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DEMOCRAZIA ORGANIZZATA E NON PLEBISCITARIA: SOPRATTUTTO AL SUD

Publie le sabato 5 luglio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

DEMOCRAZIA ORGANIZZATA E NON PLEBISCITARIA: SOPRATTUTTO AL SUD

di Giovanni Russo Spena

No, non sono proprio d’accordo. Il mio dissenso è radicale e non ammette mediazioni; perché è un dissenso di principio, un paradigma fondativo che attiene al costituzionalismo democratico, anzi all’essenza stessa dello stato di diritto.

Vendola non può affermare: “la Cassazione è il nostro popolo” facendo assumere ancor più alla propria candidatura una curvatura plebiscitaria che oscilla, come un pendolo, tra le forme estreme di americanizzazione e il tardo terzointernazionalismo del segretario come capo supremo al di fuori e al di sopra delle leggi (un ferro vecchio novecentesco).

Io voglio un partito sociale che viva attraverso regole permanenti e diffuse di democrazia organizzata e conflittuale. Ritorniamo, perlomeno, alla forza teorica della ricerca di Kelsen, senza sposare gli schmittiani “stati di eccezione”. In questo senso, l’editoriale di Liberazione è figlio (forse inconsapevole, ma questo è peggio) di una cultura giustizialista ed emergenzialista che ha costituito la bancarotta di tanta parte del movimento comunista.

Per abbandonare una logica politica sostanzialista sarebbe bene rileggere la critica luxemburghiana (senza bisogno di riandare al disperato e straordinario esperimento di democrazia collettiva quotidiana di cui siamo tutti eredi, la Comune di Parigi, punto più avanzato del tentativo di costruire regole di convivenza fondate sulla democrazia di mandato e non sull’oligarchia). Non è vero che l’unica alternativa al partito plebiscitario è il partito elitario, chiuso. Il partito sociale è, invece, proprio un sistema a rete che vive dentro le case della sinistra con un sistema di garanzie e regole.

Rifiuto l’appello ad un popolo che si esprime solo nei pochi secondi di una votazione congressuale senza nemmeno ascoltare una sillaba della discussione in corso. E’ il massimo della delega, altro che partecipazione. Questa è la verità dei fatti; tutti l’abbiamo vissuta, con amarezza, a volte anche di segretari di circolo che aderiscono alla II mozione.

Il resto è chiacchiera propagandistica che maschera, in alcuni casi, un’organizzazione capillare della delega al “partito del capo” come corto circuito che si illude di superare debolezza politica e sofferenza sociale. Le donne e gli uomini del sud conoscono bene la complessità, nel mezzogiorno, della questione contemporanea della rappresentanza; sono i comportamenti confusi, superficiali, populisti che affossano il meridionalismo democratico e comunista, che deve sfidare l’alterità dei comportamenti, dei punti di vista, della democrazia.

È ridicolo pensare che io sia diventato antimeridionalista; sto solo, con grande umiltà, riproponendo il tema che già Gramsci ci pose. Contro ogni forma di meridionalismo banale.

La legalità, il rispetto delle regole statutarie e regolamentari, è un valore in sé; da tutte e tutti noi deve essere vissuta come “limite invalicabile”, come scriveva ieri Rodotà. Le votazione non possono diventare “un lavacro, che rende intoccabile l’unto dal voto popolare”. La sovranità popolare, nel nostro ordinamento costituzionale, non è assoluta; essa si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, come ci ricorda Ida Dominijanni. Ciò che vale per la statualità democratica tanto più deve valere per la legalità statutaria del Partito.

Così vive la vera partecipazione; solo così viene agito il protagonismo delle nostre iscritte e dei nostri iscritti a cui dobbiamo restituire il potere decisionale sostanziale.