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Libano, l’ultimo ostaggio è la Palestina

Publie le giovedì 10 agosto 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti medio-oriente Michele Giorgio

di Michele Giorgio

Addio «piano di convergenza», la difficoltà della campagna contro Beirut indebolisce Tel Aviv e blocca la possibilità di un disimpegno-bis. Hamas mantiene un basso profilo (nonostante cattura e ricovero del presidente del parlamento), ma è dura essere ottimisti.

Inviato a Ramallah. A Ramallah dell’offensiva israeliana si parla molto. Non potrebbe essere altrimenti visto l’eccezionale gravità di ciò che sta accadendo in Libano, che a molti ha riportato alla memoria la devastante offensiva «Muraglia di difesa», con la quale nella primavera del 2002 Israele rioccupò le città «autonome» palestinesi. La presenza in città di centinaia di palestinesi dell’Alta Galilea - scesi a sud per il timore dei katiusha - che affollano hotel a basso costo di solito vuoti, evoca esodi che questo popolo ha già vissuto. L’atmosfera è quella tipica dell’attesa, di qualcosa che nessuno conosce. Molti si pongono interrogativi sul futuro. La Cisgiordania seguirà il destino di Gaza? Israele lancerà di nuovo i suoi reparti corazzati nelle città palestinesi (cosa che, peraltro, non ha mai cessato di fare)?

Gli analisti da parte loro sono certi di una cosa: la Cisgiordania non seguirà, almeno nei prossimi mesi, se non addirittura nei prossimi anni, il destino di Gaza. Il premier israeliano Olmert non è più nella condizione di poter avviare all’inizio del prossimo anno il «piano di convergenza», illustrato durante la campagna elettorale, che prevede l’attuazione in Cisgiordania di un secondo ritiro unilaterale, a condizioni territoriali molto vantaggiose per Israele, evitando in ogni modo di negoziare con i palestinesi, proprio come avvenuto lo scorso anno a Gaza.

«Se la guerra dovesse concludersi sfavorevolmente (per Israele) o con risultati sotto le aspettative, la leadership di Olmert e (del ministro della difesa) Peretz sarà messa in discussione. Anche in caso di un successo militare non mancheranno critiche e ai vertici del potere per come è stato gestito il conflitto. Il «piano di convergenza» non ha alcuna possibilità di essere applicato nel prossimo futuro», ha scritto l’esperto israeliano Gerald Steinberg, spiegando che già prima della cattura del caporale Ghilad Shalit (il 25 giugno, da parte di un commando palestinese di Gaza, ndr) «era in forte aumento l’opposizione degli israeliani nei confronti di un nuovo ritiro unilaterale, a causa del lancio di razzi Qassam da Gaza verso Israele. Ora che su Israele sono piovuti centinaia di katiusha di Hezbollah, Olmert difficilmente oserà rimettere sul tavolo del governo il suo progetto per la Cisgiordania». Insomma il premier israeliano e il ministro della difesa avranno tanto da fare per tenere insieme la coalizione e per rintuzzare le critiche interne ai loro rispettivi partiti, Kadima e Labour, che saranno costretti dimenticare il «disimpegno unilaterale n.2»".

La possibile marcia indietro di Olmert farà gli interessi palestinesi? Il presidente Abu Mazen ha forti dubbi, dicono i suoi collaboratori, ma la crisi libanese ha dato uno scossone all’intera regione e lui ha ripreso a viaggiare - ieri da Tunisi ha avanzato l’idea di un vertice arabo su Libano e Palestina - sperando di raccogliere qualcosa di concreto per sbloccare l’isolamento dei Territori occupati. A Roma, due settimane fa, ha rivolto un appello affinché il mondo non dimentichi i palestinesi, senza però ottenere risultati concreti. Hamas da parte sua continua a mantenere una posizione di basso profilo nonostante Israele nelle ultime settimane abbia incarcerato esponenti di primo piano del movimento islamico, tra cui ministri e deputati. L’ultimo è stato il presidente del Parlamento Aziz Dweik, che ha denunciato di aver subito percosse durante l’interrogatorio in prigione (ieri l’Unione interparlamentare, organizzazione che raccoglie i rappresentati di 146 assemblee nazionali, ha chiesto a Israele di rilasciare i deputati palestinesi).

«E’ probabile che Hamas e Al-Fatah (il partito di Abu Mazen) decidano nelle prossime settimane di dare vita a quel governo di unità nazionale che sembrava cosa fatta prima del blitz che ha portato alla cattura del soldato israeliano - ci ha detto l’ex ministro della pianificazione Ghassan Khatib - non credo che esistano altre possibilità per poter superare l’isolamento internazionale e ridurre al minimo i contrasti tra le due principali forze palestinesi». E’ arduo essere ottimisti, ha aggiunto Khatib, «ma un nuovo governo Hamas-Fatah, più tecnico e meno politico, darebbe un segnale significativo all’esterno e, si spera, persuadere Olmert a mettere da parte per sempre l’unilateralismo e a riprendere le trattative». Scettico è l’analista Mustafa Abu Sway, del dipartimento di islamistica dell’università Al-Quds. «E’ inutile farsi illusioni - ha commentato - Olmert continuerà a boicottare l’Anp anche senza Hamas e lo stesso Abu Mazen perché il suo obiettivo è quello di impedire la riapertura di un negoziato con i palestinesi sul futuro di questa terra».

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