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Ricordo del mio migliore amico : Attilio Faillace

Publie le giovedì 30 novembre 2006 par Open-Publishing
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Dazibao Storia

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di Giustiniano Rossi

Gli inizi

Fra la fine del 1966 e l’inizio del 1967 sono approdato, come tanti altri della mia generazione, al movimento studentesco. Ero all’università da cinque anni, ma i miei studi non progredivano granché.

Nel 1963 - avevo 20 anni - avevo lasciato la mia Calabria per Firenze, dove mi ero iscritto al secondo anno della facoltà Scienze matematiche, fisiche e naturali, corso di laurea in Chimica. Dopo la maturità, avevo cominciato a passare i mesi estivi in Germania : lavoravo in fabbrica ed imparavo, fra l’altro, il tedesco.

Nei primi quattro anni di vita fiorentina frequentavo quasi esclusivamente studenti fuori sede, meridionali come me : la città - era quella borghese, ma io non lo sapevo - mi appariva chiusa e riservata, se non ostile, ed avevo un solo amico che, se non proprio fiorentino, era toscano, della provincia di Arezzo.

Sul finire del 1966 - nel frattempo mi ero sposato, in Germania, a Firenze c’era stata l’alluvione ed ero passato da Chimica a Biologia - partecipavo ad un’assemblea alla Facoltà di Matematica : si parlava della Riforma dell’università, voluta dal Ministro della Pubblica Istruzione Gui, meglio nota come Legge 2314.

Scoprii allora che esisteva un’altra università, popolata di studenti che, oltre ad occuparsi dei loro esami, si occupavano anche di quelli di tutti gli altri.

Dopo poche settimane, ai primi di marzo del 1967 - nel frattempo nasceva la mia prima figlia - ero ad un’assemblea degli studenti di Biologia, nell’aula di Mineralogia di Via Lamarmora. L’assemblea fu trasformata in occupazione : era la mia prima esperienza del genere.

Io, che avevo per tutto bagaglio politico il mio entusiasmo e la mia giovane età, mi trovai in mezzo ad un gruppo di giovani e giovanissimi che aveva ben altre idee, ben altre esperienze.

Discutevano della riforma dell’università nel quadro della riforma della scuola e, soprattutto, nel quadro della società italiana, una società che, malgrado i miei 23 anni di cui 20 trascorsi in un posto decisamente istruttivo come la Calabria, mi rendevo conto di non conoscere che molto superficialmente.

Il nostro incontro

Francesca, Franco, Attilio ed altri usavano un linguaggio che mi era ignoto, discutevano il testo di volantini, di manifesti, parlavano di marxismo, un termine che per me significava solo qualche pagina del testo di storia della filosofia sul quale avevo studiato, molto superficialmente, al liceo. Io imparavo a conoscere quest’altra Firenze, dopo essermi procurato un sacco a pelo per dormire - poco e male - sul pavimento di tavole.

La notte, il testo dei volantini discusso durante la giornata doveva essere dattiloscritto e cilostilato per la diffusione fuori dell’aula occupata, il giorno dopo. Quando andavo al liceo, lavoravo qualche ora, nel pomeriggio, presso una ditta, dove avevo imparato a battere a macchina un po’ di corrispondenza commerciale in varie lingue. E’ stato il mio passaporto per quell’altra Firenze con tutti quei compagni che non conoscevo e, alla lunga, per quell’altra Italia nella quale avevo vissuto senza capirla.

Attilio aveva tre anni più di me e veniva anche lui dalla Calabria. Avevamo dunque qualcosa in comune : l’esperienza diretta della realtà del Sud dell’Italia, tanto simile a quella del Terzo Mondo, la sua storia ed il suo linguaggio e un ribellismo istintivo fondato, per quanto mi riguarda, più sulle emozioni che sulla coscienza e la conoscenza. Ma io venivo da una città protesa sul mare, Reggio Calabria, lui da un paesino sperduto ai piedi del massiccio del Pollino, San Lorenzo Bellizzi, io da una famiglia della piccola borghesia meridionale, di condizione senz’altro modesta ma che non mancava del necessario, lui da una famiglia poverissima, nove figli ed i magri proventi della botteguccia del padre per nutrirli.

Il maggiore dei nove era riuscito a compiere studi superiori e con il suo lavoro aveva finanziato gli studi dei fratelli, fra i quali quelli di Attilio, che si era diplomato all’Istituto Tecnico Industriale Aldini Valeriani, a Bologna. In quella città aveva vissuto una storia importante con una donna, che gli aveva dato un figlio.

In seguito Attilio si era trasferito a Firenze, dove si era iscritto alla facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, corso di laurea in Biologia, frequentando quella che allora era l’organizzazione degli studenti universitari del PCI.

La nostra amicizia

Nacque subito fra noi un’amicizia, che il tempo e le vicende successive non hanno intaccato. La notte andavamo a Scienza della Costruzioni, in Piazza Brunelleschi, occupata dagli studenti di Architettura, dove c’era una macchina da scrivere ed un ciclostile. Discutevamo, o per meglio dire, ascoltavo e cercavo di imparare. Il giorno assemblee, riunioni, diffusione militante dei volantini.

L’occupazione dell’aula di Mineralogia duro’ dieci giorni, in capo ai quali si svolse un’assemblea dove gli studenti che nel frattempo avevano preparato gli esami vennero in massa e misero noi occupanti in minoranza, timorosi di perdere la sessione. Imparai allora la differenza fra la democrazia ed il democraticismo. Dovemmo sloggiare.

Era l’epoca della guerra del Vietnam. Andavamo con Attilio ad interrompere le lezioni nelle varie aule degli istituti della facoltà per imporre che vi si parlasse degli orrori della guerra. Una volta, nell’aula di Chimica Fisica, ricevetti un’altra, amara lezione. Il professor Cencioni, invece di tagliare la corda come facevano tutti gli altri cattedratici quando intervenivamo ad interrompere le loro lezioni, ci propose di far votare gli studenti presenti : se la maggioranza era d’accordo, avrebbe interrotto la lezione, ma se non lo era, l’avrebbe proseguita. Dovemmo prendere atto, stupiti, che la maggioranza dei presenti non si interessava affatto alla sorte del popolo vietnamita, bruciato dal napalm e avvelenato dall’agente orange e battere in ritirata in ossequio alle regole della « democrazia ».

Intanto si moltiplicavano gli incontri, le riunioni, le manifestazioni. Dovevo leggere a ritmo accelerato giornali, riviste, libri e, soprattutto, i classici del marxismo. Dovevo rileggere anche tutto quello che avevo letto, perché mi accorgevo che la mia « cultura » valeva ben poco. Che la storia, di cui ero e sono appassionato, non é che una serie infinita di nomi, di date, di circostanze se non si dispone di una chiave per interpretarla.

La Rivoluzione culturale

Da una decina d’anni i Cinesi criticavano apertamente la versione sovietica, ma anche quella dei partiti comunisti dell’Europa occidentale, del comunismo. L’URSS, dicevano, era un paese socialfascista, socialista a parole ma fascista nei fatti, e socialimperialista, socialista a parole ma imperialista nei fatti : era sufficiente, per accorgersene, guardare senza pregiudizi la realtà della società sovietica dove la democrazia diretta era un ricordo e quella rappresentativa inesistente e quella delle relazioni fra l’URSS, i paesi dell’Est europeo e quelli del Terzo mondo, che avevano caratteristiche non molto diverse da quelle fra le potenze imperialiste e le loro ex colonie.

Il programma strategico del PCI, dicevano, non andava oltre l’applicazione della Costituzione italiana, una costituzione borghese i cui singoli articoli contenevano, come tutte le altre costituzioni borghesi, una prima parte democratica, metodicamente annullata dalla seconda, e nella quale si sanciva la sacralità della proprietà privata e non era neppure chiaramente sottolineata la lacità dello stato.
In Cina si tentava l’esperimento più radicale del XX secolo, la Rivoluzione culturale : i Cinesi avevano capito che non basta cambiare la struttura della società, cioé i rapporti di produzione, per modificarne la sovrastruttura, cioé gli usi, le tradizioni, la religione etc. e che i ritardi nel rivoluzionare quest’ultima rendono vani gli stessi cambiamenti strutturali. L’esperienza della Rivoluzione sovietica era li’ a dimostrarlo !
Per non parlare di quella della Cina attuale !

Dal movimento studentesco al movimento operaio

Le occupazioni delle aule universitarie erano sempre più frequenti, all’università di Pisa nascevano i primi gruppi che avrebbero dato vita a Potere Operaio, all’università di Torino, fra gli altri, a Lotta Continua. I fascisti uccidevano all’università di Roma lo studente Paolo Rossi. Quando la Cecoslovacchia venne invasa dalle truppe russe, quattro esponenti del PCI che disapprovavano l’invasione vennero espulsi e dettero vita alla rivista Il Manifesto, poi diventata quotidiano e tuttora validamente sulla breccia.

Nel PCI non si scateno’ nessuna lotta fra le due linee, la destra e la sinistra, ma tutti, tranne quei quattro, si dichiararono d’accordo, da Ingrao a Napolitano. Dall’università, fra il 1967 e il 1968, gli studenti investivano la società ed il movimento studentesco incontrava, fatto epocale, il movimento operaio. Un incontro-scontro che, dopo una prima fase di discussione aspra ma aperta, doveva portare alla chiusura del partito comunista nei confronti della sinistra extraparlamentare ed alla formazione di una quantità di piccoli partiti comunisti che cercavano confusamente un’alternativa a quella stravagante applicazione del marxismo che aveva sostituito il comunismo patriottico all’internazionalismo proletario e sarebbe naufragata con la caduta del muro di Berlino.

Il 15 marzo del 1968 era convocata a Roma dal Movimento studentesco romano, diretto da Oreste Scalzone e Franco Piperno, una grande manifestazione internazionalista. Noi studenti universitari organizzammo due pullman da Firenze. Si parlava di posti di blocco della polizia intorno a Roma ed allora tappezzammo i pullman di cartelli dove era scritto che si trattava della gita a Roma della Parrocchia di San Clemente (Palazzo San Clemente é la sede della facoltà di Architettura a Firenze).

Arrivammo a La Sapienza in mattinata e, giunti quasi in fondo al viale d’ingresso, vedemmo della gente scappare dalla facoltà di Lettere e Filosofia per cercare di raggiungere la facoltà di Legge, dall’altra parte del Piazzale della Minerva.

Bloccammo alcuni di costoro e venimmo a sapere che i fascisti romani avevano organizzato un assalto alla facoltà di Lettere occupata, assoldando dei sottoproletari in varie parti d’Italia (mi ricordo di uno che veniva da Treviglio). Erano stati respinti e si asserragliarono nella facoltà di Legge, mentre gli studenti che arrivavano da tutta Italia continuavano ad affluire. Presi dal panico, i fascisti avevano chiamato i deputati del MSI con la loro corte di loschi figuri (Delle Chiaie, ad esempio) schierati, armati, davanti alla facoltà.

Giacomo, un compagno siciliano grosso come un armadio, pesco’ Almirante che, con un cappottino scuro e un cappellino tirolese, cercava di raggiungere i suoi camerati.

In un attimo lo scaravento’ per terra ed Almirante si salvo’ fortunosamente dal trattamento che il compagno gli avrebbe destinato grazie all’intervento di noi tutti, timorosi di provocazioni con conseguenze luttuose. Fu in quell’occasione che Oreste Scalzone fu colpito alla spina dorsale da un pezzo di mobile che i fascisti avevano lanciato dalle finestre della facoltà di Legge sulla folla degli studenti. A questo punto la polizia sgombero’ l’università e potemmo rientrare solo nel pomeriggio, quando i fascisti erano stati allontanati. Tenemmo una memorabile assemblea, con la partecipazione di rappresentanti tedeschi dello SDS (la Lega degli Studenti socialdemocratici) e americani delle Pantere Nere e la sera andammo in corteo con le fiaccole fino all’Ambasciata americana, o meglio a una certa distanza da essa, dato che ingenti forze di polizia sbarravano l’ingresso a Via Veneto.

A Firenze, l’incontro fra un pugno di studenti ed uno di tipografi aveva dato vita ad uno dei primi gruppi operai-studenti. Mi é rimasto impresso il primo volantino, dove il testo degli studenti era integrato dalla grafica dei tipografi : la categoria era in lotta per il contratto e vi si parlava di lavoro straordinario, con uno scheletro che aveva un orologio al posto della pelvi. Renato ne deve ancora avere un esemplare.

Ci riunivamo alla Casa del Popolo Faliero Pucci o nella sede del sindacato poligrafici della CGIL, sopra il Cinema Alfieri. Una sera - era Pasqua - il Pio offri’ da bere ad un sindacalista della CISL, il Gessa, che gli chiese, perplesso, a che doveva tanta generosità. « Ma é morto Gesu’ », rispose allegro il Pio, che in realtà si chiamava Piero ma veniva da una famiglia di contadini cattolici di un paesino toscano dove erano tutti comunisti, o quasi, e dunque si era visto affibbiare, fin da ragazzo, quel soprannome con cui tutti lo conoscevamo.

La lotta

Nel maggio del 1968, gli studenti francesi dettero battaglia a Parigi. Alla fine del mese, anche noi a Firenze occupammo il Rettorato dell’università. Furono tre giorni indimenticabili. Quel che restava della Firenze partigiana venne a portare la sua solidarietà agli occupanti, insieme ai lavoratori delle aziende in lotta e persino agli artisti impegnati, come I Gufi, di passaggio in città.

Attilio si stava già allontanando dagli ambienti studenteschi (in quel periodo militava nella Quarta Internazionale), ma ricordo un suo intervento nel quale denunciava una congiura a Cuba ai danni del Che, che era stato costretto a lasciare l’isola per la Bolivia, dove la CIA lo aveva fatto assassinare.

Uscendo per ultimi dal Rettorato con il solito sacco a pelo, io e Giorgio incrociammo il capo dell’Ufficio politico della Questura - non c’era ancora la Digos - che ci disse che la festa era finita e che, dalla ripresa autunnale, ogni volta che una facoltà sarebbe stata occupata, la polizia sarebbe intervenuta e gli occupanti denunciati.

Nell’ottobre del 1968 presi in affitto un appartamento con mia moglie e mia figlia. Avevo trovato lavoro come rappresentante di scarpe, ma in seguito lasciai perdere perché mi accorsi che senza un capitale proprio era impossibile svolgere quell’attività : infatti i rappresentanti, più che dalle commissioni sulla merce venduta, traevano di che vivere dai soldi prestati a strozzo ai negozi indietro con i pagamenti. Non faceva per me : meglio vivere di occupazioni saltuarie. I soldi erano pochi ed incerti, ma potevo camminare a testa alta.

Quando non c’erano più riserve alimentari, andavamo con Attilio a Bologna dal babbo di un compagno di Lugo, che lavorava ai Mercati Generali. Ci andavamo a mezzogiorno, quando il mercato chiudeva, e riempivamo la mia 500 familiare di patate, cipolle e verdure varie destinate ad essere distrutte per « mantenere il prezzo ».

In quell’occasione andavamo a trovare il figlio di Attilio e sua madre. Il bambino somigliava moltissimo a suo padre : l’unica differenza, a parte la taglia, era che parlava con uno spiccatissimo accento bolognese mentre Attilio aveva un altrettanto spiccato accento calabrese.

Ricordo, sul finire del 1968, una grande manifestazione per la riforma delle pensioni - allora la parola riforma era legata ad una prospettiva di miglioramento - in occasione della quale Attilio fu arrestato insieme ad altri tre giovanissimi compagni e tradotto al carcere delle Murate. Il processo, per direttissima, ebbe luogo due settimane dopo. I difensori erano l’avvocato Filasto’, del PCI, e l’avvocato Pacchi, del PSI. C’erano tantissimi anziani a seguire l’arringa degli avvocati : mi dissero che erano passati, dieci o venti anni prima, dalla stessa aula, e volevano risentire l’arringa di Filasto’, che non li deluse. I compagni, e fra loro Attilio, furono scarcerati. Da allora, prima di ogni manifestazione, suo fratello Raffaele si raccomandava perché proteggessimo Attilio, che alle manifestazioni rischiava di essere nuovamente arrestato perché, diceva lui, si esponeva troppo.

Non fu l’unico processo nel quale Attilio era imputato. Ne ricordo un altro, nel quale era accusato, classicamente, di resistenza, oltraggio e lesioni a pubblico ufficiale. Eravamo in tre ad assistere al processo, fra il pubblico. C’era un poliziotto a testimoniare. Qualche giorno dopo, uno di noi tre si vide recapitare una denuncia : nel corso della sua testimonianza in tribunale, il poliziotto sosteneva di aver scoperto fra il pubblico la persona che, a suo dire, lo aveva colpito nel corso di una manifestazione, cioé il nostro compagno. Quest’ultimo a quella manifestazione non c’era proprio : da allora capimmo che non era più possibile neppure sostenere Attilio od altri compagni ai processi senza rischiare una denuncia.

In compenso, Attilio fu inaspettatamente assolto : la sentenza era senz’altro interessante ed ancora più interessante era il giudice, un sardo con una faccia indimenticabile, allora sconosciuto a Firenze, che divenne poi un esponente di primo piano di Magistratura democratica

Il terrorismo

Nel dicembre del 1969, la strage fascista di Piazza Fontana fu il pretesto per una serie di arresti di compagni in tutte le città d’Italia. Pinelli ci lascio’ la pelle, Valpreda fece anni di galera. Attilio fu fermato ed io ricevetti la visita della polizia mentre, a mia insaputa, altri poliziotti interrogavano mia moglie nella scuola dove insegnava. Volevano sapere dove era stato Attilio nelle ultime 48 ore. Dissi che eravamo stati insieme perché stavo traducendo per lui alcuni testi che servivano alla compilazione della sua tesi. In realtà eravamo seguiti da giorni. La polizia conosceva tutti i nostri movimenti e la mia testimonianza non serviva certo a conoscerli. Alla fine la concordanza fra la mia testimonianza e quella di mia moglie servirono a far rimettere in libertà Attilio.

All’inizio del 1970 un gruppo di intellettuali, di studenti, di operai di orientamento marxista-leninista, in relazione con altri gruppi in altre città che facevano tutti riferimento alla rivista Viva il Comunismo, tento’ a Firenze di dar vita ad un gruppo, il Centro Mao tse tung, che si richiamava al marxismo-leninismo in forme, con metodi e seguendo una prassi diversi da quelli del PCd’I, custode geloso dell’ortodossia, dogmatico e settario, lontanissimo dalle masse popolari (era l’epoca in cui gli iscritti al PCI non erano lontani dai 2 milioni e quasi 1/3 dell’elettorato lo votava).
Attilio, io ed una diecina di altri vi militammo un anno e mezzo, fino alla metà del 1971, quando ne uscimmo prendendo atto di quanto il Centro fosse tutt’altro che centrale nel panorama politico fiorentino, lontanissimo dai lavoratori che avrebbero dovuto esserne il fulcro. Sostanzialmente, gli operai e gli artigiani fiorentini non si erano neppure accorti della sua esistenza.

Nel frattempo non eravamo più studenti. Quelli di noi che avevano terminato gli studi si dedicarono quasi tutti, Attilio compreso, all’insegnamento nelle scuole. Io entrai alle ferrovie. Dopo l’esperienza nel Centro Mao, concordavamo su un punto : occorreva ricominciare dalla base e dunque militare là dove eravamo fisicamente presenti, sul posto di lavoro, nel sindacato, nel quartiere, nella scuola. Questa scelta rese sempre più rare le occasioni di incontro e di discussione fra di noi.

Fra il 1970 ed il 1971 eravamo andati, Attilio, io, mia moglie e mia figlia di tre anni, con la solita 500 familiare, a San Lorenzo Bellizzi a trovare la sua famiglia. Conobbi suo padre, due sue sorelle, un fratello « grullo », l’unico che era rimasto al paese (col quale ci comprendevamo benissimo), cognati, zii e nipoti. I rapporti fra Attilio e la sua famiglia non erano facili : le sue scelte non erano semplici da capire e condividere in una realtà poverissima e tradizionale, con le sue regole ferree. Mi fece vedere quel che restava della casa e della bottega dove avevano vissuto in dodici, una zuppiera di pasta in mezzo alla tavola una volta al giorno, tante forchette e nessun piatto. Fummo colmati di gentilezze, ospitati e nutriti abbondantemente : in tavola non mancavano mai la sardella, i peperoncini ed un vino color rubino forte e secco. Ai piedi del Pollino, dove si trova San Lorenzo Bellizzi, vi é una zona di antico insediamento albanese : Castrovillari, Eianina, Cassano ed altri paesi avevano accolto, quattro secoli prima, gli Albanesi che avevano preso il mare per sfuggire ai Turchi ed erano sbarcati in Calabria. I discendenti dell’eroe nazionale albanese, Skanderbeg, al quale é intitolata la piazza centrale di Tirana, vivono tuttora in Calabria.

Il 21 novembre del 1971 traslocavo con l’aiuto di Paolo e di Attilio in un appartamento nuovo, con il riscaldamento centrale e la vasca da bagno : la data me la ricordo perché é quella della nascita dei miei figli gemelli. Alle ferrovie avevo ritrovato Renato, il tipografo - la Casa editrice Vallecchi, dove lavorava, aveva chiuso - e subito avevamo dato vita ad un collettivo di ferrovieri, che davano battaglia dentro e fuori il sindacato. Gli attentati fascisti si moltiplicavano, l’aria era sempre più rovente. Nel 1973, il sequestro del giudice Sossi da parte della Brigate rosse segno’ una svolta : era comparsa una nuova forma di terrorismo, che tagliava l’erba sotto i piedi di quanti, come noi, non avevano una chiesa per proteggerli.

Verso lo stesso obbiettivo, ma per strade diverse

In quegli anni i miei rapporti con Attilio si allentarono : io, e come me tanti altri compagni, tornai alla base, fra i lavoratori, gli abitanti del quartiere, gli insegnanti ed i genitori della scuola frequentata dai miei figli, la casa del popolo, lui continuo’ ad essere presente nel dibattito politico cittadino.

Fu attivo nel movimento del 77 e penso che fosse a Bologna quando mori’ Francesco Lorusso e Radio Alice fu fatta tacere manu militari. In quel momento io occupavo con altri genitori la scuola elementare dove avevo iscritto i miei gemelli alla prima, perché il provveditorato aveva deciso di abolire il tempo pieno a partire da quell’anno. Dopo una settimana di occupazione, con il concorso della casa del popolo, delle sezioni dei partiti di sinistra, dei sindacati degli insegnanti e di tutto il quartiere, ottenemmo il ristabilimento del tempo pieno nella scuola, a conferma che la lotta paga.

Dopo ci fu il 1978, il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro : non avevamo i mezzi per distinguere fra terroristi e agenti segreti, sostenitori di impossibili scorciatoie ed infiltrati, e non li abbiamo tuttora.

Epilogo

Fu in quegli anni che successe qualcosa, qualcosa che mi sfugge, ci sfugge e, dopo la morte di Attilio nel giugno di quest’anno, morte di cui abbiamo appreso solo due settimane fa, resterà ormai un interrogativo senza risposta.

Che cosa é avvenuto nella sua mente e nel suo cuore per spingerlo a militare in un gruppo terroristico come Prima Linea ? Quando fu arrestato, nel 1980, ci chiedemmo cosa fosse successo. Qualcuno di noi aveva avuto qualche vago elemento. Il fratello, Raffaele, aveva chiesto a Mario di tenere d’occhio Attilio perché frequentava strana gente. Mario invito’ a cena Attilio, che si presento’ con due sue amiche, ripromettendosi di parlargli dei timori di suo fratello. Ma la cena si svolse come sempre, senza che alla fine fosse stato possibile affrontare l’argomento. Del resto, Raffaele si era sempre rivolto a noi compagni perché tenessimo d’occhio suo fratello, come se fosse un ragazzino un po’ scapestrato. Lo chiamavamo « la suocera ».
Dopo l’arresto di Attilio, Riccardo mi disse che Attilio gli aveva parlato qualche mese prima, in termini vaghi, di un suo viaggio in Val di Susa, alla ricerca di contatti con i partigiani della zona ancora in vita. A ripensarci, poteva essere un’indicazione, ma non lo era stata, allora. Del resto, nessuno di noi poteva pensare, neppure lontanamente, che Attilio potesse lasciarsi risucchiare dal girone del terrorismo.

Gli anni successivi sono quelli del processo e della condanna a 12 anni per partecipazione a banda armata : questa fu l’unica accusa che gli fu contestata e provata, grazie alla collaborazione dello stesso Attilio, che ammise da subito la sua appartenenza a Prima Linea. Gli altri nove arrestati con lui furono scarcerati nel giro di sei mesi.

Aveva una solida cultura marxista, una grande sensibilità, non era un violento. La mia figlia più grande, l’unica che lo ha conosciuto bene, era felice con lui. Mia moglie ne era affascinata. Suo figlio é sempre andato a trovarlo in carcere, potendo vederlo solo attraverso un vetro antiproiettile e parlandogli ad un microfono. Alcuni compagni insegnanti hanno potuto corrispondere con lui per fargli pervenire dei libri della materia che insegnava.

Non si é mai pentito e neppure dissociato e dunque non ha denunciato nessuno e non ha avuto sconti di nessun genere. Ha pagato da solo e si é assunta tutta intera la sua responsabilità. Trascorsi 11 anni, rifiuto’ in un primo tempo la scarcerazione propostagli dal giudice di sorveglianza prima che la condanna spirasse, e taglio’ i ponti anche con quanti erano rimasti in corrispondenza con lui. Aveva resistito, integro, ad oltre 10 anni di detenzione « speciale », in celle dove un tavolino, uno sgabello, un letto, come il cesso e il lavabo, sono infissi nel pavimento e dove una telecamera guarda il detenuto 24 ore su 24. Altro che reality !

Uscito di galera, era tornato per qualche giorno a Firenze. Sembra che mi abbia cercato ma nel frattempo mi ero separato da mia moglie e non abitavo più allo stesso indirizzo.

Da allora, sono passati 15 anni, ho sempre rimandato una visita a San Lorenzo Bellizzi, dove sapevo che era tornato. La paura di “compromettermi”? Il timore di quello che mi avrebbe detto o non detto? L’incomunicabilità che chiude il rapporto fra due amici fraterni, come due braccia di uno stesso corpo di cui l’uno non sa quello che fa l’altro e perché ? Mi portero’ dietro queste domande senza risposta per tutti gli anni che mi restano da vivere.

Una sola cosa non devo rimproverarmi : non l’ho mai dimenticato, neppure un solo giorno, da quando l’ho incontrato l’ultima volta, trenta anni fa. Ogni volta che ho conosciuto un compagno, una compagna per i quali lui era soltanto un nome io gliel’ho descritto, gliel’ho raccontato e piano piano é diventato un compagno, un amico anche per loro.

Tutti i compagni che vogliono aderire al nostro ricordo possono firmare qui

Messaggi

  • Salve. Nel fare una ricerca ho letto per caso alcuni articoli su Attilio Faillace, e mi sono venuti i brividi! Perchè vi chiederete voi, visto che ho 28 anni e il "sessantotto" l’ho solo studiato sui libri (?) Beh, se non mi sbaglio con un ononimo, una persona a me cara ha conosciuto Attilio Faillace. Anche questa persona insegnava nella stessa scuola e lo ha frequentato fino al suo arresto. ...So che era un insegnante calabrese, magro, con i capelli neri e ricci e due occhi che lasciano un segno a chi li guarda.... Faceva parte di un movimento brigatista. ...In un episodio tenne nascosto uno esponente dello stesso movimento. Fu arrestato e accusato di aver partecipato ad un attentato.
    ...Gli diedero il massimo perchè non ritrattò, a differenza degli altri che se la cavarono con poco...

    Questa persona che lo ha conosciuto lo andò a trovare in carcere e lo rivide dopo ma solo per una volta . Da ciò che mi ha raccontato, era una persona completamente cambiata fisicamente: invecchiato, sdentato...ma i suoi occhi brillavano ancora come un tempo...

    Ora sono a chiedere, a chi lo ha frequentato, se può inviate sul sito, una foto che lo ritragga.
    ...Voglio solo accertarmi che sia davvero lui.

    P.S:
    Chiedo scusa se ho scritto questo messaggio in modo un pò "sbrigativo", ma tanti sono i ricordi che mi stanno affollando la mente nel ripensare a quando questa perona mi ha raccontato questa storia... vera storia di un uomo che ha lottato fino in fonfo contro la schiavitù dell’ individuo; per rendere il lavoro degno di essere riportato nel primo articolo della Costituzione, come mezzo per costruire insieme una nuova Italia, fatta di uomini, e non di potenti.

    Ringraziando

    Un Italiano

  • ciao Attilio sono passati esattamente 29 anni da quando mi aiutasti nel super carcere di cuneo a sequestrare quelle quardie che con l’inganno volevano trasferirmi a nuoro (L’INFERNO DI BADE’ CARROS ) ricordo bene quello che accadde, eravamo cinque compagni di prima linea e tu sei stato l’unico ad aiutarmi, poi seppi che sei stato anche condannato per quel fatto. oggi leggendoun libro o visto il tuo nome e con grande dispiacere ho letto della tua morte, per quando mi riquarda tu caro compagno e sopratutto AMICO sei e sarai sempre nel mio cuore, sai anche io non mi sono mai dissociato o pentito alla fine in tutto ho fatto 22 anni, Onore a tè a Lucio e a tutti i compani che anno dato la l’oro vita per l’uguaglianza e la libertà, ti voglio bene amico mio la tua lotta non e stata inutile rimarra indelebile nei cuori di tutte le persone che ai conosciuto personalmete e da chi a raccondato di te, ora posso dirti che quel periodo di pochi mesi passati insieme dove discutevamo di tutto, e abbiamo visto vincere il campionato del mondo all’Italia, in questo momento e come se l’ho rivivessi insieme ha te, avrei ancora tante altre cose belle da dire,però ti dico che spero un giorno... di incontrarti e darti quell’abbraccio che quando mi portarono via non ci anno fatto dare quelle carogne. Ciao Compagno e Amico Filippo M.