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La Sinistra da ricostruire e il confronto nel Prc

Publie le giovedì 17 luglio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

La Sinistra da ricostruire e il confronto nel Prc

di Pasquale Indulgenza, segretario federazione Imperia

La riflessione collettiva alimentata dallo svolgimento dell’iter congressuale sta finalmente approfondendo, anche per effetto dell’asprezza del confronto, la questione dell’alterità nostra: del suo segno, del suo significato e del suo valore. Essa risiede, da un lato, nella coscienza del limite, nella consapevolezza della parzialità; dall’altro, in una identità in divenire impegnata a fare la differenza con una sua "pretesa di universalità", memore del gramsciano "spirito di scissione", dentro il processo di superamento dell’ordine esistente e di costruzione dell’alternativa.

In ogni caso, non è qualcosa di scontato o predeterminato. Un soggetto politico si nutre e cresce grazie all’alimento che esso stesso contribuisce a vivificare col proprio ruolo attivo: la coscienza sociale. Ed è proprio questo il fattore di cambiamento che sta drammaticamente venendo meno, soprattutto nella sua costitutività e nel suo profilo di classe. E’ perciò qui la priorità da riassumere tra i nostri compiti, la necessità di agire una gigantesca questione culturale, che è questione politica capitale: ripensare una teoria e una prassi adeguate allo sforzo di riprendere a costruire l’alternativa.

La tristissima situazione che stiamo vivendo socialmente è favorita e governata dai poteri dominanti grazie ad un sapientissimo uso della leva ideologica, reso tale dalla pervasiva potenza dei dispositivi dell’attuale macchina pancapitalista. Nel corso del tempo, "macinando" generazioni, questo sistema ha indotto una trasformazione valoriale sempre più funzionale alla sua riproduzione. Il cimento che ci attende è dunque enorme: urge riprendere un lavoro di analisi e di riflessione imprescindibile per incidere nel senso comune, ma anche in grado di favorire un immaginario e un linguaggio capaci di contrastare, nel quotidiano, l’imbarbarimento delle relazioni sociali e l’azione "totalitaria" delle ideologie e dei modelli dominanti.

Per assicurare una promozione non rapsodica di questa processualità, vedo indipensabile un partito che si faccia davvero "intellettuale collettivo": un partito, giacché esso costituisce ancora la forma migliore, tra le associazioni politiche, per garantire rigore e capacità di automonitoraggio rispetto alle tesi proposte e ai loro e stessi meccanismi di elaborazione e affermazione, esigendo democratica vigilanza sugli incessanti rischi connessi ad interpretazioni del reale e a difetti di analisi. Due grandi questioni evidenziano la rilevanza di tale assunto, ben presenti nei nostri ultimi documenti congressuali. La prima riguarda il tema della guerra e il suo carattere strutturale all’interno del sistema/mondo capitalistico.

A me pare che la concezione che è andata prevalendo nella riflessione del nostro Partito, incentrata sul concetto di "guerra globale, infinita e permanente", sia una astrazione che oggi, al cospetto delle nuove dinamiche della crisi mondiale, mostri tutta la sua inadeguatezza. Si pensi solamente agli interrogativi connessi alla possibile affermazione, negli Stati Uniti d’America, di una presidenza "diversa" quale quella di Barack Obama.

Si ripropone perciò, con forza pari all’urgenza dei cambiamenti di scenari in vista, la necessità di una più rigorosa teoria dell’imperialismo, che torni ad analizzare le diverse tendenze mondiali alla guerra nel quadro delle dinamiche interimperialistiche, principalmente dovute alle contraddizioni interne al capitalismo. L’altra grande questione concerne i confllitti del lavoro e la loro traduzione in antagonismo politico. La cultura dell’impresa sta indubitabilmente dominando i diversi territori in cui si "giocano" i rapporti sociali (mercato del lavoro, relazioni industriali, assetti aziendali, modelli di consumo, dispositivi del controllo sociale, ecc.) e ha conquistato un suo "pubblico" primato, a tratti quasi religiosamente officiato.

Nella sua relazione di insediamento alla presidenza di Confindustria, Emma Marcegaglia, dopo aver chiarito che si sta esaurendo, «nella coscienza collettiva, quel conflito fra capitale e lavoro che ha segnato la storia degli ultimi 150 anni» e che così si può «chiudere una lunga stagione di antagonismo" (giusto un paio di obsolete categorie "novecentesche"!»), dedica passaggi significativi alla esaltazione della responsabilità sociale d’impresa - definita "valore centrale" della vita socio/economica - e all’etica degli affari, correlandola all’asserito impegno degli imprenditori nella sicurezza del lavoro (sic!), all’innovazione e alla ricerca.

Ma l’argomento della "responsabilità sociale dell’impresa" è ben presente nella nostra stessa elaborazione congressuale, sostenuto, segnatamente, nel documento 2, dove, proprio con gli stessi agganci, esso viene valorizzato quale tema qualificante e da perseguirsi strategicamente nella considerazione del rapporto con il sistema delle imprese! Ecco, in queste asserzioni io rinvengo un serio rischio di scivolamento verso le tesi, le dottrine e la propaganda dell’avversario di classe e, comunque, una superficialità teorica, progettuale e programmatica che rischia di consegnarci alla subalternità reale per vie, magari non appariscenti o clamorose, ma fatalmente votate all’omologazione.