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LA GUERRA E LA POLITICA

Publie le mercoledì 12 luglio 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti Lidia Menapace

di LIDIA MENAPACE

La Palestina, presa in una morsa orrenda. Almeno si potrebbe partire dal ristabilimento delle parole: un militare catturato in uno scontro, anche con una eventuale guerriglia, non è "rapito", ma fatto prigioniero e per lui si tratta [trattavano i Nazi con noi «banditi» lo scambio dei prigionieri]; quasi si occulta che la domanda iniziale di Hamas era di liberare in cambio donne e bambini prigionieri nelle carceri israeliane, la cosa è documentata e terribile, ma non c’è risposta.

Il movimento sembra avere perso la sua autonomia. Intanto i movimenti di destra si sono riorganizzati e infuriano a Milano, a Catania, ecc. Noi sembriamo sdraiati sulle manifestazioni di tre anni fa, ma non ci rendiamo conto che intanto la destra si è riorganizzata culturalmente e ha ripreso un buon radicamento,
non maggioritario - come si è visto dal referendum - però non più marginale e residuale come appariva alcuni anni fa.

Su questo la faccenda delle Frecce tricolori, che era sempre stata risibile, è diventata una cartina di tornasole delle nuove forme della destra nazionalistica che hanno molta eco nella popolazione.

Sono convinta che qui è un terreno decisivo e che bisogna stabilire una presa molto forte, decisa, estrema, radicale. Per poter ricostruire una lettura di sinistra aggiornata sul reale. Le persone non si accontentano di slogan, si è visto dal referendum che l’elettorato è sofisticato, sottile e lungimirante: ogni volta che esco per una qualsia-si iniziativa, chi partecipa domanda sempre di non rallentare o arrestare o far cadere il governo e giudica molto le decisioni in ordine a questa priorità.

Ma le decisioni e scadenze politiche istituzionali sono molto complesse e difficili, dato che sappiamo di essere in una situazione di minoranza fla sinistra nell’Unione] e abbiamo fatto la scelta di portareavanti l’esperimento del governo di centrosinistra. Sono ancora e sempre più convinta che il rischio di regime non sia sfumato ancora, cheun cambio di alleanze potrebbe verificarsi e che i cosiddetti poteri forti non dormono. Avverto una insufficienza di progetto: resta vero che si può governare col 50 per cento del parlamento
se si ha il 60 per cento del paese: dal referendum si direbbe che quel 60 per cento è possi-bile, ma non è consolidato, e manca proprio il collegamento politico tra quel possibile 60 per cento e le decisioni del governo, sicché non vi è connessione né continuità né razionalità politica, bensì effetti occasionali su cui non si può contare a lungo.

Se non ristabiliamo al più presto relazioni tra elaborazione culturale innovativa e radicale della cultura di movimento e un’altra più lenta, e graduale, ma non divaricata, costretta nelle compatibilita delle istituzioni, a mio parere non ne veniamo fuori ed è un’amara soddisfazione quella di rivolgerci reciprocamente accuse di tradimento o di strumentalità.

Appena avremo davanti tutte le carte, il decreto del governo, l’ordine del giorno dei parlamentari pacifisti, le prove della tenuta della maggioranza nelle due camere, sarà possibile prendere le decisioni finali: l’avere scavalcato queste procedure col rischio di far saltare sia il metodo del consenso sia il mantenimento della coalizione è - a mio parere - grave, anche perché non sfugge al sospetto di nascere per l’appunto dai difetti, dalle mancanze e dalle approssimazioni. E’ vero che finora i tempi sono stati insieme sprecati e convulsi, e che organizzare il lavoro politico in modo più razionale non
è l’ultimo dei problemi: se i presidenti delle camere [almeno Bertinotti, a quanto si dice] a ciò stanno pure dedicandosi, che facciano più presto che possono, perché le condizioni del lavoro politico, pure in mezzo alla dovizia di mezzi, non sono affatto buone.

Carta N°26