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Violenza non violenza

Publie le domenica 18 gennaio 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Attentati-Terrorismo Lidia Menapace

Ma il terrorismo isola chi lo fa
e rende le masse spettatrici
Sulle pratiche terroristiche non esprimo un giudizio etico: delle sue
azioni ciascuno/a risponde alla sua coscienza e - se non se ne sottrae -
alla legge positiva. Non esprimo nemmeno un giudizio assoluto. Si tratta di
un fenomeno storico e per tale lo valuto. Se fu praticato dai Tartari mi
interessa poco, dato che non fluisce più nella storia di oggi, praticato
dai Narodnikj, i populisti russi, tra i quali vi era Leo Jogiches e la
stessa Rosa, che se ne distaccarono (ma vi passarono, sia detto per
scandalo delle anime belle). Mi interessa invece, perchè riguarda una
persona della quale voglio rinnovare la memoria, non museale, ma attiva e
viva.

Politicamente sul fenomeno terrorrismo nelle sue varianti storiche e
geopolitiche dò un giudizio negativo: non tanto per la ferocia persino
autodistruttiva o perchè ci vanno di mezzo innocenti (anche: ma questo è un
giudizio generico che riguarda troppe cose per essere un fondamento saldo)
ma perchè il suo scopo dichiarato o comunque il suo effetto non eludibile è
che allontana le masse, le passivizza, le colloca in un limbo di inattività
a fare da spettatrici. E per questo a me oggi pare sempre un fenomeno di
destra per quanto rivoluzionaria possa essere la soggettività di chi lo
pratica.

Chiamo dunque terrorismo una azione molto violenta contro persone agita
individualmente o in un piccolo gruppo con una esposizione personale
"eroica", che a me non piace mai: resto con Bert Brecht: "Beato il popolo
che non ha bisogno di eroi".

Non è invece terrorismo la resistenza anche armata o la guerriglia, che ha
una organizzazione e ha bisogno dell’appoggio popolare come del pane.
Ricordiamo il motto di Ho Chi Minh che il partigiano è come un pesce
nell’acqua e l’acqua è appunto il favore popolare che deve assolutamente
conquistare e mantenere. La resistenza anche armata è legittima dal punto
di vista del diritto internazionale per qualsiasi popolo occupato e da lì
non mi muovo: il popolo iraqeno invaso e occupato ha il diritto di lottare
contro gli occupanti e delle morti che ne seguono rispondono quelli che
hanno mandato soldati ad occupare, vergognosamente: oggi i carabinieri
uccisi a Nassiriya servono per consentire a imprese italiane di lucrare
sulla "ricostruzione" dell’Iraq. Davvero assassini, come dissi a Parigi
dando la notizia durante il Forum delle Donne. Non sollevo dunque nessun
rilievo critico sulla legittimità della guerriglia o della resistenza
armata iraqena: se interpellata tuttavia non giudicherei allo stesso modo
qualsiasi gruppo resistenziale: a me che vincano i sunniti o gli sciiti,
come in Egitto magari i fondamentalisti islamici, come in Iran vinsero gli
Imam, davvero non piace: so bene che qualsiasi dittatura è esecrabile, ma
comunque le dittature religiose sono -almeno per le donne - peggio ancora
di quelle laiche: per dirlo con esempi chiari, le donne Afgane stavano
meglio con Najibullah che con i Talebani o con il governo di destra di
oggi; le donne pakistane poco giovamento hanno dal fatto che il loro
governo appoggi e sia appoggiato dalla "democrazia occidentale". In Iraq
certo le donne avevano più agibilità con Saddam di quanta ne avrebbero in
una democrazia teocratica. Sarebbe come aver accettato durante la
Resistenza che il fascismo cadesse per far posto allo stato pontificio o
alla monarchia rafforzata e per restaurare lo Statuto albertino invece di
fare la Costituzione.

Interpellata, in più direi come scelta e indicazione personale che
preferisco boicottaggi e sabotaggi, pozzi incendiati e binari fatti saltare
che attentati a persone, mine sulle strade ecc.. E qui voglio ricordare che
l’azione nonviolenta non è affatto necessariamente legale o remissiva e
comprende appunto sabotaggi boicottaggi attentati a cose.

A me sembra che sia un atteggiamento conservatore quello di chi si appella
al passato prossimo non per dare uno spessore storico al suo cammino in
avanti, ma per avere un esempio rassicurante e agire una sorta di coazione
a ripetere. Conviene anche ricordare che le pur gloriose e legittime
guerriglie e lotte armate di resistenza alle invasioni (Vietnam) o alla
tirannia interna (Nigaragua, Cuba) hanno prodotto o regimi autoritari e
inamovibili o addirittura l’andata al potere di governi di destra. Conviene
fare uno sforzo di creatività e trovare nuove strade: una scelta di azione
collettiva nonviolenta del tutto interna alla storia del movimento operaio
e sindacale e a quello delle donne a me pare interessante.

Un atteggiamento di questo tipo starebbe bene immesso nelle lotte degli
autoferrotranvieri: piuttosto che una ripetizione un po’ fuori tempo
massimo dei CUB e delle lotte operaie dell’autunno caldo. Si può altrimenti
diventare persino subalterni: se i ferrotranvieri non vedono la differenza
tra mercato e servizi e non si danno da fare per un pieno coinvolgimento
dell’utenza non solo a sostegno passivo della loro lotta, ma con propria
presenza (come ad esempio invece fanno i Cobas contro la riforma Moratti,
insieme a genitori e associazioni) rischiano l’isolamento e la
ripetitività, e sembrano lasciar credere che anche per loro i servizi sono
un pezzo del mercato.

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