni essenziali ed esistenziali suscitate da questo dramma, frutto della collaborazione di un équipe ben rodata. Ma un’altra questione, rimasta inespressa, resta per noi cruciale, e sottintesa a tutta la produzione: è possibile creare un’opera -un’Opera !- in un paese in preda alla sommossa sociale ? E più generalmente, nel mondo odierno ? La risposta di Peter Sellers e dei suoi collaboratori è sì, assolutamente. Non solo deve essere possibile, ma è necessario. Come il bebè di Adriana, la creatura di Mortier-Malouf-Saariaho-Sellars (senza dimenticare il direttore d’orchestra Esa-Pekka Salonen, grande conoscitore della musica della sua compatriota ) vuole essere una scommessa sull’avvenire della creazione.

« All’ Opera, il nostro unico scopo dev’essere di far vedere il mondo che non è visibile. Dobbiamo far vedere la poesia. La televisione non ci mostra niente della realtà in cui viviamo. Quello che fa vedere è solo l’abominio, il disastro del giorno, di cui fa un cliché senza alcun valore emotivo nè spirituale ; non è mai la verità della vita della gente » afferma Sellars. « Eppure la nostra è un’epoca in cui sono stati perpetrati numerosissimi genocidi. La cosa incredibile, è che ne siamo annoiati. La cosa incredibile, è che la sola idea della miseria del mondo ha finito per stancarci ». Potremmo obbiettare a Sellars che l’idea della miseria ha finito forse per stancare un certo pubblico all’opera, ma che per molti è una preoccupazione quotidiana. Ad ogni modo, le intenzioni di restituirci l’emozione di cui ci priva la televisione, è ammirevole.

Peccato che, come si dice in francese, la strada dell’inferno è lastricata delle migliori intenzioni. E di buone intenzioni in Adriana, Mater dolorosa ma non lacrimosa, ce n’erano veramente troppe. Tutto talmente perfetto, talmente politicamente troppo corretto. La guerra, e la guerra dei sessi. Adriana ribelle, che non tace. Malouf nel suo libretto si applica coscienziosamente a darle una voce, e la parola « voce » casca immancabilmente almeno una dozzina di volte. Adriana incarna un femminile da manuale, una sorta di ideale nato dall’immaginario maschile, anche se, certamente, Maalouf è talmente « benintenzionato »... Ma insomma, quest’eroina è caricaturale : calma e ponderata, compassionevole, capisce tutto e tutti, e si tiene saggiamente nella via di mezzo.

La voce : mezzo soprano. La sorella è un po’ fuori, un po’ anche lei caricatura, della donnicciola timorosa stavolta, un’isterica che chiede vendetta: bon, soprano, e vai di acuti. Maschio e femmina, cubi e sfere nella scenografia, il pancione e le tette, e ad eco le cupole della casetta medio-orientale, a misura di Adriana, a misura di donna. Uno spazio contro il quale l’uomo armato e arrapato appare gigantesco. Avremmo magari voluto che il bébé di Adriana fosse una femmina, ma no, sarà maschio e vendicherà l’onore della madre. Il padre-violentatore : dalla bottiglia al mitra brandisce simboli (fallici, sì sì !) e finisce cieco (come Edipo !) e clochard. Adriana in piedi, lui striscia. L’orchestra : 90 musicisti, due pianoforti. Percussioni. E ancora percussioni, per le penetrazioni e gli spari. C’è il coro, infernale. « Spazializzato », cioè nascosto al pubblico, ma udibile ovunque nella sala. Spettrale. Da questo inferno Adriana esce grazie alla decisione del figlio di non uccidere. « Non siamo vendicati, ma siamo salvati ».

Cosa manca ? La regia di Sellars è ineccepibile. Ma manca l’odio. Per un’opera che parla di odio, tutto è talmente... ragionevole ! Non una sola aria di furore. L’odio e la violenza sono occultati. Gli anni della paura taciuti. Come se gli autori ci avessero messo la mano sugli occhi , come ad un bambino al quale non si vogliono far vedere le scene troppo brutte. Come al figlio di Adriana, qui si mente sulla vera natura di cos’è l’incontro fra un uomo e una donna...

(Alla prima di L’amour de loin, un signore gentilissimo mi scosse con garbo : « Signorina, si svegli ! C’est trop beau ! » È troppo bello... Lunedì sera, il mio anonimo vicino di turno russava.)

Adriana Mater
Opera di Kaija Saariaho
Libretto Amin Maalouf

In scena all’Opera Bastille di Parigi il 7, 10, 12, 15 e 18 aprile alle ore 20H00