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Revisionismo all’italiana

Publie le sabato 6 gennaio 2007 par Open-Publishing
5 commenti

Dazibao Storia

di Giustiniano Rossi

Nella generale corsa all’opportunismo nella quale tanta parte dell’attuale sinistra italiana si distingue, a cominciare dall’ormai "storico" invito alla pacificazione con i "ragazzi di Salo’", nel 1994, di Luciano Violante, attuale presidente dei DS ed allora presidente della Camera dei Deputati, c’é una new entry, quella del direttore di Liberazione.

Piero Sansonetti sostiene, prevedendo - é giusto sottolinearlo - che non tutti i lettori del giornale avrebbero condiviso la sua opinione, che fu ingiusto "fucilare Benito Mussolini, 61 anni fa, dopo un processo durato un solo minuto e poi esporre il suo cadavere, in piazza a Milano, appeso a testa in giù, assieme ai corpi di Claretta Petacci e di alcuni dei gerarchi fascisti fucilati a Dongo".

Proprio in questi giorni, tanti anni fa, esattamente il 3 gennaio del 1925, il Mussolini, in un suo discorso alla Camera per difendersi dall’accusa, storicamente provata, di aver fatto assassinare sei mesi prima il deputato socialista Giacomo Matteotti, dichiarava di assumere, lui solo, la responsabilità politica, morale, storica dell’accaduto.

Matteotti aveva denunciato, nel memorabile discorso alla Camera dei Deputati del 30 maggio 1924 che gli costo’ la vita l’11 giugno dello stesso anno, il risultato delle elezioni del 1924, regolate dalla legge Acerbo, che consentiva alla lista che avesse conseguito almeno il 25% dei suffragi di ottenere in Parlamento i 2/3 dei seggi.

E’ un caso se l’’utilizzo delle schede bianche a favore dei candidati fascisti ricorda quanto recentemente denunciato da Enrico Deaglio per le elezioni dell’aprile 2006 ?

Riportiamo, per i tanti smemorati, le testuali parole del Mussolini

« Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere.
Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi. »

Appare evidente che é stato lo stesso popolo italiano, davanti al quale il Mussolini aveva fatto la sua solenne dichiarazione, a condannarlo a morte prendendo atto della sua assunzione di responsabilità e che il suo processo non era durato un solo minuto, ma vent’anni, mentre la sentenza di condanna era stata pronunciata dal CLNAI, che quel popolo rappresentava, oltre un anno prima della sua fucilazione.

Diverso il discorso per l’esposizione del suo cadavere in Piazzale Loreto a Milano (luogo di infami, precedenti esposizioni di partigiani torturati ed uccisi da parte degli occupanti nazisti e dei loro servi fascisti) appeso a testa in giù assieme ai corpi di Claretta Petacci e alcuni dei gerarchi fascisti fucilati a Dongo. Si tratta di una pagina oscura – nel clima dell’epoca, é bene non dimenticarlo, frutto di quattro anni di guerra e di ventidue di fascismo - i cui autori sono rimasti anonimi. Il CLNAI fece cessare quello scempio appena ne fu informato.

Del delitto Matteotti e della reazione del Mussolini fece un’analisi interessante Carlo Rosselli, fondatore del movimento Giustizia e Libertà, evaso dall’isola di deportazione di Lipari e rifugiato in Francia, qualche anno prima di essere assassinato a Bagnoles de l’Orme dai cagoulards francesi per ordine dello stesso Mussolini, che bene descrive l’antico opportunismo che già allora affliggeva tanta parte della sinistra italiana. Egli scrisse, nei Quaderni di Giustizia e Libertà dell’8 giugno 1934,

« Fu una crisi di trapasso e di liquidazione che scarnificò il fascismo rivelandone i metodi briganteschi e la sostanza di classe e obbligandolo a precipitare la dittatura, ma fu anche una crisi che mise in luce la tragica debolezza delle opposizioni ufficiali. L’illusione dell’Aventino, a cui i giovani chiedevano in quei giorni di rinnovare il mito della « Pallacorda », rivendicando di fronte alle masse il potere, riposava sulla mancata coscienza della gravità della sconfitta subita dalle forze operaie tra il 1921-’22, non solo in Italia ma in tutta Europa. Mancata coscienza non solo nei capi, ma nelle masse, e di tutti i partiti, comunista compreso ».

E ancora

Matteotti era un isolato. Quando terminò la sua improvvisata requisitoria alla Camera, un suo compagno (Baldesi) - morto poche settimane or sono in dignitoso silenzio - lo interpellò bruscamente: "Sicché tu ci vuoi tutti morti?".

Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano.

L’Italia visse così sei mesi in atmosfera d’illusione e di romanticismo, oscillando tra la ribellione moralistica e puritana e i complotti di corridoio. Finché il 3 gennaio Mussolini - forzato, a quanto pare, dai suoi più fedeli - porterà il dibattito sul terreno della forza. Se mi volete morto, venitemi a prendere. I più giovani ebbero subito la sensazione che Mussolini avesse guadagnato la partita, e che ormai non rimanesse che la via insurrezionale. Ma non ci fu verso di fare intendere la realtà ai capi dell’Aventino. Essi, che concepivano la rivoluzione sotto la forma di dimissioni di due ministri militari, giudicarono quel discorso l’ultimo disperato tentativo di salvataggio di un uomo ormai liquidato di cui non valeva la pena di occuparsi. E attesero i decreti di villa Ada. Ve ne sono che attendono ancora

Credere di poter vincere con le armi legali l’avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi (Gobetti diceva: "l’Aventino ha un mito, il mito della cautela") sperando che la borghesia dimentichi il ’19. Attendere che il re e i generali tolgano le castagne dal fuoco col solo intento di consegnarle, a sei mesi dalla data, a lor signori dell’opposizione non appena scottino meno. Supporre che i valori morali possano da soli rovesciare i rapporti obiettivi di classe…

La demagogia fascista l’ha abituata [la gioventù] a guardare alla realtà delle cose e dei rapporti di classe; e se una crisi risolutiva dovesse aprirsi, saprà puntare sugli obiettivi decisivi: le armi, le masse, il potere. L’affare Matteotti non solleva i suoi sdegni infuocati. Le sembra naturale che essendoci tra cento e più deputati antifascisti un uomo delle sue qualità, Mussolini lo facesse sopprimere. E non ama le commemorazioni. Niente commemorazioni, dunque, poiché tutto fu detto; poiché in questi anni duri è sorta la generazione dei Matteotti. Il figlio di Matteotti ha venti anni.

Premesso che neppure noi amiamo le commemorazioni, ci sembra che le parole di Rosselli offrano ampia materia di riflessione, nel XX come nel XXI secolo.

Con buona pace degli apostoli della non violenza da salotto (o da redazione) - absit iniuria verbis ! - e degli opportunisti di ora e di allora vorremmo poter dire anche noi « il figlio di Matteotti ha vent’anni ».

Oggi!

Messaggi

  • Mah, in tutta franchezza, non sarei così categorico.

    Tra l’altro, Sansonetti sembrerebbe essere, in questo parere, tutt’ altro che un isolato.

    Marco D’Eramo, tra l’altro figlio di deportati a Dachau, sul "Manifesto" è andato ben oltre, ha definito la fucilazione di Mussolini come "fatto spregevole".

    Anche io, su queste pagine, ho ben distinto nei giorni scorsi la fucilazione di Mussolini ( del tutto spiegabile e formalmente legale in un clima di guerra ancora in corso nel Nord Italia coi nazi che ritirandosi mietevano ancora stragi) da quella degli altri gerarchi ed ancora di più da quella della Petacci, per i quali, e soprattutto per la quale, non c’era alcun ordine di esecuzione del Cnl Alta Italia.

    E anche se ho gridato spesso in gioventù "Piazzale Loreto" nelle manifestazioni antifasciste, non ho un dubbio oggi, pur non essendo affato un "revisionista", che quello scempio di cadaveri - anche se è vero che i fascisti avevano fatto la stessa cosa nello stesso posto coi cadaveri di alcuni partigiani democristiani solo pochi giorni prima - fu veramente un atto spregevole, come del resto mi sembra sostenere anche Giustiniano Rossi.

    Escludendo, quindi, per i motivi suddetti alcun possibile paragone tra l’esecuzione di Mussolini a caldo e a guerra ancora in corso e quella di Saddam anni dopo che era stato catturato e quando ormai non rappresentava alcun pericolo reale rimanendo in vita, concependo la prima come atto finale di un massacro orrendo e la seconda invece foriera di ulteriori carnai nel martoriato Iraq, credo però che anche nella legittima e comprensibilissima fucilazione di Mussolini non tutto sia chiaro e limpido.

    Ancora oggi, infatti, non si sa con certezza assoluta chi l’ha fucilato.

    Il famoso Comandante Valerio si prese apertamente questa responsabilità solo nel 1965, quindi venti anni dopo il fatto.

    Ma altri partigiani, comunisti e non, hanno dichiarato in tempi più recenti di essere stati invece loro a fucilare il duce.

    Franco "Felice" Napoli, un partigiano socialista romano della famosa "banda del Gobbo", dopo la liberazione di Roma nel giugno 1944 arruolatosi nell’esercito Usa e che sicuramente ebbe un ruolo nella cattura di Mussolini, sostiene addirittura che ad uccidere il duce furono dei mafiosi italoamericani agli ordini dei servizi segreti inglesi, che avevano interesse a far tacere Mussolini sui rapporti ambigui da lui tenuti per anni, anche durante la guerra, col premier inglese Churchill. ( ed a recuperare e a far sparire documenti in questo senso che il duce avrebbe trasportato con sè nella fuga).

    E che quindi la fucilazione fatta dal Comandante Valerio fu, nel caso di Mussolini, finta, fatta quindi contro un cadavere, per l’esigenza della Resistenza di apparire essa come la giustiziera di Mussolini e non appunto gli inglesi.

    Mentre invece sarebbe stata "vera" la fucilazione per mano dei partigiani comunisti della Petacci e degli altri gerarchi, a questo punto per cucire la bocca a probabili testimoni della fucilazione finta del Duce.

    E ci sono poi, nei giorni immediatamente successivi alla fucilazione, strane ed inspiegabili morti violente tra i partigiani che avevano partecipato alle esecuzioni.

    Per anni la "vulgata fascista" ha attribuito questi episodi ad una resa dei conti tra partigiani per la spartizione del cosiddetto "oro di Dongo", cioè del presunto tesoro che Mussolini avrebbe portato con sè nel tentativo fallito di fuga in Svizzera.

    Ma queste sono probabilmente fandonie, visto che il "bottino" di Mussolini è stato poi ritrovato in Svizzera, dove era stato spedito molti mesi prima in previsione della disfatta nazifascista.

    Rimane il fatto, però, che in sessanta anni nessuno ha mai veramente chiarito i termini della vicenda.

    Che se non può, a mio giudizio, essere considerata in sè "spregevole" per quanto detto prima, quantomeno poco chiara è rimasta ancora oggi ......

    E questo, a scanso di equivoci, senza minimamente indulgere da parte mia a nessuna logica "revisionista", a nessuna rilettura strumentale della storia in stile Pansa, ma evidentemente rilevando soltanto questa assurda mancanza di chiarezza, anche a distanza di ormai oltre sei decenni.

    Keoma

    • La fucilazione fu un atto giusto nella sostanza ma sbagliato nella forma...troppo comodo inveire contro chi usava tribunali posticci per giudicare innocenti e giustificare chi ha usato gli stessi metodi per uccidere un colpevole...il revisionismo è da sempre a mio avviso un grosso errore ed orrore perchè si ragiona con la mente "tiepida" di oggi...per questo dico che molti compagni sbagliarono e sbagliano ancora oggi nel voler vedere solo quello che fa comodo e che fa del bene alla causa...errori molti ma esserne consapevoli nn significa volerli cancellare solo avere coscenza di se e della propria storia..essere comunista ed essere pacifista sarà un binomio che mai capirò e mai condividerò...meno deviati e più ortodossi garantirebbero maggiore serietà alla dottrina soprattutto nel grande teatro del "volemosè bè" italiano.

  • Mussolini e Saddam due giustizie diverse

    (di GIORGIO BOCCA)

    "Tacete voi che avete ucciso Mussolini dopo un processo di un’ora", ha detto il governo iracheno all’Italia. Ma non è andata esattamente così. Mussolini è stato condannato dalla maggioranza del popolo italiano negli anni delle guerre inutili e sanguinose e soprattutto nei venti mesi della occupazione nazista e della collaborazione di Salò con Hitler. E se proprio si vuole una giustificazione legalistica Mussolini è stato giustiziato su ordine del Clnai, il comitato di liberazione nazionale che governava nell’Italia occupata.

    L’ordine era di passare per le armi chi nel giorno della insurrezione generale si fosse opposto con le armi in pugno. E Mussolini fu catturato a Dongo mentre tentava di fuggire in Valtellina e da lì nella Germania ancora nazista.

    Della sua esecuzione sono state date centinaia di versioni. Noi crediamo, per quel che possa valere, che la più aderente al vero sia quella raccontata in una nostra storia della Repubblica di Salò. L’abbiamo appresa da Fermo Solari che quel 25 aprile era a Milano al comando partigiano del nord Italia.
    "Telefonarono da Musso, un paese del lago di Como - mi raccontò Solari - e ci dissero che avevano catturato Mussolini. Luigi Longo uscì nel corridoio per trovare qualcuno da mandare sul posto. Tornò e mi disse: ho trovato solo Audisio". Non era proprio così: aveva trovato anche Lampredi uomo di partito e mandò anche lui con l’ordine di fucilarlo sul posto. "A me - disse Solari - ha detto: gli ho ordinato di portarlo a Milano". Lampredi e Audisio lo fucilarono, noi lo sapemmo a cose fatte e approvammo pienamente.

    Ma la fucilazione di Mussolini e dei gerarchi a Dongo è politicamente assimilabile alla impiccagione di Saddam Hussein solo nelle linee generali. La fine di una tirannia non poteva allora essere che una giustizia sommaria del vincitore. Sotto questo aspetto quella di Mussolini è stato un fatto inevitabile, la scomparsa di un uomo perché la storia continui, un epilogo violento e drammatico perché da una tirannia possa nascere un paese libero. Ciò che persuade di meno della esecuzione del tiranno Saddam è che il tiranno era già caduto e vinto: nessuno, neppure i seguaci e consiglieri di Bush, può seriamente pensare che la democrazia sia esportabile con le armi e che i sudditi di Saddam, o almeno una importante minoranza, siano davvero convinti delle colpe del loro leader tanto è vero che a cadavere ancora caldo i sunniti lo piangono e si ripromettono di vendicarlo. Sicché la esecuzione barbara di Saddam più che l’inizio di una liberazione ha l’aria della convulsione di un terrore perdurante, di una ferocia che si ripete. E in questo senso si può considerarla un errore.

    La condanna di Saddam è la condanna di un satrapo ma ha anche degli aspetti ignobili, inaccettabili. Il dittatore oggi ucciso ha goduto a lungo di una larga complicità internazionale proprio mentre commetteva quei reati per i quali ora è stato giustiziato. Complicità maldestramente rinnegate come quelle del presidente Bush che dormiva e di suo padre che giocava a golf perché oggi quel satrapo non serve più negli affari sporchi dei paesi del petrolio. Hanno un bell’affannarsi i grandi cinici di casa a ricordarci che così vanno le cose di questo mondo e che non saranno le anime belle a cambiarle ma l’errore della esecuzione di Saddam resta, come segno che i potenti della terra anche in questo orrendo episodio hanno scelto il gioco degli sporchi interessi, delle vendette senza fine, hanno confermato la umana vocazione al gioco sporco, al gioco furbo, al vinca il peggiore.

    L’errore della esecuzione di Saddam con quella terribile esposizione di cappi, botole, boia mascherati, insulti sono stati un errore profondissimo, di quelli che fanno disperare degli uomini e del loro destino.

    (3 gennaio 2007)

    http://www.repubblica.it/2006/12/sezioni/esteri/iraq-105/giustiziadiversa/giustiziadiversa.html

  • Col cappio continua la guerra

    (di GIOVANNI DE LUNA)

    Le immagini dell’esecuzione di Saddam sono l’esecuzione di Saddam. Di questa realtà erano consapevoli le autorità irachene che avevano un loro operatore ufficiale per riprendere la scena e lo sono ora i milioni di spettatori che sulla rete inseguono gli ultimi istanti del dittatore immortalate dai telefonini dei boia. Basterebbe solo questo riferimento al contesto tecnologico dell’esecuzione per collocarla nella nostra più stretta contemporaneità, rendendo incongrui tutti i riferimenti al passato, sia a quello di Mussolini maldestramente evocato da al Maliki, sia in generale ai molti esempi di tirannicidio che si rincorrono nei secoli della nostra storia.

    Diciamolo subito: ghigliottinare Luigi XVI in una piazza di Parigi gremita di folla aveva un immediato significato politico. Il vecchio potere era morto; dalle sue ceneri ne nasceva un altro, pienamente legittimo, che manifestava pubblicamente questa sua legittimità rivoluzionaria attraverso l’atto sacrificale della messa a morte del vecchio sovrano. Per Mussolini non è stato così. Piazzale Loreto si colloca in quella terra di nessuno che si spalanca quando il vecchio potere statuale si è dissolto e il nuovo non si è ancora insediato. È la fase dell’«interregno»: si spezza il monopolio statuale della violenza legale, i cittadini si riappropriano del diritto di uccidere e farsi uccidere che avevano delegato allo Stato nel «patto» su cui si è fondata la politica dello Stato moderno, per un attimo provano l’ebbrezza di godere pienamente di uno degli attributi fondamentali della sovranità statuale, quello di decidere della vita e della morte degli altri. Fu questa la situazione di Milano nei giorni successivi al 25 aprile.

    A maggio tutto era finito e il nuovo ordine repubblicano era pronto a legittimarsi pienamente attraverso un percorso che avrebbe avuto la sua sanzione legale nel referendum del 2 giugno 1946.

    In Iraq oggi non c’è nessun «interregno». Formalmente c’è un governo in carica, legittimato anche dal consenso elettorale che si presume, quindi, in grado di dispiegare la sua sovranità senza remore, imprimendone il sigillo anche alla messa in scena «rituale» dell’esecuzione di Saddam, quella codificata dalla tradizione: un patibolo da ascendere, un boia impassibile che adempie una funzione istituzionale, il pubblico, la benda sugli occhi, ecc... Non è andata così. Saddam è stato giustiziato in una stanza dei servizi segreti prima usata per le torture; il boia erano tanti boia, mascherati, attenti a camuffarsi per non farsi riconoscere, un’accolita di invasati che urlava insulti. In quelle immagini non c’è un potere statuale legittimo e sovrano che celebra se stesso ma una banda che mette a morte il capo della fazione rivale. È la guerra civile irachena che è andata in scena ed è una guerra civile che ci restituisce la realtà totalmente postnovecentesca di quella esecuzione.

    Quello che voglio dire è che il confronto non è tanto con i tirannicidi del passato, ma con le altre immagini che ci sono piovute addosso dall’Iraq, con le altre esecuzioni diffuse in Internet che hanno mostrato il loro orrore in diretta alla sterminata platea di un’umanità massificata dalla tecnologia, unificata dalle reti informatiche. Il loro contesto è quello della più dispiegata modernità, appartengono a un genere nuovo, inaugurato dopo l’11 settembre 2001 dalla decapitazione del giornalista Daniel Pearl, in Pakistan, filmata nel febbraio 2002. Non è più il campo di battaglia o il patibolo il «luogo» dello scempio, ma un set televisivo o una rappresentazione fotografica. Quei corpi non sono più condannati a morte, ma sono messaggi. E quei messaggi incorporano riti e simboli, segnalano che nel passaggio del millennio è affiorata di nuovo una concezione salvifica della violenza. Si dispiega una radicale volontà di impiegarla come strumento di rigenerazione spirituale del mondo sminuendo le vite dei singoli, fino ad annullarle in un progetto che prevede non solo l’eliminazione fisica delle persone che rappresentano il Nemico, ma anche la pubblica, clamorosa profanazione dei loro cadaveri.

    I nuovi rituali annunciano in primo luogo «la necessità dello spettacolo, o in generale della rappresentazione» poiché, in particolare nel caso di messe in scena dell’estremo, ha scritto il grande esperto di «sacrifici», Georges Bataille, «senza la loro ripetizione potremmo, faccia a faccia con la morte, rimanere estranei, ignoranti».

    Per dare forza ed efficacia ai loro messaggi, i carnefici degli ostaggi in Iraq hanno trasformato quei set improvvisati in terrificanti are sacrificali, con un rituale maniacalmente ripetitivo: le tute arancioni delle vittime (macabro contrappasso di Guantanamo), i cappucci neri dei boia, le didascalie, lo sgozzamento, e, alla fine, l’esibizione delle teste mozzate; con il cappio ostentato al centro della scena, il corpo di Saddam messo in mostra, le preghiere e le imprecazioni e un’applicazione feroce della «legge del taglione», il governo iracheno ne ha replicato sia i comportamenti che i messaggi.

    (4 gennaio 2007)

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=2162&ID_sezione=&sezione=

  • è difficile se non impossibile fare un paragone fra la fuciliazione di Mussolini e l’impiccagione di Saddam ; diverso il momento storico , diverse le circostanze . La fucilazione del duce è l’epilogo di una dittatura ventennale che aveva distrutto un sistema democratico , e veniva alla fine di una guerra mondiale devastante per barbarie e numero di morti . Mussolini era stato l’alleato di un regime , quello nazista , di abissale crudeltà e ha pagato pesantemente le colpe di quella alleanza. Ovviamente tutto ciò non è paragonabile alla violenza di un satrapo orientale in un’area geografica dove la violenza e la mancanza dele cosiddette libertà formali è la norma , e la guerra mondiale non è neppure avvicinabile alla guerra coloniale portata avanti dagli americani in Irak. In merito alla legittimità della fucilazione di Mussolini , i cui contorni sono, per definizione degli storici più seri, sufficientemente chiari, è indubbio che fu un atto di giustizia di guerra, giustizia assolutamente particolare ma ampiamente accettata nel contesto storico in cui tali fatti sono avvenuti ; la guerra mondiale aveva portato con sè uno strascico tale di violenza e di barbarie che l’uccisione di Mussolini, della Petacci , dei gerarchi , l’impiccagione dei corpi in piazza ed anche gli atti di violenza nelle settimane successive non sollevavano nella grande generalità dei casi, all’osservatore di allora , alcun dubbio sulla legittimtà di tali comportamenti . Cosa fu la guerra e l’occupazione nazifascista e quali effetti ebbe sulle persone è da valutare con il senno di allora , non secondo i parametri di oggi ; diversa è la vicenda irakena , che non può non essere considerata sulla base del pensiero attuale , onde le colpe di Saddam, che invero nessuno di noi rimpiange , vanno lette diversamente : la figura di Saddam va considerata come quella di un normale dittatore orientale, foraggiato ed aiutato dall’Occidente fino a che ha operato d’accordo con esso , e scaricato subito dopo; la guerra degli yankee non è la guerra di liberazione dal mostro nazista , o di restaurazione ella democrazia, ma una pura ed ipocrita guerra coloniale . Ed in questo contesto generale l’impiccagione di Saddam non appare come un atto di giustizia.
    Buster Brown