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Sbarre a stelle e striscie: Dossier sul Correctional Business in USA

Publie le martedì 13 gennaio 2004 par Open-Publishing

Prigione USA Ida Sconzo

Carcerati nel mondo

Nove milioni di persone nel mondo vivono in una dimensione parallela e
invisibile: il carcere.
In Italia la popolazione carceraria conta circa 56mila individui contro
43mila posti letto. Il 47% non ha una condanna passata in giudicato.

Il 72%, al momento dell’arresto, era disoccupato. Un terzo dei detenuti è
composto da cittadini stranieri. Negli ultimi vent’anni, il numero dei
carcerati, in Italia, è cresciuto del 20%.
Nel resto del mondo la situazione non è diversa: negli ultimi dieci anni la
popolazione carceraria è in continua crescita. In Spagna è aumentata del
50%. In Francia, soltanto nel 2002, è cresciuta del 14%, prigioni più
affollate anche in Olanda, Belgio e Portogallo.

USA: primi in classifica

Il record di crescita spetta però agli Stati Uniti, con un incremento medio
settimanale di 1.500 unità. Per ogni 100mila abitanti, circa 700 sono in
carcere (due milioni di persone su 275 milioni di americani).

1.100 maschi americani, maggiorenni, su centomila, hanno vissuto l’
esperienza carceraria. Se a questi sommiamo i condannati liberi sulla
parola
(circa 700mila) e quelli in stato di sorveglianza (più di tre milioni)
avremo un totale di circa sei milioni di statunitensi sotto tutela penale.

Nel corso degli ultimi dieci anni la popolazione carceraria americana è
raddoppiata. Nel 1999, in seguito all’applicazione del sistema "tolleranza
zero" ideato dal sindaco Giuliani, (ribattezzato per questo "Amaro
Giuliani") era prigioniero in USA un quarto della popolazione carceraria
mondiale.

Il 60% dei carcerati, all’ombra della Statua della Libertà, è composto da
minoranze etniche, la più numerosa delle quali è quella afroamericana
(50%).
Statistiche del 1995 dicono che su 22 milioni di neri maggiorenni, 767mila
erano in prigione, 999mila in libertà vigilata e 325 rilasciati sulla
parola. Nel 1970, le donne detenute erano 5.600, nel 1997 erano 75mila, in
maggioranza nere.

Negli States, (creatori ed esportatori di democrazia) un milione di persone
sono detenute per possesso o spaccio di droga, ma il consumo di sostanze
stupefacenti non tende a diminuire.

Nel 2001, oltre 5mila minori, tra i sette e i 17 anni, immigrati
clandestini, orfani o abbandonati dai genitori, erano rinchiusi nelle
prigioni americane. Almeno 500 bambini sotto i cinque anni, non adottabili
perché privi di documenti, sono stati tenuti, per mesi e addirittura anni,
negli asili nido delle carceri, in attesa che i burocrati decidessero del
loro futuro.
Mentre per gli adulti lavoratori, le autorità, sotto la pressione delle
aziende che hanno bisogno di forza lavoro, chiudono un’occhio, nei
confronti
dei minori la legge è inflessibile.

L’industria carceraria americana

Gli americani lo chiamano "Correctional Business" perché anche l’
amministrazione della pena è ormai diventata un’affare.
Il boom, del business carcerario in USA, è un fenomeno relativamente
recente. Nel corso degli ultimi vent’anni, sono state costruite più di
mille
nuove prigioni e negli ultimi trent’anni, il numero dei detenuti e più che
raddoppiato.

Lo sviluppo delle privatizzazioni ha favorito la nascita di una grande e
articolata "industria delle carceri". Negli States la spesa carceraria
supera i 20 miliardi di dollari l’anno. Gli istituti di pena privati sono
circa 160 sparsi in trenta Stati, coprono il 7% del mercato carcerario,
crescono a un ritmo del 35% l’anno. Tra le cinque società che gestiscono il
business, le due maggiori sono quotate in Borsa e dominano il mercato. La
Correctional Corporation of America gestisce il 51% circa delle prigioni
private mentre la Wackenhut Corrections Corporation ne gestisce il 22%.

La potente lobby, esercita forti pressioni su politici e magistrati, per
impedire che nuove procedure e norme sulla libertà provvisoria, o nuovi
finanziamenti alle prigioni pubbliche, interferiscano con i suoi interessi,
incoraggiando, di fatto, l’incremento delle carcerazioni.

La privatizzazione ha favorito lo sviluppo di un sistema carcerario sempre
più impersonale e automatizzato, con alti livelli di sorveglianza e
conseguente riduzione del personale. La lobby non ha nessun interesse nei
confronti dei programmi di riabilitazione per i detenuti e quindi non opera
per ridurre le percentuali di recidiva.

Appaltatori, fornitori delle forze dell’ordine e sindacato delle guardie
carcerarie, hanno fatto approvare una legge che inasprisce i tempi di
detenzione: le celle non rimangono mai vuote.

In California il 20% dei programmi di reinseriemento sono stati tagliati.
L’
amministrazione Bush, nel 2004, spenderà 238 milioni di dollari per i
programmi di reinserimento e 750 milioni andranno a potenziare le Federal
Prison Industries. Le carceri-fabbrica da 111 diventeranno 120 per
accogliere oltre duemila nuovi detenuti.

Il Correctional Business si muove su tre fronti: investimenti per
progettare, costruire e gestire le carceri; creazione di nuovi posti di
lavoro (nelle aree rurali gli amministratori locali cercano di ottenere un
carcere sul proprio territorio per le opportunità di lavoro all’interno e
nell’indotto di servizi); sfruttamento del lavoro dei detenuti. Le prigioni
private vengono costruite, dalle multinazionali delle sbarre, in metà
tempo,
rispetto a quelle pubbliche.

Lo sfruttamento di forza lavoro nei luoghi di detenzione è diffuso anche in
Russia e in Cina, mentre il business delle carceri private è presente,
oltre
che negli Stati Uniti, anche in Gran Bretagna e Australia. In Italia, il
leghista Pagliarini ha proposto di affidare ai privati la gestione delle
carceri.

La produzione dei detenuti

Il lavoro carcerario fu introdotto in USA nel 1934 dal presidente Franklin
Delano Roosevelt, fondatore delle Federal Prison Industries. La società
for-profit, gestita dal Dipartimento Prigioni di Washington, nel 2002 ha
fatturato 678,7 milioni di dollari. Oltre il 60% dei beni e dei servizi
prodotti sono destinati al Pentagono.

Circa 22mila detenuti, in 111 carceri, vengono utilizzati soprattutto per
rifornire l’industria bellica. Già nel corso della seconda guerra mondiale,
i carcerati produssero tende, paracaduti, aerei, bombe, da inviare al
fronte
europeo e sul Pacifico, per un valore di 75 milioni di dollari. I
prigionieri hanno lavorato per il Pentagono anche durante la guerra del
Vietnam, di Corea e del Golfo. Le Federal Prison Industries sono tra i
maggiori fornitori dell’amministrazione statunitense (39mo posto).
Tremila "dipendenti" in 14 stabilimenti delle industrie penitenziarie,
lavorano esclusivamente ai sistemi di comunicazione per le forze armate.

In Texas, a Beaumont, si producono tutti gli elmetti Kevlar utilizzati dai
soldati americani. Dagli stabilimenti di Greenville, Illinois, escono ogni
giorno mille magliette mimetiche. Nel 2002 il Pentagono ne ha acquistate
quasi duecentomila.
Biancheria intima, materassi, piagiami, automobili, radio, magliette, cavi
elettrici, scarpe, utilizzati dai militari americani vengono prodotti nelle
carceri.

I "fortunati" prigionieri-operai, che vendono anche biglietti aerei, per
conto di grandi compagnie, e confezionano jeans di marca (Levis), vengono
retribuiti con un salario inferiore del 20% allo stipendio minimo dei
colleghi "liberi". Il Dipartimento Penitenziario ne trattiene l’80% per
coprire le spese di vitto e alloggio.

L’indotto

Il giro d’affari che prospera intorno al business carcerario vale miliardi
di dollari l’anno. Più di cento imprese specializzate operano
esclusivamente
nel campo dell’edilizia penitenziaria, ma l’indotto comprende, oltre ai
costruttori di "prigioni Chiavi in mano", anche fornitori di servizi per la
gestione penitenziaria, produttori di bracciali elettronici, di armi
speciali, di sistemi di controllo. Nell’industria del carcere il settore
delle nuove tecnologie è quello che cresce più velocemente, per le alte
tecnologie impiegate all’interno degli istituti di pena: la schedatura
elettronica interessa ormai un terzo della popolazione maschile. Tecnologie
di seconda generazione prevedono dispositivi in grado di controllare l’
individuo 24 ore su 24, registrando il ritmo cardiaco, la pressione, la
quantità di adrenalina e la presenza nel sangue di alcool o sostanze
stupefacenti.

L’industria delle sbarre svolge paradossalmente anche un ruolo calmierante
nei confronti dei tassi di disoccupazione, sottraendo al mercato del lavoro
migliaia di persone, ma crea occupazione nel campo dei beni e dei servizi
carcerari. È stato calcolato che negli ultimi dieci anni le carceri
americane hanno contribuito a ridurre, di due punti, il tasso di
disoccupazione "assorbendo le eccedenze".

Chi entra nella vasta rete del sistema penale americano, spesso resta
impigliato nelle maglie delle numerosissime agenzie e istituzioni, passando
dall’una all’altra in un processo chiamato di "transcarcerazione". La
privatizzazione ha contribuito alla creazione di circoli viziosi,
provocando, non soltanto, lo sviluppo delle carceri, ma anche l’aumento
delle misure alternative e la nascita di nuove attività manageriali.

Le "epidemie da arresti"

La giornalista Megan Confort, su Le Monde Diplomatique, giugno 2003,
annuncia la costruzione di 28 nuove prigioni in Francia, entro il 2007. "A
questo ritmo sfrenato s’intende raggiungere il "modello" americano? - Si
chiede la Confort - negli Stati Uniti si contano circa due milioni di
detenuti... ma queste carcerazioni di massa pongono molti più problemi di
quanti ne risolvano. Quando escono dal carcere - scrive Megan - i
pregiudicati americani ricevono tra i due e i 200 dollari di "gate money"
(buonuscita) per ricominciare, i loro vecchi vestiti e un biglietto per
raggiungere la città in cui sono tenuti a stare. Ma molti di loro nella
realtà escono dal carcere con un bagaglio diverso: dei 9 milioni di
detenuti
liberati nel 2002, più di 1.3 sono portatori del virus dell’epatite C,
137mila hanno contratto l’AIDS e 12mila hanno la tubercolosi. Queste cifre,
fornite dalla Commissione nazionale per la salute in carcere, rappresentano
rispettivamente il 29%, tra il 13 e il 17%, e il 35% del numero totale di
americani colpiti da queste malattie. Da anni, i ricercatori nel campo
della
salute pubblica, lanciano l’allarme sulla "epidemia di arresti" che ha
colpito il paese e si è trasformata in una incubatrice di massa delle
malattie infettive negli istituti penitenziari.