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PRC: Considerazioni sull’andamento del congresso

Publie le martedì 24 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Considerazioni sull’andamento del congresso

di Paolo Cacciari

I binari su cui si sta svolgendo il dibattito congressuale nei circoli sono pressappoco così:

1.sul contenitore ci si divide tra chi vorrebbe “salvare/ricostruire” il Prc per poi, eventualmente, federarlo o confederarlo con i diversi partiti e soggetti politici antisistemici esistenti e chi invece lo vorrebbe “superare/mettere a disposizione” in un soggetto politico più largo e influente attraverso un processo costituente fusionale;

2. sui soggetti ci si divide tra chi fa riferimento ad una identità autonoma di classe, capace di darsi una coscienza politica ed esercitare egemonia sociale e chi invece pensa ad una sinistra diffusa aggregata non solo per motivi/convinzioni ideologiche, ma anche per capacità di elaborazione programmatica;

3. sui contenuti politici/programmatici ci si divede tra chi chiede di segnare un confine anticapitalistico e altermondialista e chi invece pensa anche ad un riformismorigoroso, ma capace di gradualità che non escluda mediazioni e pratiche di governo;

4. sulle modalità d’azione ci si divide tra “D’Alema e Tarzan” (Andrea Alzetta), per dirla con un magistrale titolo de il manifesto, cioè tra il mantenimento di un dialogo e alleanze con il centro-sinistra e, invece, l’opposizione nei movimenti sociali.

E’ evidente che questa rappresentazione spesso caricaturale e stereotipata del dibattito interno riproduce vecchi vizi e non fa fare alcun passo avanti sulle questioni che invece meriterebbero approfondimenti e risposte quali, ad esempio:

1. quali sono le forme di organizzazione politica più idonee da mettere in campo oggi per reggere lo scontro da avviare con il nuovo regime bipartitico delle “due destre” (per usare un vecchio libro di Revelli); come superare rapidamente la separatezza del partito dal corpo sociale vivo, il suo politicismo e verticismo, il suo essere recepito come parte omologata del ceto politico?

2. quali sono i soggetti della trasformazione a cui far riferimento in un mondo globalizzato, frammentato, disgregato nei tradizionali legami sociali?

3. quali sono le idee forti potenzialmente aggreganti, il progetto generale di società autonoma, il sistema di valori di riferimento desiderabile e mobilitante, (realistico ed emozionale ad un tempo ) per cui valga la pena impegnarsi?

4. quali sono i modi, le pratiche e i luoghi dell’agire politico capaci di mettere in difficoltà il nuovo assetto di potere neoliberale (i nuovi dispositivi coercitivi)?

Se facessimo un esercizio di umiltà e realismo, evitando analisi consolatorie e/o presuntuose, e riconoscessimo che:

1. il crollo elettorale non è solo il risultato di una serie pur lunga di errori tattici facilmente superabili (la veste simbolica, il quadro delle alleanze, la collocazione nel teatrino della politica istituzionale…) ma un vero e proprio collasso di credibilità tra i corpi sociali di riferimento e la sfera dirigente dei partiti della sinistra;

2. nessuno può affermare (senza essere ricoverato per megalomania leninista) di avere pronte in tasca le ricette per rimettere in moto un movimento sociale e politico di resistenza e antagonismo all’altezza dello scontro oggi necessario con il nuovo regime fascisteggiante (democrazia dispotica, oligarchica) nato con queste elezioni;

allora ci accorgeremmo che , prima ancora di cercare di dare delle risposte (che sarebbe come giocare i numeri all’otto), servirebbe disporre un nuovo approccio metodologico, una diversa organizzazione e predisposizione mentale, procedure relazionali innovative… capaci di rimetterci in ascolto, comunicazione, connessione, simpatia… con la vita ferita, con i corpi sociali in sofferenza, con gli individui oppressi.

Rossanda ha liquidato il V° documento come “metodologico”. In realtà nel caso della crisi della sinistra, la scelta di un profilo metodologico diverso dalle tradizioni (avanguardiste, decisioniste, stataliste…) dei partiti del Movimento operaio è già sostanza. Le pratiche – diceva Castroiatis - sono già costituenti. E prima di lui Gandhi: “Le modalità di azione stanno al risultato come i semi ai frutti”. In altre parole il passaggio per una “salvezza” della sinistra non è nello stabilire “la giusta linea” (che il “nuovo” gruppo dirigente che vincerà il congresso sceglierà), ma condividere una idea fondativa di politica (una “politica buona” per una buona società) come spazio pubblico plurale, pienamente e direttamente agibile.

Un’impresa su cui sarebbe utile confrontarsi, ad esempio:

1. il partito nuovo (sociale) deve essere strumento di organizzazione diretta, capace di dedicarsi alla ricostruzione dei legami sociali veri, territorializzati, di esprimere soggettività… prima ancora che raccogliere deleghe (da chi?) e rappresentanze istituzionale (su quale mandato?). La famosa “internità” non deve essere riferita solo ai movimenti di lotta nella loro emergenza, ma alla vita degli individui nella loro quotidiana lotta di sopravvivenza/liberazione. Combattere l’dea della separazione/specializzazione dei compiti/mestieri tra sociale e politico, privato e pubblico (tutto ciò che facciamo è politico, si diceva giustamente nel ‘68) è la premessa per ogni politica di liberazione;

2. il partito deve organizzare “la politica come servizio e gratuità - dall’appello: ‘La politica che vogliamo’ - come adempimento di doveri di solidarietà e del bene comune”. Va riconosciuta nei fatti la nostra distinzione dal professionismo parastatale omologante. Il partito come “comunità intelligente ed affettuosa”. (Viene da schiattare pensando alle denuncie alla magistrature, alla guerra delle tessere…);

3. il partito deve modellarsi secondo uno schema organizzativo pluriverso, democratico nel senso di effettivamente partecipato nei processi decisionali, al riparo dai difetti della democrazia formale (dittatura della maggioranza) e della sintesi hegeliana (reductio ad unum). Il campo della ricerca deve essere quello dei sistemi complessi reticolari;

4.il partito deve trasmettere una idea della “politica oltre il potere” (Adriana Cavarero). Per noi il fine non deve essere il potere (“il dominare – diceva Danilo Dolci – è una perversione di origine psicopatologica”), ma esattamente il contrario: il suo allentamento, dispersione, fine all’annullamento. Se la crisi della politica (di quella della sinistra, per la precisione) dipende principalmente dalla liquefazione della sua dimensione etica, allora è da questo recupero che si deve ripartire. La critica attiva a tutte le forme di violenza (culturale, strutturale, diretta) deve riguardare anche gli apparati comunitari (a partire dalla famiglia), economici (a partire dall’impresa capitalistica), statali per la sua funzione disciplinatrice e conservatrice.

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