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Giovani Comuniste/i: un punto fermo, sempre in costante ricerca

Publie le venerdì 20 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Giovani Comuniste/i: un punto fermo, sempre in costante ricerca

Proposta di ordine del giorno

Il nostro congresso ha davanti a sé un obiettivo: definire una linea che permetta al nostro partito di rilanciare il proprio profilo strategico e la propria autonomia politica, mettendo entrambi al servizio di un processo di ricostruzione dal basso della sinistra d’alternativa.

Riteniamo che anche le/i Giovani Comuniste/i, in quanto parte integrante del partito e comunità politica non estranea alle sorti della sinistra italiana (e alle condizioni materiali di quella parte del Paese che potrebbe subire conseguenze devastanti dalla definitiva messa in crisi delle forze progressiste), debbano essere protagonisti di questo progetto.

Un grande progetto di «riconnessione sentimentale» con il nostro popolo, con i bisogni e i sentimenti delle classi subalterne e in particolare di quella generazione direttamente colpita - a livello materiale e culturale - dalla piaga della precarietà lavorativa ed esistenziale.

Per essere all’altezza di questa sfida abbiamo bisogno di un’organizzazione che, nella pratica di una reale autonomia nei confronti del partito, trovi la forza e la capacità di rimettersi in piedi, superando una tendenza imbarazzante all’indebolimento territoriale e della militanza; una inefficacia dell’azione politica sempre più cronica; una distanza ormai profondissima tra i coordinamenti locali e l’esecutivo nazionale; una frequente difficoltà di relazione persino nei confronti di quei movimenti e soggetti del conflitto sui quali avevamo investito tanta parte della nostra proposta politica.

Non descriviamo questa realtà per addossare ad altri responsabilità. Siamo tutti corresponsabili di una condizione che però, oggi, va indagata per come oggettivamente si presenta. E per la cui soluzione ciascuno di noi ha il dovere di proporre suggerimenti e indicazioni.
Noi individuiamo tre priorità.

La prima è investire speditamente sulla migliore innovazione (che è ben altro dal nuovismo dilagante), nelle pratiche e nella cultura politica, che, come Gc, abbiamo saputo produrre in questi anni, rendendola parte imprescindibile del patrimonio collettivo del partito. Pensiamo alla scelta di vivere dall’interno la stagione dei movimenti; all’affermazione della centralità decisiva del pensiero della differenza e dell’autodeterminazione; all’impegno ad un dialogo paritario nei confronti dei «focolai di resistenza» esterni all’organizzazione e disseminati nel Paese. Una innovazione che riteniamo sia feconda nella misura in cui rimane intrecciata al rilancio della nostra soggettività di comuniste e comunisti del XXI secolo.

La seconda è rigettare l’idea secondo cui un contesto produttivo in rapida trasformazione e un’idea della politica sempre più ridotta a marketing e immagine inducano meccanicamente la necessità di liberarsi delle forme consolidate della politica e dunque anche della nostra organizzazione giovanile. In quest’ottica leggiamo, con preoccupazione, la proposta di dare vita ad una nuova soggettività politica che superi, nella forma dello spazio pubblico della «costituente della sinistra», l’esperienza delle/i Giovani Comuniste/i. Noi lo diciamo senza ambiguità o reticenze: contrastiamo tale ipotesi e ci impegniamo ad investire sul rilancio dei Gc e sul loro radicamento territoriale, in ogni paese, in ogni città, in ogni periferia e in ogni luogo del conflitto sociale, dando così un senso reale ed efficace all’idea di «spazio pubblico» che da sola dice ben poco.

La terza, infine, riguarda le forme e le regole della nostra comunità.

Ambire a rilanciare l’organizzazione giovanile significa puntare a ricostruire il senso di un’appartenenza unitaria. Ciò può avvenire se, finalmente, si dà corpo a forme di partecipazione e di iniziativa che rimettano al centro realmente la democrazia e l’orizzontalità. Negli ultimi mesi ciò è drammaticamente mancato, come dimostra la scelta di investire sul «Network giovani» e di imporlo ovunque senza considerare le specificità di ogni singola realtà locale, senza aver mai convocato, per discuterne, l’organismo dirigente nazionale o, con sistematicità, gli stessi territori.

In questo senso riteniamo essenziale (e per nulla liturgica) la cura della nostra formazione e auto-formazione e, al contempo, il tentativo di dare alla nostra militanza il valore di un’esperienza sociale incisiva, percepita all’interno del territorio come utile alla coesione e alla solidarietà, argine alla frammentazione sociale.

Possiamo rimediare ai nostri errori, dimostrando che saperli riconoscere è segno di intelligenza politica e di onestà intellettuale, oltre che la premessa necessaria per ricominciare.

Dobbiamo ripartire dalle/i Gc, un punto fermo, anche se in costante ricerca. Ripartire da ciò che ha permesso ad ognuno di noi di non sentirsi ospite né nel partito né nei movimenti. Ripartire da noi stessi e dalla società, dai suoi bisogni e della sue richieste, dal dialogo -come abbiamo fatto in questi anni, da Genova a Firenze, dalla Val di Susa a Vicenza - con tutti i soggetti della resistenza: i collettivi, le reti contro la guerra, l’auto-organizzazione di studenti, donne, lavoratori, migranti. Con questo spirito ci impegniamo a lanciare, per il prossimo autunno, tre grandi campagne di massa:

 una contro la precarietà del e sul lavoro, ponendo l’obiettivo dell’abrogazione della legge 30;
 una per scuole e università di massa (e non massificate) pubbliche e gratuite;
 una contro il razzismo di massa e la ignobile strumentalizzazione del tema della sicurezza.

Ce lo chiede innanzitutto un’epoca di offensiva capitalistica e una fase politica, quella che si è aperta con la sconfitta elettorale di aprile e l’avvio su vasta scala di rigurgiti xenofobi e fascisti, terrificanti. Ce lo chiede il nostro «popolo».

Ma, come abbiamo sempre detto, «il nostro tempo è qui e comincia adesso». Per questo vogliamo raccogliere e vincere la sfida.