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Quando politica fa rima con sociale

Publie le lunedì 8 dicembre 2003 par Open-Publishing

Governi Rina Gagliardi

di Rina Gagliardi

Colui che l’Espresso definisce il "Cavalier Fini" ha già dato la sua risposta, presumibilmente a nome di tutto il centrodestra: non cederemo alla piazza, non torneremo indietro di un millimetro. Quel milione e mezzo di lavoratori che ieri mattina ha pacificamente occupato la città di Roma, per esprimere il suo urgentissimo, irrinviabile "bisogno di futuro" è avvertito: la lotta continua, come si diceva una volta. E come ieri mattina ha ribadito dal palco Guglielmo Epifani, un leader della Cgil meno "spettacolare" del suo precedessore, ma forse più determinato a restituire al sindacato il ruolo che gli compete, ovvero il suo mestiere di organizzatore del conflitto sociale.

Quel che colpiva, in effetti, nella famigerata piazza di ieri ? bella, colorata, intensamente intergenerazionale ? non era soltanto l?imponenza della partecipazione: era un clima che sapeva, a suo modo, d?antico, di popolare, di classista, ma che appariva più che contaminato, perfino ?concimato?, dai movimenti di questi anni. Quella colonna sonora, per esempio, che mescolava ?Bella Ciao? e l?Internazionale con i nuovi inni giovanili di Manu Chao dava da sola il senso, se non certo di una ricomposizione già avvenuta, di una comunicazione tra vecchio e nuovo movimento operaio forse più avanzata di quanto noi stessi non sappiamo. E quella marea di giovani, gran parte dei quali alle prese con la propria condizione di precarietà, interinalità e frustrazione, che sfilavano accanto alle bandiere della Spi-Cgil, ci diceva che al centro di questa protesta, insieme alla finanziaria del governo Berlusconi e alla controriforma delle pensioni, c?è il lavoro. Il lavoro sfruttato, calpestato, umiliato, negato. Il lavoro e quindi il salario: che del lavoro, anzi della forzalavoro, rappresenta il prezzo, cioè la forza contrattuale e la dignità.
Quel che il governo di centrodestra si ostina a non capire, neppure forse a percepire, è che la riconquista di una condizione salariale diversa - ?dignitosa?, come dicevano molti - costituisce il fulcro di un?opposizione sempre più vasta, dove i confini tra sociale e politico si vanno facendo sempre più sottili. Non erano astratti cittadini, quelli che ieri hanno sfilato a Roma, e che nelle settimane scorse hanno animato sostanziose vertenze di movimento (dai metalmeccanici alla scuola, da Scanzano agli autoferrontranvieri). Erano soggetti sociali in carne ed ossa, erano le concrete soggettività che compongono il mondo del lavoro dipendente, da troppo tempo compresso e schiacciato dai colpi del liberismo, della recessione, della disoccupazione e dell?inflazione. Esso, ora, vuole ricominciare a pesare, a contare nella società e nella politica economica. Per questo, certo, la tappa ineludibile è la liberazione da questo governo e la ridefinizione di un quadro politico diverso: dove l?aggettivo ?politico?, di nuovo, fa rima con ?sociale?, e non può limitarsi all?avvicendamento alternanzistico di una nuova classe dirigente.

Non è, quest?ultima, una lotta né facile né scontata. Da oggi possiamo dire che l?obiettivo di un cambiamento di fondo - a cominciare dalla caduta del governo e dalla fine anticipata della legislatura - non è più un?utopia. Il governo in carica, l?abbiamo detto molte volte, non solo propone un bilancio fallimentare, ma vive una crisi vera, quasi conclamata: basta la constatazione che il dibattito della Cdl si svolge non sotterraneamente, ma pubblicamente, attorno al tema della successione a Berlusconi, e che questo è il senso politico di fondo del viaggio di Fini in Israele, nonché della polemica che squassa Alleanza nazionale. Bastino, ancora, le incredibili sortite del presidente del consiglio, come quella recentissima al New York Times (subito corretta e semismentita, come da copione) che appaiono, al tempo stesso, gravissime (nei contenuti) e debolissime (nella forma e nelle ridicolaggini di comportamento). L?unico messaggio chiaro, alla fine, è un livello di subalternità al presidente Bush - alla sua brutale politica di guerra preventiva e di annullamento della sovranità nazionale altrui - che nessun governante democristiano si sarebbe mai sognato, neppure negli anni ?50. Tutto questo è vero, ma tutto questo, ahimè, non produce automaticamente quella rottura degli equilibri politici nazionali che si è fatta più che matura. Proprio la gravità delle contraddizioni che lo attraversano, proprio l?infiacchimento palese della leadership di Berlusconi, proprio la crescita dell?opposizione sociale, indurranno il centrodestra a resistere, fino all?ultimo momento (per loro) utile. La lotta, dunque, è ancora lunga. Per diventare vincente, alla fin fine, dovrà dotarsi di una piattaforma davvero unificante, all?altezza di quei ?No al liberismo e alla guerra? che stanno diventando il nuovo senso comune della sinistra.