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Qualche proposta a Rifondazione per il dopo-Chianciano: ripartire da Carrara

Publie le mercoledì 16 luglio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Qualche proposta a Rifondazione per il dopo-Chianciano: ripartire da Carrara

Andiamo alle elezioni europee con il nostro nome, il nostro simbolo e un nostro programma. Impresa ardua, ma possibile. Claudio Grassi

Per la prima volta nella storia di Rifondazione Comunista l’esito del nostro congresso registra un risultato che non consegna a nessuno dei documenti che sono stati sottoposti al voto una maggioranza. Per chi conosce questo partito, visto come si erano distribuite le varie anime sui documenti, era facile prevedere questo epilogo. Infatti, al di là dei proclami infelici di “vinceremo” lanciati con alcune interviste all’inizio del congresso, tutti sapevano che la mozione Vendola avrebbe prevalso al Sud, che in questi congressi avrebbero votato molte più persone rispetto alla media e che la mozione Acerbo avrebbe prevalso in larga parte del Centro-Nord. Così è stato. Da questo risultato, che non consegna a nessuno la maggioranza, bisogna ripartire perché a Chianciano si trovi una via d’uscita che eviti la dissoluzione di Rifondazione Comunista.
Prima di avanzare una proposta di percorso vorrei fare anch’io - come hanno fatto altri nei giorni scorsi - alcune valutazioni sui risultati politici e numerici del congresso.

Il fatto più rilevante è che la proposta politica della “costituente della sinistra” non ha ottenuto la maggioranza dei consensi, quindi non può essere riproposta. Lo sottolineo perché per avallarla si è voluto fare un congresso definito «di chiarezza» e a mozioni contrapposte. L’esito è chiaro: il 52% è stato contrario. E’ vero che questo 52% è formato da diverse mozioni, ma è altrettanto vero che pur divergendo su molte cose, su questo punto esse esprimono una comune contrarietà.
La seconda riflessione che vorrei fare è la seguente: la lettura dei risultati delle varie mozioni non può ridursi ad una mera valutazione del numero totale dei voti conseguiti da ciascuna di esse. D’altra parte siamo sempre stati noi, per esempio, a leggere i risultati dei referendum sindacali guardando non solo il dato assoluto - chi aveva vinto e chi aveva perso - ma anche il modo con cui si era vinto e come era collocato territorialmente il voto. Se noi facciamo questo anche per il nostro congresso scopriamo elementi “interessanti”.

Accantoniamo la polemica sul tesseramento. Mi limito a sottolineare la contraddizione che emerge dal fatto che il partito, quasi ovunque, si trova in una grave difficoltà politica e organizzativa tale per cui fatica a ritesserare i compagni, mentre in alcune realtà, senza che vi siano motivazioni specifiche, si registra un incremento forte del tesseramento. Ma, a parte questo, nel momento in cui sto scrivendo con il 96,6% dei congressi fatti, quindi a congresso praticamente concluso, la mozione Vendola ha raccolto 20001 voti (46,8%), la mozione Acerbo 17291 voti (40,6%), la mozione Pegolo 3332 voti (7,8%), la mozione Bellotti 1377 voti (3,2%), la mozione De Cesaris 631 voti (1,5%). Cosa succede però nelle strutture territoriali del partito? Il risultato si capovolge! Il documento Acerbo vince in 12 regioni, quello Vendola in 8. Il primo documento ha la maggioranza in 62 federazioni e il secondo documento in 47. Infine, il dato che considero più significativo: su circa 2000 circoli in cui si è svolto il congresso, il primo documento ha prevalso, vincendo in 1000 circoli contro gli 800 del secondo documento. Ciò significa che il documento Vendola prevale perché ottiene più voti, ma questi voti sono concentrati in una minoranza di regioni, di federazioni e di circoli. E’ un fatto politico che non può non essere tenuto in considerazione.

Come uscire da questa situazione? Come evitare che il congresso di Chianciano si trasformi in una contesa distruttiva? Io penso che noi dobbiamo cominciare a ragionare su di un documento politico il più possibile unitario. Una piattaforma politico-programmatica, definita collegialmente da tutte le mozioni, che indichi un programma di lavoro per il prossimo anno, fino alle elezioni europee e amministrative. So che ci sono delle differenze tra di noi e che non è facile tenere assieme posizioni anche molto diverse, ma so anche un’altra cosa. Questo non è un passaggio qualsiasi per il nostro Partito. Siamo fuori dal Parlamento ed è verosimile che ciò perduri per almeno cinque anni, siamo scomparsi dai mezzi di informazione e ci attende un periodo duro per il partito e per il giornale in conseguenza della riduzione drastica dei finanziamenti pubblici. Io penso che in questo contesto o convergiamo tutti in un unico sforzo, salvare e rilanciare Rifondazione Comunista, o la dissoluzione sarà inevitabile.

Dobbiamo provarci. Per questo avanzo alcune proposte che, a mio parere, potrebbero essere gli assi attorno a cui costruire una piattaforma politica e di lavoro per Chianciano. In primo luogo, fin da settembre, è necessario lanciare il Partito all’esterno per costruire l’opposizione politica e sociale al governo Berlusconi. E’ incredibile che, di fronte a tutto quanto sta succedendo, l’unica cosa che sappiamo fare è esercitarci in un dibattito che disquisisce su quante cose sbagliate siano state dette nella manifestazione di Di Pietro a Piazza Navona. Il problema non è questo. Chi è Di Pietro e quale sia la sua cultura lo sappiamo da tempo. Il problema non sono prioritariamente i contenuti o, ancor meno, i toni di quella piazza, ma il fatto che a riempirla sia stato Di Pietro e non noi, perché noi da mesi siamo avvitati in una discussione esclusivamente interna! Allora proponiamo a tutte le forze della sinistra un coordinamento nazionale che si attrezzi da subito per chiamare alla lotta e alla mobilitazione la nostra gente.

In secondo luogo dobbiamo procedere nel percorso di unità a sinistra e contemporaneamente nella riforma del nostro partito per combattere quelle degenerazioni a cui abbiamo assistito anche in questo congresso. Per farlo basta una cosa semplice semplice. Prendiamo il documento della conferenza di Carrara, condiviso e votato dalla stragrande maggioranza del Partito, e usiamolo come guida per la nostra azione. Infine chiariamo fin da subito che andremo alle elezioni europee con il nostro nome, il nostro simbolo e un nostro programma. L’impresa è ardua, ma possiamo farcela. Alle elezioni europee non ci sarà più il meccanismo del voto utile e se noi in questo anno sapremo lavorare bene nei territori, potremmo essere noi (e non il Pd, in preda ad una crisi ancor più grave della nostra) ad intercettare il malcontento che inevitabilmente crescerà contro questo governo.

Se si determinasse questo, se alle elezioni europee Rifondazione dovesse recuperare anche solo una parte dei voti persi, ciò potrebbe ridarci fiducia e motivazione e potrebbe riaprire una stagione nuova per Rifondazione Comunista e per tutta la sinistra.