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FERMENTI RIVOLUZIONARI IN AMERICA LATINA E IN ALTRI CONTINENTI

Publie le martedì 19 dicembre 2006 par Open-Publishing

Lucio Garofalo

di Lucio Garofalo

Premetto che non ho nulla da eccepire sulla sostanza dell’articolo di Gennaro Carotenuto (intitolato "Uno spettro s’aggira per l’America: lo spettro del socialismo del secolo XXI"), in particolare sulla tesi relativa al carattere antiimperialista della "rivoluzione bolivariana" (dal nome del celebre eroe nazionale venezuelano, Simon Bolivar), conseguita e rafforzata con successo dal governo di Hugo Chavez in Venezuela, che attualmente rappresenta il principale punto di riferimento di un movimento populista di sinistra che si sta espandendo in tutta l’America Latina, contagiando altre nazioni, quali l’Argentina, il Brasile, la Colombia, la Bolivia, senza dimenticare ovviamente la vecchia Cuba castrista, che avrebbe ancora qualche prezioso ed utile insegnamento storico da impartire alla sinistra europea ed internazionale.

Tuttavia, mi permetto di segnalare altri avvenimenti ed altri processi storici in atto nel continente latino-americano, e non solo in quel continente.

Penso, ad esempio, al recente successo elettorale del fronte politico sandinista in Nicaragua, guidato da Daniele Ortega, che fu già a suo tempo (nel corso degli anni ’80) Presidente della Repubblica socialista del Nicaragua, insidiata ed aggredita per anni da una guerriglia di destra filo-americana condotta dai famigerati Contras, veri e propri mercenari, finanziati e caldeggiati militarmente e politicamente dall’amministrazione yankee capeggiata dall’allora presidente ultra-conservatore ed ultra-liberista, l’ex attore di Hollywood Ronald Reagan. A tale proposito è utile ricordare che la strategia controrivoluzionaria in Nicaragua fu diretta da un noto agente della CIA, tal John Negroponte, già ambasciatore statunitense in Honduras e in Messico, nel 2001 nominato dal presidente Bush quale ambasciatore degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite (!) ed attuale ambasciatore U.S.A. in Iraq. Davvero una bella carriera di "intelligence" diplomatico-eversiva al servizio dell’imperialismo nord-americano. Lo stesso John Negroponte venne coinvolto in un noto scandalo degli anni ’80, denominato "Irangate" o "Iran-Contras", da cui emerse chiaramente che i fondi occulti che la Casa Bianca utilizzò per finanziare la guerriglia mercenaria dei Contras furono attinti e ricavati dalla vendita di armi ad uno Stato nemico, l’Iran dell’ayatollah Khomeyni, che figura ai primissimi posti nella lista dei cosiddetti "Stati-canaglia" stilata dagli ambienti neocons che ispirano ed influenzano l’attuale amministrazione Bush. Ebbene, partendo dal Nicaragua sandinista e dalla guerriglia dei Contras, passando per l’Iran, giungendo fino all’odierna guerra in Iraq, sembra affiorare e delinearsi una sorta di filo conduttore o di comune denominatore, una trama politico-eversiva e strategico-imperialistica che rinviene in John Negroponte una vera costante, ossia un personaggio ed un protagonista "nero" ricorrente.

Ma torniamo al Nicaragua. A riguardo vorrei sottolineare soprattutto l’originalità e l’unicità dell’esperienza rivoluzionaria sandinista, in quanto ispirata ed animata dalla "fusione" e da una felice contaminazione ideologico-politica tra la cultura marxista e la prassi politica comunista, da un lato e, dall’altro, la "teologia della liberazione", ossia quell’espressione migliore, più avanzata e radicale del dissenso cattolico che, a partire dal 1968, in seguito al Concilio Vaticano II indetto dal pontefice Giovanni XXIII, si diffuse rapidamente in vari paesi dell’America Latina: si pensi, ad esempio, al Brasile, al Perù, all’Honduras, al succitato Nicaragua, ma anche al Salvador, laddove una cruenta e durissima reazione politico-militare dell’imperialismo statunitense arrestò e soffocò in un bagno di sangue l’insurrezione popolare. Così come era accaduto in Cile, l’11 settembre 1973, quando la reazione imperialista statunitense (ordinata dalla CIA, il vero cervello e la vera guida strategico-politica dell’eversione fascista e della destabilizzazione conservatrice a livello internazionale) si scatenò in tutta la sua terribile virulenza ai danni del popolo cileno e del governo socialista presieduto da Salvador Allende, democraticamente eletto, favorendo in tal modo un golpe militare di destra che instaurò la feroce dittatura del generale Augusto Pinochet, deceduto da poco.

Oggi, a dispetto di quanti sostengono da anni la tesi opposta, sembra che quella "miscela" rivoluzionaria basata sull’incontro-confronto tra una versione libertaria dell’ideologia marxista e un movimento cattolico dissidente di contestazione antiliberista ed anticapitalista, non abbia esaurito i suoi effetti e le sue potenzialità emancipatrici e progressiste, visto il clamoroso risultato politico-elettorale conseguito in Nicaragua dai sandinisti.

Spostandoci in Messico, non è affatto superfluo evidenziare e precisare il carattere storico rivoluzionario in sé, sia sul piano particolare e locale, degli avvenimenti di Oaxaca, sia soprattutto per le implicazioni di natura internazionalista che tali vicende possono comportare e produrre nel quadro dei rapporti di forza politico-ideologici ed economico-militari instaurati a livello planetario dall’apparato bellico-industriale che fa capo al neoimperialismo e al neocolonialismo made in U.S.A. & soci: penso soprattutto al fedelissimo alleato britannico, ma penso anche all’emergente "potenza neocolonialista" di matrice italica, dell’asse governativo Berlus-Prodi, che "a sinistra" si sorregge fondamentalmente sulla "stampella" politica dalemiana e su quella bertinottiana.

Tuttavia, mi piacerebbe che si facesse almeno una volta un accenno, anzi più di un accenno, alla situazione politica nepalese, dove il partito comunista di quel Paese, di ispirazione maoista, ha ormai issato la bandiera del comunismo popolare sulla vetta dell’Everest.

Da anni in Nepal (anche nel continente asiatico si agitano profondi fermenti rivoluzionari) è in atto una vera lotta armata popolare, condotta dalle masse contadine, che ha fatto compiere passi da gigante alla società nepalese, costretta per secoli a sottostare ad un sistema economico-produttivo di natura aristocratico-feudale o semi-feudale, e ad un regime politico di tipo dispotico-assolutistico.

Ebbene, in quel paese la rivoluzione comunista maoista sta provocando effetti di liberazione e di affrancamento materiale e politico-sociale di massa, che erano impensabili fino a pochi anni or sono.

L’emancipazione in corso delle classi popolari e rurali nepalesi è, a mio avviso, uno dei processi e degli avvenimenti storici internazionali più rilevanti e significativi degli ultimi tempi, per cui meriterebbero una maggiore attenzione e considerazione da parte dei mass-media occidentali ed internazionali, e in modo particolare da parte dei siti on-line di controinformazione presenti su Internet.

Come mai non si parla affatto della rivoluzione nepalese, tranne rarissime eccezioni, mentre si esaltano fin troppo altre vicende ed esperienze politiche più o meno rivoluzionarie, quali appunto la "rivoluzione bolivariana" guidata dal governo venezuelano di Hugo Rafael Chavez Frias?