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Ariel Sharon: la strada a senso unico

Publie le sabato 3 aprile 2004 par Open-Publishing

Dazibao


Ahmed Bouzid is the president of Palestine Media Watch and author of Framing
the Struggle. (NdR)


di Ahmed Bouzid

L’assassinio del fondatore e leader spirituale di Hamas, sheikh Ahmad Yassin,
non dovrebbe essere stato una sorpresa per coloro che seguono le azioni di Ariel
Sharon ed hanno prestato un minimo di attenzione al modo in
cui egli opera.

La sua logica e’ piana ed impeccabile: Israele e’ una potenza militare senza
paragoni nell’area ed il suo maggiore alleato e’ la forza militare più imponente
al mondo; di conseguenza, finché il conflitto con i palestinesi
resterà nell’arena militare, Israele avrà la meglio.

La logica e’ concisa ed ovvia eppure, nonostante il fatto che le linee guida
di questa strategia siano ben comprese e perduranti, ci viene costantemente detto
che l’Israele di Sharon desidererebbe risolvere il conflitto pacificamente ed
equamente, che sarebbe interessato a ricercare una soluzione politica, se solo
trovasse un partner serio all’altro lato del
tavolo.

Vi sono molti esempi che illustrano l’ovvietà di questa strategia. Ricordate
il summit di Aqaba, agli inizi di giugno 2003? Esso seguì l’insediamento del
primo premier nella storia palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen), un uomo che
Israele considerava abbastanza "accettabile" come partner da permettere al residente
Bush di invitarlo alla Casa Bianca. E
ricordate ciò che Israele fece immediatamente dopo quello "storico summit"?

Esattamente cinque giorni dopo, ben sapendo che la cosa peggiore da fare in quel
momento, se desiderava rafforzare il nuovo primo ministro palestinese, era uccidere
un membro di Hamas, Israele non solo tentò di assassinarne uno, ma scelse proprio
il più autorevole rappresentante dell’ala politica di Hamas e suo portavoce,
Abdel Aziz al-Rantissi. Rantissi se la cavò con ferite leggere, ma i sei missili
lanciati da due elicotteri Apache uccisero una donna anziana, il giovane Mustafa
Saleh, 27 anni, Khadra abu Hamada, 34 anni e la sua figlioletta di tre anni,
ferendo almeno 27 altri civili.

L’attacco era stato così grossolanamente predisposto per essere un sabotaggio
agli sforzi di pace di Abbas che suscitò un’insolita e franca reazione da parte
della Casa Bianca, la quale emanò un comunicato in cui
sosteneva che "il presidente e’ preoccupato che l’attacco possa minare gli sforzi
delle autorità palestinesi di mettere fine agli attacchi kamikaze, ed e’ certo
che esso non contribuisce alla sicurezza di Israele".

Fortunatamente, ed ironicamente con l’aiuto degli influenti leaders palestinesi
detenuti nelle carceri israeliane, il 29 giugno 2003 il premier Abu Mazen in
qualche modo riuscì a strappare una dichiarazione di tregua unilaterale da parte
di tutti i principali gruppi palestinesi. La tregua doveva durare tre mesi ed
applicarsi ad entrambi i lati della Linea Verde
tracciata nel 1967.

Invece di afferrare al volo l’opportunità per rafforzare politicamente Abu Mazen
sia con gesti simbolici (come il rilascio dei veri prigionieri politici che erano
la chiave per negoziare una tregua reale) che con mosse concrete volte a rendere
la vita dei palestinesi un po’ meno che un incubo, Sharon scelse, come al solito,
la strada del sabotaggio. Ad esempio, la tregua fu definita dal governo israeliano,
sin dall’inizio, "un trucco predisposto dai terroristi per guadagnare tempo e
riarmarsi".
Ra’anan Gissin, portavoce di Sharon, dichiarò che "gli accordi con le organizzazioni
terroristiche non valgono il foglio di carta su cui sono
scritti".

Invece, da allora, non soltanto Israele ha negoziato con i suoi più grandi nemici,
gli Hezbollah - anch’essi definiti "un gruppo terroristico" da Israele - ma ha
trattato addirittura il rilascio di 429 prigionieri,
inclusi due personalità prominenti del gruppo, Mustafa Dirani ed Abdel Karim
Obeid, in cambio di tre corpi di militari israeliani uccisi in Libano e di un
uomo d’affari israeliano (molto presumibilmente un agente segreto).

Da allora, inoltre, Sharon ha dichiarato la sua intenzione di evacuare la striscia
di Gaza e di smantellare molti insediamenti lì creati.

Immaginate se Ariel Sharon avesse liberato centinaia di prigionieri politici
palestinesi ed avesse dichiarato la sua intenzione di lasciare Gaza subito dopo
i colloqui con Abu Mazen? Abu Mazen avrebbe immediatamente acquisito un immenso
capitale politico, poiché la sua posizione sarebbe stata rafforzata dalla percezione
che il negoziato pacifico era in grado di ottenere risultati. Ma Ariel Sharon
non era affatto interessato a rafforzare Abu Mazen né qualsiasi altro partner
politico. Egli sa bene che l’assassinio di Yassin
darà vita ad una serie di attentati kamikaze. Sa bene che tali omicidi extragiudiziari
screditano agli occhi dei palestinesi chiunque tratti con
Israele. Dunque, perché tanta di voglia di provocare continue escalation di
violenza?

La risposta non e’ un mistero, ed e’ stata molto ben articolata più di un anno
fa da Yossi Sarid, presidente del partito Meretz, che, il 3 gennaio
2003, scrisse: "Ciò che spaventa Sharon ... e’ la prospettiva di quiete o moderazione.
Se la situazione dovesse placarsi e stabilizzarsi, Sharon dovrebbe ritornare
al tavolo dei negoziati e, di fronte a pressioni interne ed esterne, dovrebbe
fare proposte di accordo serie. Questa ipotesi lo
terrorizza e lui la respingerà finché potrà".

traduzione a cura di www.arabcomint.com

03.04.2004
Collettivo Bellaciao