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Paolo Ferrero: "Mai più al governo finché non si modificano i rapporti di forza nella società"

Publie le venerdì 13 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Ferrero: "Mai più al governo finché non si modificano i rapporti di forza nella società"

Incontro-seminario alla Casa del Popolo per «costruire il partito sociale»
di Romina Velchi - Liberazione del 13-06-2008

Segnali di vita. E non solo perché nei locali della casa del popolo di Torpignattara (periferia romana) l’aria è impregnata di aromi e odori di spezie (di là, due ragazze del Bangladesh stanno preparando un pranzo etnico), ma perché nella sede di quella che un tempo era la “sezione Marranella del P.C.I.” si discute di cosa fare per «tornare tra la gente», cioè di come costruire il “partito sociale”, mettendo a confronto alcune esperienze concrete, appunto vive e vegete, come il “partito del pomodoro” olandese (che offre a Ivan della Mea lo spunto per una poesia nella quale augura «lunga vita al pomodoro in generale, al pomodoro rosso in particolare»); come l’esperienza del Venezuela; come il bilancio sociale territoriale di Lodi. Che poi è un modo per trovare una strada per uscire dalla crisi, oltre che per analizzare le ragioni della sconfitta. Un incontro promosso da “Associa! per il socialismo del XXI secolo” (tradotto: mozione Ferrero-Grassi-Mantovani del congresso di Rifondazione) che si è svolto in contemporanea a quello di Fausto Bertinotti al Centro Frentani; anche se, giura Francesco Piobbichi, che ne ha curato l’organizzazione, il seminario era stato pensato mesi fa.

Voluta o no, la contrapposizione però c’è, inutile negarlo (non per nulla in sala ci sono molti esponenti dell’”area”, da Stefania Brai a Fabio Amato, da Loredana Fraleone a Giovanni Russo Spena, da Dino Greco a Lidia Menapace). Specie quando Paolo Ferrero, intervenuto prima di trasferirsi in Sicilia, invita a prendere atto «dell’errore di linea politica», quando si è pensato di andare al governo per operare quei cambiamenti che non si era riusciti a fare nella società: era una «delega all’autonomia della politica», laddove invece, secondo Ferrero, «stare al governo non vuol dire di per sé pesare di più. Il Pci dall’opposizione pesava molte volte di più di quanto non abbiamo pesato noi stando nel governo di Prodi» è la sentenza senza appello. Di più: è impensabile ritornare in un governo «finché non si modificano considerevolmente i rapporti di forza nella società».

Già, più facile a dirsi che a farsi. Anche se Ferrero tenta la carta dell’ottimismo (della volontà?): «Non è la traversata del deserto, perché questo implica una terra promessa. Piuttosto siamo dentro una giungla: possiamo finire nelle sabbie mobili oppure uscirne». E nelle giungle «non si fa guerra di posizione, di trincea, ma di movimento» proprio perché non è un deserto e di materiale ce n’è. Occore perciò fare un «salto in basso» nella società e un «salto in alto» per recuperare i riferimenti simbolici («Bisogna essere comunisti e intelligenti», chiosa). Insomma: la sinistra la si ricostruisce «a partire da una reimmersione nella società». Come fece la Chiesa, azzarda l’ex ministro, all’indomani delle sconfitte dei referendum su aborto e divorzio: non ripartì da Ruini, ma dagli oratori.

Oppure si può guardare all’esperienza del partito socialista olandese, altrimenti noto come partito del pomodoro, una realtà politica che è riuscita «non solo a resistere ma a crescere, svuotando dal di dentro la sinistra moderata», spiega Luca Tomassini, ricercatore che ha approfondito l’argomento, in un contesto politico «molto simile a quello italiano», fatto di ondate di destra e instabilità istituzionale. Una “fortuna” (oggi è il terzo partito del paese) costruita a partire dalle iniziative territoriali, nei piccoli centri e nelle piccole città dell’Olanda: con le occupazioni di case; con la realizzazione di centri di ascolto e della salute (in Olanda non c’è un sistema sanitario pubblico come il nostro); con le mense popolari; con iniziative di sostegno materiale ai lavoratori in sciopero contro la privatizzazione dei servizi pubblici. E con un motto: «Non si parla senza inchiesta»; e infatti il manuale, che “spiega” come si fa e che cos’è la politica, è scritto con un’attenzione maniacale al livello reale di istruzione delle persone cui è rivolto. Un successo che ha avuto il suo exploit in occasione del referendum, vinto, contro la costituzione europea, ma che viene da oltre vent’anni di lavoro nell’ombra, spesso ostracizzato e disprezzato.

Magari non è tutto oro quel che luccica e Jorge Giordani, già ministro venezuelano, venuto a portare la sua testimonianza latinoamericana, non può fare a meno di notare che nel Sudamerica è in atto un «processo di crescita della partecipazione politica, mentre in Europa il processo è al rovescio». In ogni caso, di esempi ce ne abbiamo pure in casa nostra. Senza proporre altre formule «che dopo qualche mese vengono abbandonate, come è successo spesso nel Prc», invita l’antropologa Anna Maria Rivera, ecco l’esperienza del bilancio territoriale sociale di Lodi; delle campagne per il diritto all’abitare; dei movimenti per gli immigrati come quello dell’ex canapificio di Caserta; dell’attività del centro sociale “El Che” di Tor Bellamonaca (altra periferia romana), che organizza dai tornei di calcio ai corsi di ceramica per i bambini; che mette a disposizione una sala per feste e comunioni e una sala per incisioni musicali; che chiama i “graffitari” a dipingere le facciate delle scuole e si batte per la viabilità, per la difesa degli spazi verdi: insomma vive e lavora nel quartiere e collabora pure con la parrocchia…

Segnali di vita, appunto. Esperienze concrete di mutualismo, in cui oltre «ad insegnare a pescare si porta il pesce», sennò, avverte Andrea Morniroli (Cantieri sociali) le persone «non ci seguono sul terreno dell’emancipazione». Esperienze che aiutano ad evitare «paternalismo ed eurocentrismo», due «peccati» di cui, secondo Rivera, qualche volta si è macchiato il Prc, mentre quello che serve è una «postura relativista» per imparare a «conoscerci reciprocamente» (in riferimento al dilagare del razzismo). Esempi pratici a livello nazionale «di come si può costruire un partito sociale - spiega Giovanni Russo Spena - che non è banale movimentismo, bensì costruisce luoghi sociali. Di fronte ad una destra come quella di Alemanno, Tremonti o della Lega, una sinistra istituzionalizzata è destinata a perdere, come infatti è successo alla Sinistra arcobaleno».

Senza dimenticare un terreno fondamentale, anzi cruciale: quello del lavoro. «Se il lavoro cessa di essere il fondamento della Repubblica, come recita l’articolo 1 della Costituzione, il paese resta democratico o la democrazia subisce una torsione radicale che investe tutti i livelli?» domanda Dino Greco (direzione nazionale Cgil) dando per scontata la risposta. Allora serve «un’altra idea e pratica della democrazia sindacale, un’altra idea e pratica della contrattazione, un’altra forma di sindacato». Insomma «un’altra Cgil possibile». Ma «va fatto subito», perché il rischio che il sindacato corre è quello di finire come la sinistra.