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ADDIO A VALERIO MARCHI

Publie le domenica 23 luglio 2006 par Open-Publishing
7 commenti

Dazibao Movimenti Storia

Valerio Marchi era uno storico, sarebbe stato un grande professore ma la sua università era la strada, la "nostra" strada. Via dei Volsci a San Lorenzo, Roma.

Aveva militato nell’autonomia operaia e ne andava fiero, poi aveva aperto la libreria, sul marciapiede opposto a quello di Radio onda rossa e delle vecchie sedi che oggi ospitano lo spazio sociale "32".

La sua libreria era (e resta) uno spazio aperto, frequentato dai compagni, dagli skin, dagli ultras e da gente ancora meno "presentabile".

Valerio un libro non sapeva venderlo senza raccontarti una storia, senza fare mille domande per capire cosa cercassi veramente, senza darti un consiglio.

Che lo volessi o no. "Ma no, pija quell’altro che è mejo...". E sopratutto scriveva.

Saggi sullo stragismo e sull’estrema destra, sulle culture e le sottoculture giovanili: La morte in piazza. Vent’anni di processi sulla strage di Brescia (Grafo), La sindrome di Andy Capp. Cultura di strada e conflitto giovanile (Nda press), SMV: stile maschio violento. I demoni di fine millennio (Cocta & Nolan), Nazirock - Pop music e destra radicali (Castelvecchi).

In questi giorni stava scrivendo una nuova "storia del teppismo", più ampia di quello pubblicato qualche anno fa. Chissa se ha scritto a sufficienza per poterla pubblicare anche se l’autore non c’è più.

Valerio Marchi è morto a cinquant’anni, di infarto, a Polignano a mare, splendido paese arroccato sulla riviera a sud di Bari nel quale aveva scelto di vivere con la moglie Anna e aveva aperto una nuova libreria,"Lacapagira" l’ha chiamata.

Giovedì ero lì con lui per un dibattito con gli ultras delle Puglie, baresi, fasanesi, monopolitani, ragazzi che ti riconciliano con il calcio.

Insieme abbiamo presentato il suo studio (edito da DeriveApprodi) su violenza e ordine pubblico nel calcio che prende le mosse (e il titolo) da una vicenda paradigmatica: il derby del bambino morto, la stracittadina romana interrotta dagli ultras con la notizia dell’uccisione di un bambino da parte della polizia, una notte di fuoco e di follia che ci ha insegnato moltissimo.

Valerio ci ha insegnato molto altro.

A.Man

Il Manifesto

Messaggi

  • Un saluto personale a Valerio, Compagno e punto di riferimento.

    Compagno di quelli veri,

    Di quelli che si chiamano compagni perchè è così che ci si chiama, e se siamo troppo "vetero" sti cazzi, perchè sempre compagni siamo.

    Ciao Valerio, che avevi sempre una parola per tutti quelli che venivano da te per cercare un libro, certo, ma anche per parlare con te, per sentire una parola chiara.

    Tu che non ti negavi a nessuna discussione, sempre prodigo di consigli per tutti, perchè credevi nella cultura con la c minuscola, ovvero la cultura della strada, la cultura dell’antifascismo senza se e senza ma, l’unica in grado di far tenere la testa alta a noi deboli, in un mondo in cui i forti hanno vinto.

    Tu che credevi nell’educazione antifascista come antidoto alla deriva da pensiero-unico che ha ormai avvolto la nostra società, tu che non hai mai smesso di parlare, parlare, parlare... perchè certe verità rimanessero vive.

    Ricordo quando venni da te perche volevo fare la tesi di laurea sulla diffusione del neofascismo nelle curve italiane: non appena te ne iniziai a parlare, ti si illuminarono gli occhi.

    Non mi conoscevi nemmeno, eri solo orgoglioso che un "pischello" fosse venuto da te, per chiederti un aiuto, un consiglio, una prospettiva, anche di vita.

    Venivo da te per i libri, certo, ma anche perchè quei libri me li vendevi tu, e si apriva un mondo di discussioni da cui non sarei mai voluto andare via.

    In un mondo omologato, in cui i fascisti sono vestiti da democratici, tu rappresentavi la differenza, il punto di vista REALMENTE alternativo. Ecco perchè sei stato un vero Compagno, uno che non vuole abbassare la testa.

    Basta, mi mancherai, mancherai a molti.

    Addio vecchio Autonomo di Via dei Volsci, addio vecchio Skinhead ....

    Ciao, Aladino

  • anche da madrid...ciao valerio
    berrò un patxaran per te!!
    valentina

  • Sono ancora frastornato e scosso dalla notizia...

    che ci crediate o no è quasi una settimana che ci penso e ancora non riesco a riprendermi...

    dentro di me sento solo un gran vuoto che so di non poter colmare perchè Valerio era una Persona unica, irripetibile... inarrivabile...

    quando ci siamo conosciuti, ci siamo capiti al volo e siamo subito andati d’accordo... il suo entusiasmo, la sua disponibilità e la voglia di mettere il suo bagaglio di esperienze a disposizione di chiunque ne avesse avuto voglia...

    così come la Sua grande curiosità nei confronti di chi aveva di fronte a sè... e la disponibilità e la voglia di conoscere i suoi interlocutori e imparare qualcosa di nuovo... perchè Lui diceva che ogni giorno e da chiunque c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare... giovane o vecchio, ricco o povero, bello o brutto, intelligente o stupido... tutti, secondo Valerio, hanno qualcosa da dare agli altri...

    non era uno che si parlava addosso e a cui piaceva ascoltare solo le proprie opinioni e il suono della propria voce, cosa questa che lo distingueva dalla totalità dei sociologhi e lo elevava al di sopra di tutti i "sacc’tutt’ije" che scrivono libri di sociologia... gli piaceva consigliarti le cose da leggere, quelle che avevano scritto gli altri e che gli erano piaciute, perchè desiderava condividerle con gli altri...

    era uno che conosceva la vita, Valerio... uno che sapeva stare al mondo...

    mi mancherai Valerio... mi mancheranno tutte le cose che da te avrei potuto imparare e che non imparerò mai da nessun altro... mi mancherà il pensiero fisso di venire a trovarti a Polignano tutte le volte che fossi tornato a Bari... mi mancheranno i tuoi libri, i tuoi consigli, i tuoi aneddoti su vicende e persone che conoscevamo entrambi...

    mi rimane solo una manciata di rimpianti... per quella mail che non ti ho mai spedito... per quell’altra chiacchierata che non ci siamo più riusciti a fare... per non averti potuto portare il tuo primo libro da farmi autografare, che tu non riuscivi a crederci che l’avessi comprato veramente 11 anni fà... perchè non saprò mai se saremmo diventati amici...

    spero solo che da lassù, o da qualunque altro posto in cui ti trovi ora, tu possa stare bene e vederci e leggere le cose che sono state scritte su di te... ascoltare quelle che su di te sono state dette... e sorridere delle lacrime che per te sono state versate...

    spero solo che un giorno ci si possa rivedere...

    Quando il prete muore
    suonan le campane
    piangon le puttane
    e il loro protettore

    ma quando muoio io
    non voglio gesuccristi
    ma solo i gagliardetti
    dei Fedayn teppisti

    ciao Valerio.

    JJ

  • Grazie Valerio, che mi hai insegnato ad avere orgoglio senza pregiudizio!
    a_pirate

    • addio amore,
      mi manca tutto di te. é devastante il dolore, mi sento prosciugata, smunta, sconfitta e sola, tanto sola. perchè eravamo un unica cosa, ed ora io non sento di esistere ed ancora aspetto che prima o poi
      rientri in libreria o torni a casa per poter passare il nostro tempo, insieme, sempre.
      ti amo.

    • Le inaspettate epifanie sulla strada di Valerio Marchi

      di Wu Ming 5

      Articolo pubblicato su Il Manifesto del 22/08/2006

      Un mese fa moriva Valerio Marchi, sociologo, studioso delle sottoculture giovanili più problematiche e meno MTVizzabili, capace come nessun altro prima di tenere un piede (riluttante) nell’accademia e un altro in una realtà che per molti, per quasi tutti, è solo resoconto scientifico, o al più terreno d’osservazione partecipata. All’indomani della scomparsa i più lucidi tra di noi - quelli che la perdita non colpiva in modo diretto e duramente emotivo - già si chiedevano chi sarebbe stato in grado di proseguirne il lavoro, chi avrebbe continuato un cammino che appare, in prospettiva, di importanza decisiva. Ora mi si chiede di scrivere della sua opera in veste critica. E’ un compito duro, ma doveroso, indispensabile. Qualcun altro mi seguirà, con maggiore lucidità e più profonda dottrina.

      La strada era scritta nei gesti, nella voce e nella storia personale di Valerio. La strada come orizzonte esistenziale, luogo di inaspettate epifanie, intuizioni profonde, rivincite simboliche. La strada come archivio, serbatoio di storie, la periferia urbana che cresce su se stessa, i luoghi del conflitto quotidiano, ambienti dove la trasformazione della società agisce sul corpo vivente, sul modo di muoversi, di percorrere e intendere il mondo, di entrare in relazione con altri corpi: tutto questo non stava, per Valerio, in fondo a un microscopio. Egli era drammaticamente consapevole dell’irriducibilità del soggetto, del suo eccedere le categorie interpretative, della sua problematicità in qualche modo originaria. Per questo è impossibile un’“etologia sociale”, per questo è inutile calarsi nella giungla urbana dalle 9 alle 5, per poi rientrare nella vita di tutti i giorni scrollandosi di dosso odori e rumori come un cane fa con la pioggia. Questa l’intuizione fondamentale dell’uomo, la parte fondante dell’eredità che ci lascia.

      La vicenda intellettuale di Valerio Marchi assume i tratti di un’esperienza unica nel corso di una peculiare e disconosciuta temperie. All’inizio dell’ultimo decennio del secolo scorso si produsse un fenomeno destinato ad avviare una piccola reazione a catena: membri “anziani” di sottoculture spettacolari – punk, mod, skinhead, quelle che negli anni ’80 venivano definite “bande giovanili” e interpretate attraverso l’occhiale deformante e svilente del “fenomeno di costume”- incominciarono a leggere i testi di sociologia che parlavano di loro (Hebdige e Chambers, soprattutto). Analisi sulla risoluzione simbolica (e transitoria, e precaria) del conflitto, sulla pregnanza dei segni, sull’importanza decisiva delle scelte, frutto di istinto e di emulazione, che si erano trovati a percorrere. E dopo aver letto e assimilato, alcuni di questi si misero a scrivere. Non si trattava più di fanzine: si trattava, idealmente, di raggiungere più gente possibile, di entrare in uno spazio di discussione pubblica che li aveva sempre visti come oggetti - problematici, esotici, emblematici ma pur sempre tali. Gli stili spettacolari, attraverso portavoce sempre più consapevoli, stavano in altre parole giungendo a una forma di autocoscienza. Forse è altrettanto giusto dire che erano giunte alla fine della loro parabola, ma questa, come suole dirsi, è un’altra storia.
      Valerio Marchi colse da subito l’importanza e la potenziale fecondità di quel momento. Oggi pare in qualche misura “normale”, praticamente tutte le sottoculture “storiche” hanno espresso personaggi in grado di redigere storie e resoconti critici in qualche misura “dall’interno”, “dal basso”, ma si trattava allora di un’assoluta, inattesa novità. Valerio Marchi fu strumentale nello sviluppo di questa via italiana all’analisi degli stili giovanili, a questa sorta di “autocritica stilistica” che conobbe una breve, interessante stagione. Il mio libro “Skinhead - lo stile della strada”, che si colloca all’inizio del percorso, uscì grazie al suo interesse, con una sua pregevole prefazione.

      A questo campo di studi, negletto nel nostro paese quanto pochi altri, Valerio portò in dote la formazione accademica impeccabile, la formazione politica - anni e anni di militanza in quello che un tempo si definiva “il Movimento”- e lo spessore umano, indimenticabile. Non solo stili sottoculturali per così dire “d’importazione”: buona parte del lavoro di Valerio fu dedicato alla comprensione e all’analisi delle curve degli stadi italiani, e si tratta di un lavoro di capitale importanza in un paese di sedicenti “esperti” buoni al massimo per il processo di Biscardi. E si deve a lui, alla sua capacità di visione e di interpretazione se ora abbiamo tutti le idee un po’ più chiare sulla galassia nera della destra neofascista europea e italiana, sulla sua virtuale onnipresenza nel nostro paesaggio urbano, sulla sua trasversalità e pericolosità. La crescita, di opera in opera, fu continua, la ricchezza di temi e suggestioni impressionante. Da Ultrà e Nazi Rock passando per Teppa, denso di materiale pre-narrativo, dalle pagine sullo Stile Maschio Violento, lavoro fondamentale in questi tempi di machismo globalizzato, fino all’analisi illuminante di Il Derby del Bambino Morto - senza dubbio la sua opera più matura e importante - Valerio ha saputo dispiegare una panoplia concettuale insuperata, ha fornito temi e motivi per anni e anni di analisi e narrazioni future. Valerio Marchi è riuscito come nessun altro in questo paese a comprendere le ragioni profonde che compongono l’ethos dei giovani marginali e a renderle intelligibili a una più vasta comunità. La sua parabola è stata una lunga e intensa esplorazione, dialettica del limite che non ha conosciuto distinzioni tra vita personale e vita professionale.

      La tentazione di ricondurre la portata della sua opera all’assunzione in prima persona dei segni e delle maschere identitarie dell’umanità che popola i suoi libri è forte, specie per uno che, come me, ha condiviso con Valerio Marchi la problematicità di molte scelte. Ed è ancora più forte in un contesto come il nostro, in una tradizione critica che tende a sovrapporre opera e autore, a spiegare per via di automatismi e parallelismi i contenuti di quella attraverso biografia, microstoria d’avvenimenti, psicanalisi eccetera. Questo, a ben vedere, non è un effetto prospettico dovuto alla vicinanza. Quando tra qualche decennio si vorrà capire quel che si agitava nella pancia stilizzata di questo paese, comprendere in che modo le trasformazioni economiche, culturali e politiche degli ultimi vent’anni hanno agito sulla vita, sul dato concreto dei comportamenti e delle aspettative, la biografia di Valerio Marchi sarà poco importante, e anche il suo essere-così-come-era, la sua capacità empatica, la sua voce. Quello che conterà, per il lettore futuro, sarà la grandezza e l’originalità della sua opera. Sta alla presente generazione continuarla.