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Dopo la “scomparsa”dei comunisti congresso per riaprire un orizzonte

Publie le giovedì 12 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Dopo la “scomparsa”dei comunisti congresso per riaprire un orizzonte
di liberazione oltre l’ideologia statica

di Enrico Lobina

Rinviato per mesi, gli iscritti del PRC nei prossimi giorni discuteranno sulle ragioni della più grande sconfitta dei comunisti nella storia dell’Italia repubblicana e decideranno con quale teoria e pratica rimettere in moto la rifondazione del comunismo.

La marginalità dei comunisti in tanta parte d’Europa ed il risultato del 13-14 aprile non è un accidente della storia. Ne vanno analizzate le ragioni. Stupisce perciò come una parte del gruppo dirigente non metta in discussione la tattica e la strategia praticate in questi anni. Tattica e strategia proposte e attuate da Bertinotti, e condivise da molti ma non da tutti. Qualcuno, tra cui Essere comunisti, la pensava diversamente e l’ha apertamente dichiarato, ma questo non ha impedito che continuasse a considerare il PRC una comunità politica da non dismettere.

Il fallimento è stato totale. Io credo che questo sia il tema del congresso. Il risultato elettorale è la certificazione di un’agonia che avevamo cercato di curare con la conferenza di Carrara, ma evidentemente i nodi sono talmente profondi, ed in fondo tutti politici, che devono essere affrontati da un Congresso, primo passo di un ben più lungo cammino.

Son state presentate cinque mozioni. Farò alcune riflessioni sulle opzioni che hanno ottenuto il maggiore consenso, e mi scuso con gli estensori degli altri documenti, coi quali pure avverto il bisogno di confrontarmi.

Qual è la proposta della prima mozione? Riaffermare a chiare lettere la centralità del comunismo nel nostro orizzonte strategico, e quindi la centralità del PRC. Il comunismo non è un’ideologia ferma e statica, non è una religione, ma un orizzonte di liberazione collettivo, il quale parte da un’analisi della società che usufruisce del metodo e degli strumenti indicati da Marx e dal marxismo. Ripartire dal PRC e dal conflitto capitale-lavoro non per allontanare la collaborazione a sinistra, o per dimenticare il conflitto natura-produzione o lo scontro di genere, ma appunto per dare forza e organicità a questi.

Qual è la proposta della seconda mozione? In coerenza con le disastrose dichiarazioni di Bertinotti, la costituente della sinistra è la soluzione della crisi. Al congresso di Venezia si commise qualche errore, ma non tanti tutto sommato, e la linea tracciata dall’ex segretario del PRC è comunque quella giusta. Avanti, quindi, con la costituente della sinistra. Questa mi pare la posizione del primo documento. Letto con un minimo di cognizione storica di questi ultimi anni, costituente della sinistra significa scioglimento del PRC. E scivolamento, dati i compagni di strada con i quali si vuole camminare, verso posizioni irricevibili, che un comunista non può accettare. Come possono organicamente agire in un soggetto unico chi è a favore del Trattato di Lisbona e chi è contrario? Chi è a favore della concertazione sindacale e chi è contrario? Chi era a favore del protocollo sullo stato sociale e chi era contrario?

Partire dal conflitto capitale-lavoro non significa scadere nell’operaismo. Significa partire da un punto di vista ben preciso, di chi crede che i proletari nel mondo siano oggi molti più che 30 anni fa, di chi crede che i precari siano proletari, di chi crede che mentre migliorano a dismisura le capacità produttive italiane e mondiali (tante fabbriche italiane producono meno di quanto potrebbero) peggiorano i rapporti di produzione. Si pensi alla crisi alimentare mondiale, che scoppia per ragioni finanziarie proprio quando la produttività agricola potrebbe sfamare più dell’intera popolazione mondiale.

Ripartire dai lavoratori significa avere una visione generale, che faccia un bagno d’umiltà e sia disposta ad affrontare argomenti dimenticati. Si parla tanto di diritti e di sicurezza. Ma non dovremmo dire che gli anziani delle nostre peggiori periferie hanno il diritto di poter uscire di casa, a qualunque ora della notte e del giorno, senza alcuna paura di essere aggrediti?

Un intellettuale collettivo contro il capo carismatico. Un’analisi di classe della società contro le dichiarazioni estemporanee che valgono il tempo di un lancio a mezzo stampa. L’egemonia, lavoro lento e lungo, contro l’evento mediatico. O magari l’egemonia e, dopo, l’evento mediatico. Un partito di militanti, iscritti e di quadri contro un partito di immagine. Un partito che sia un paese nel paese contro un partito massimalista e parolaio. Così, credo, troveremo la via d’uscita.

Ultimo desiderio: un partito aperto. Un partito dove ognuno possa andare in federazione senza essere trattato in maniera diversa a seconda della mozione che ha votato, e possa trovare un ambiente accogliente e collaborativo. Sarebbe ridicolo, in un periodo in cui elettoralmente ci avviciniamo più a percentuali da prefisso telefonico che a quel 15% che solo 12 mesi fa i dirigenti bertinottiani prefiguravano per la sinistra unita, continuare a pensare un partito balcanizzato. La prima mozione, anche su questo, è chiara: gestione unitaria qualunque cosa succeda.