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Congresso Prc. Si va a conta dei voti

Publie le domenica 27 luglio 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Congresso Prc. Si va a conta dei voti

Vendola non arretra

Ultime mediazioni affidate a Grassi

La convinzione generale è che si andrà alla conta dei voti. Si ipotizzano tre diverse soluzioni, e nessuno se la sente di garantire una quarta opzione: la spaccatura.

«Si va alla conta» è la frase più gettonata a poche ore dalla fine del congresso PRC più battagliato di sempre. La differenza tra pessimisti e ottimisti sta nella punteggiatura, un punto esclamativo per i primi, interrogativo per i secondi. Ferrero ha arringato la sua gente, Migliore lo ha contrato immediatamente suscitando qualche battibecco/tafferuglio, Claudio Grassi ha rivendicato alla fine il ruolo del pacificatore, ma non del fautore di un inciucio. Risultato molte previsioni differenziate nei particolari, dalla modifica statutaria per ripristinare la figura del presidente del partito (ma Grassi o Ferrero?) con importanza pari a quella del segretario, al documento politico annacquato e rinvio della battaglia al Cpn (Comitato Politico Nazionale) che verrà eletto domani in quote proporzionale alle mozioni, alla conta pura e semplice e quindi a documenti contrapposti e ad elezione del Cpn affidata a una lista aperta e quindi alla possibilità di sorprese con il voto segreto.

Insomma una situazione di stallo assoluto, ben diversa da quella che aveva sperato di ispirare Fausto Bertinotti con il suo intervento del mattino, una sorta di concerto d’addio del leader maximo che aveva indicato nella continuità e nell’unità il futuro di una Rifondazione rinnovata e rilanciata.

Nichi Vendola non ha più parlato ma non ha alcuna intenzione di retrocedere di un solo passo. Lo ha spiegato anche in una concitata telefonata con la madre che aveva rilasciato una dichiarazione a un’agenzia, parlando di una rinuncia del figliolo sottoposto a troppe pressioni. Lo ha poi ribadito ai compagni di mozione dando appuntamento alla riunione di mozione convocata per domani mattina all’ora della prima colazione, le 8.

Questa sera il congresso lavora ancora con seduta notturna dedicata alle modifiche statutarie, e chissà che non passi anche quella relativa al ripristino della carica di presidente. Sarebbe il primo indizio di una pace (o di un armistizio) ritrovata.

La cronaca.
Una platea nervosa, critica nei confronti degli ultimi interventi, precede l’intervento di Paolo Ferrero, leader della mozione 1. L’ex-ministro parte dalla questione morale esterna ma anche interna, prosegue dando la sua definizione di politica che non è solo rappresentanza, ed enuncia un buon proposito di avvalorare gli elementi comuni in modo che prevalgano su quelli che dividono. «Se ce la faremo a restare uniti...» è l’unica frase che testimonia del suo pessimismo.

Segue quindi un’analisi del passato. «Abbiamo sbagliato al congresso di Venezia, e io sono corresponsabile. Abbiamo sbagliato col governo Prodi perché il Pd ha spinto sempre contro di noi. Questo Pd non può essere credibile per una nuova coalizione, quindi dobbiamo proporre un’alternativa».

Ferrero rispettoso dei dieci minuti concessi a ciascun intervento si è poi avviato alle conclusioni. «Non dividiamoci sul referendum sul lodo Alfano, ma proponiamone uno sulla legge 30, costruiamone tanti entrando in altro modo laddove si fanno le leggi. La questione del mantenimento dell’identità comunista, non si deve contrapporre ad altre, ma credo che sia necessaria per dare sicurezza alla nostra gente».

E il nervosismo della vigilia si stempera con il canto corale di Bandiera Rossa e Bella Ciao.

Replica subito a Ferrero, l’ex capogruppo alla camera Gennaro Migliore. Il suo è un appello all’unità. «C’è bisogno di una politica nuova dopo la sconfitta. Noi abbiamo preso un impegno con i compagni che ci hanno votato, per coerenza verso di loro portiamo avanti la nostra linea, ma non la porteremo mai contro i compagni, perché crediamo nell’unità di tutta Rifondazione».

Non rifugge la polemica. «Stiamo giocando una partita tra la vita e la morte soprattutto sulla pelle della classe operaia, Di Pietro cerca i nostri voti, ci assedia in nome del giustizialismo. Dobbiamo fare i conti con la scomparsa della sinistra, ma non possiamo fare passi indietro. Non possiamo fare un’estenuante somma del 7% + 2% e così via, di tutte le percentuali di minoranza». A questo punto si accendono scaramucce in sala, ma una calma apparente torna di lì a poco con l’avvicendamento sul palco.

I ferrer-grassiani escono alla spicciolata e l’intervento del giovane dirigente emergente Michele De Palma, tocca le corde di una platea ormai allineata sulle tesi vendoliane, ma le tocca con molta passione puntando all’unità ma anche alla coerenza con le analisi del congresso, e dei congressi locali.

Claudio Grassi co-leader della mozione 1 chiude all’opposto con un intervento che di passionale ha ben poco ma gelidamente misurato tra rottura e ricerca di unità. «Se non siamo dei pazzi dobbiamo accettare il fatto che tutte le mozioni hanno perso, nemmeno la 2 che ha perso meno degli altri ma non ha vinto. Partendo da questa realtà voglio spiegar bene la mia posizione. Qualcuno ha detto e scritto che io avrei fatto un inciucio, e invece no, io non abbandono la mia mozione e i suoi contenuti e alla fine sosterrò ciò che la mia mozione decide. Ho chiesto però di non metterci in un angolo perché non ha vinto chi voleva la costituente, ma non abbiamo vinto nemmeno noi. C’è ancora il tempo per trovare un accordo perché se Rifondazione si divide in due, Rifondazione non ci sarà più»

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