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La sconfitta delle “due sinistre”

Publie le sabato 14 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

La sconfitta delle “due sinistre”

di Alessandro Cardulli

su redazione del 13/06/2008

”Fosse solo elettorale la sconfitta potrebbe essere meglio sopportata, attrezzandoci per la rivincita. Nella storia delle sinistre, non solo in Italia, ci sono successi e sconfitte, batoste anche.

Il riferimento al 18 aprile del 1948, ricordato anche in uno dei più noti canti popolari, basta e avanza. Insieme alla sconfitta elettorale, non solo nostra ma anche del Partito democratico, come riconoscono persino alcuni dei suoi leader, c’è anche una sconfitta politica. In effetti si può perdere anche in presenza di una linea politica giusta o ritenuta tale, come è accaduto più volte al Pci. Qui invece le due sconfitte coincidono e, per quanto ci riguarda, rimettono in discussione il nostro modo dell’agire, del proporre, del lottare, la nostra ragione sociale, la nostra utilità, la proposta e il progetto di società che vogliamo costruire e proporre. Se davvero il problema fosse quello che Vendola ripete ormai in ogni intervista, “uscire dal recinto identitario” per aprirsi a movimenti e associazioni, basterebbe un po’ di buona volontà .

Ci sono molte compagne/i che intervenendo nel dibattito dei Circoli, pongono un problema molto serio: il congresso così com’è organizzato non è in grado di affrontare la massa di problemi che ci stanno di fronte. Anche se non dipende da noi l’osservazione è valida e abbisogna di una risposta convincente che richiami la partecipazione ad una elaborazione politica e programmatica innovativa, con una capacità critica e autocritica tutta da riscoprire. E’ certo che il congresso non basta. Può essere solo un punto di partenza di una ricerca strategica e tattica che abbia come oggetto, in primo luogo, il partito in sé, il suo ridefinirsi nello scenario italiano ed internazionale. Per affrontare il mare aperto costituito da una sinistra divisa, frammentata, da movimenti e associazioni giustamente gelosi del proprio ruolo e della propria autonomia, ci vuole una barca solida, che regge l’urto, che si fa motore di processi unitari che, proprio perché innova sé stessa, diventa uno dei soggetti di più larghe alleanze.

Mettere in campo tante fragili barchette, in una “ affascinante avventura”, come conclude la mozione di cui Vendola è primo firmatario, può portare ad un naufragio clamoroso. Se così è, perlomeno lo crediamo, occorre ripartire dall’abc, dalla revisione di una scelta tattica e strategica che il nostro Partito ha compiuto, ancor prima del Congresso di Venezia. O forse proprio il Congresso di Venezia è l’assise che mette il sigillo. Parlo della scelta delle “ due sinistre” che si legittimavano a vicenda: la prima, una sinistra moderata che guardava al centro rappresentata dai Ds, l’altra, la nostra, segnata da radicalità e dalla “purezza” delle scelte politiche.

Quando Veltroni, nato il Pd e provocata la crisi di governo, ha stabilito che il suo partito non aveva bisogno di alleanze e sarebbe andato da solo,da parte nostra, o perlomeno dalla parte che poi è confluita nella mozione due, non si è avvertita più di tanto la pericolosità di tale scelta. Si è pensato che, finalmente, le “due sinistre” avevano campo libero. Il Pd poteva raccogliere nel campo dei moderati, di un centro sempre più spostato a destra e sempre meno riformista e noi la Sinistra, unendo, comunque, le forze sparse e dando vita a “La Sinistra –l’Arcobaleno”, avremmo avuto campo libero nel terreno abbandonato dal veltronismo, richiamando movimenti, associazioni e, genericamente, forze della società civile.

Un errore strategico e tattico clamoroso: è finita che il Pd non ha mietuto nel campo dei centristi, ma ha invaso il nostro e noi abbiamo perso il contatto con i riferimenti storici del mondo operaio e del lavoro. Insomma le “ due sinistre” si sono rivelate una scelta del tutto sbagliata. Allora dobbiamo ripartire dal fatto che la sinistra è una sola, come il movimento operaio, che ha bisogno di forze strutturate e organizzate. Che Rifondazione comunista è una di queste, che si apre un percorso di lunga lena, in cui c’è in gioco, in primo luogo, l’egemonia culturale in senso gramsciano.

Rifondare un soggetto che non cancella la parola comunista si può fare. Ne ha bisogno il paese, ne hanno bisogno i lavoratori. Per questo è necessario vincere il congresso.