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Dal congresso del Circolo Migranti di Bologna

Publie le sabato 28 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Dal congresso del Circolo Migranti di Bologna

di Stefano Galieni

A volte si torna a casa con sentimenti contrastanti: rabbia, impotenza, disagio, frustrazione.

Mi sono trovato a far da relatore del primo documento in un congresso di circolo a me molto caro, il Circolo migranti di Bologna. Una realtà nuova, anomala in questo nostro partito, potenzialmente tanto simile a quelle “case della sinistra” frutto del meticciato intellettuale e culturale a cui in tante e tanti dovremmo guardare.

Sono fra quelli che ha assistito alle fasi concitate della nascita del Circolo e che ha avuto il privilegio di essere presente alla sua inaugurazione, ma sembra passato tanto, troppo tempo da allora.

Il Circolo ha lavorato insieme alla Federazione, è divenuto utile punto di riferimento, le tematiche che andava a toccare erano tematiche di carne e sangue, in un contesto ostile come quello cofferatiano, si occupava della vita concreta di uomini e donne a cui è negata cittadinanza sociale e politica, un luogo in cui le vertenze sociali, sfociavano in proposta politica. Non voglio lasciarmi trascinare dall’amarezza e dire che oggi tutto questo si è dissolto in nome della lotta per contendersi un voto ad una mozione, non voglio assumere il precipitare di una giornata convulsa e squallida come unico elemento valoriale, non voglio dimenticare il prima, voglio sperare nel dopo.

Ma qualcosa di grave è accaduto e coinvolge la nostra etica, la nostra – e sottolineo nostra – moralità. Alla presentazione dei documenti congressuali non eravamo in molti, c’erano ospiti esterni della federazione, 4 relatori e una ventina di compagne e compagni iscritte/i al circolo. L’atmosfera era tesa, pesavano i fatti avvenuti, il respiro nazionale assunto dalla vicenda, gli elementi di rancore che su questa si sono determinati. Un rigonfiamento spropositato, inatteso, del numero degli iscritti, le contestazioni e la sospensione della validazione delle nuove iscrizioni, ed il provvedimento di sospensione dagli incarichi direttivi per tre mesi del segretario del circolo, Armando Quattrone. Si è forse perso il senso giusto delle cose, il necessario equilibrio, le responsabilità degli uni non escludono quelle degli altri. Un dibattito surreale: se si eccettua lo sforzo di parlare di “politica” e il richiamo ad una unità di azione fatto anche dagli altri relatori – Ali Rashid, Leonardo Masella, Serena Capodicasa – le due ore e mezzo di discussione sono state cariche di provocazioni, diatribe, anche insulti.

Il clima diveniva rovente quando un compagno si autodenunciava, dichiarando di aver avuto la tessera dal proprio datore di lavoro – con cui ha aperta una vertenza – e dal segretario di circolo senza che gli venisse richiesta quota di pagamento e anzi rassicurandolo sul fatto che “non c’è niente da pagare”. Tutto veniva messo a verbale. Ogni tanto i lavori in sala venivano interrotti per urla e grida fra i sostenitori di diverse mozioni che si scontravano, quasi venendo alle mani, nei locali antistanti.

Sempre per allentare la tensione si rispettava la richiesta di 3 lavoratori, di poter votare anzitempo, il lavoro li attendeva e volevano partecipare al voto.

Ma la bagarre è letteralmente esplosa all’inizio della prima chiamata per le votazioni: la sala si è riempita all’inverosimile. È vero che forse sarebbe stato più corretto tenere l’intero congresso in un orario più congruo per chi lavora, ma – ce ne siamo accorti in molti – non era questa la sola ragione dell’improvviso sovraffollamento. Fra gli iscritti del 2007 molti ricevevano fuori i soldi per il rinnovo della tessera, dai leader delle comunità, alcuni insieme ad un bigliettino con su scritta la mozione per cui votare. Fra coloro che organizzavano concretamente il voto degli iscritti di Rifondazione, mi è stato detto che era presente un funzionario della Cgil tesserato di Sinistra Democratica!

Il segretario del circolo accompagnava di persona al voto gli iscritti, la sua presenza risultava così pressante da costringere la garante, più volte a chiederne l’allontanamento. Ma si era solo all’inizio, sui 114 aventi diritto al voto del 2007 si erano presentati solo in 38, poca cosa per tanto clamore. Enorme invece l’affluenza dei nuovi iscritti, a detta di molti facce mai viste, fuorisede italiani e cittadini migranti che venivano condotti come oggetti al voto. Brutto modo per aprire un percorso di partecipazione paritaria. C’è stato chi candidamente chiedeva ad alta voce per chi votare, chi veniva quasi guidato per mano, chi sapeva di dover solo riempire una colonna.

Una discussione fra “italiani” di differenti mozioni colta al volo:«Ma ancora pensate che ci siano i “compagni”? Quelli non ci sono più, per questo sono venuto a votare». Le operazioni di chiamata e di voto proseguivano in maniera sempre più caotica nonostante gli sforzi della garante e di alcune compagne della presidenza, fuori volavano insulti inaccettabili fra compagni, minacce pesanti. A poco o a nulla servivano i tentativi svolti oltre che dal sottoscritto dagli altri compagni relatori, in particolare da Ali Rashid, per far svolgere regolarmente il congresso. Il risultato? Per quello che conta se venissero convalidati solo i voti fra gli iscritti 2007, 9 delegati andrebbero al 2° documento e uno ciascuno al 1° e al 3°, se invece si arriverà a considerare anche gli iscritti 2008 altri 65 votanti (su 69) andranno al 2° documento che così avrebbe tutti gli 11 delegati spettanti al circolo.

Ma vale la pena fare questi conti? A mio avviso no. L’interpretazione che verrà fatta del regolamento ci consegna comunque l’ennesima sconfitta della politica (non di una mozione) della voglia di costruire un partito diverso. Ha prevalso lo scontro combattuto con ogni mezzo, lecito e illecito, ha pesato la burocrazia dei vertici e una logica militarizzante che ha contaminato quasi tutta la base del circolo, ha prevalso il peggio del nostro passato anche se si ammanta di modernità e di futuro. Ha prevalso una falsa idea di accoglienza tanto, troppo simile ad un voto di scambio, ad una forma neocoloniale di intendere l’approccio alle tematiche dell’immigrazione.

Me ne sono andato sorridendo e salutando tutte e tutti, perché per me chiunque vuole essere un compagno o una compagna lo è. Ma me ne sono andato chiedendo un appuntamento, comunque vada il congresso, all’inizio della prossima stagione di lotte contro la xenofobia dilagante.

Quel giorno, con presunzione, indipendentemente da quello che sarà il mio ruolo nel partito, vorrò vedere concretamente chi ci sarà ad avere realmente a cuore una questione fondamentale per la tenuta democratica di questo paese e chi avrà esaurito il suo compito con una tessera e un voto dato alla leggera. Da ultimo non credo che tali dinamiche avvengano perché gli uomini e le donne migranti che si avvicinano al partito siano più deboli e meno consapevoli. Credo che si debbano avvicinare per trovare quella cittadinanza sociale altrimenti negata, costruendosi un proprio percorso di lotta e non accettando le prime promesse che chiunque di noi potrebbe fare. Ho già visto scene simili, meno violente e meno cariche di tensione, in altri circoli in cui i votanti erano totalmente autoctoni. Facce simili, entravano, votavano e scappavano via. Vogliamo tutte e tutti costruirlo così il nostro partito?