Home > Dopo la Francia e l’Ucraina, l’Ungheria. Segnali molto gravi

Dopo la Francia e l’Ucraina, l’Ungheria. Segnali molto gravi

par Claudio Grassi

Publie le giovedì 10 aprile 2014 par Claudio Grassi - Open-Publishing

Per la terza volta il nazionalista Orban si conferma primo ministro dell’Ungheria. Anche se con una flessione di otto punti percentuali, il suo partito, Fidesz, ha conquistato i due terzi dei seggi totali dell’assemblea nazionale di Budapest. Questo gli permette di rimanere saldamente al governo del paese senza bisogno di stringere alleanze con altre forze politiche. Il predominio di Orban sembra non avere rivali. Le opposizioni hanno denunciato la chiusura degli spazi democratici, l’imposizione di leggi bavaglio all’informazione e misure restrittive nei confronti della magistratura, ma nonostante ciò, in pochi anni il leader di Fidesz ha stravolto la Costituzione, inserito norme che stravolgono l’equilibrio tra i poteri dello Stato, spostato il baricentro verso la sfera dell’esecutivo, limitato la libertà di espressione. Un giro di vite autoritario si è abbattuto sulle minoranze politiche e culturali. Il partito comunista è stato definito un’organizzazione criminale. Gli omosessuali hanno subito l’introduzione di norme discriminatorie nei propri confronti.

Orban: potere incontrastato

Eppure il potere di Orban appare oggi pressoché incontrastato. I socialdemocratici – i principali antagonisti – risultano staccati di ben 20 punti e si fermano al 25,9 per cento. Nonostante tutto l’opposizione tradizionale non riesce a impensierire seriamente lo strapotere di Orban. Il partito ecologista dell’Lmp riesce a entrare in parlamento grazie a un risultato di poco superiore alla soglia di sbarramento del cinque per cento, ma il suo peso non è sufficiente a influenzare il quadro politico nazionale. L’aspetto più preoccupante è l’avanzata dell’opposizione di estrema destra.

Oltre il 20% ai nazisti di Jobbik

I nazisti di Jobbik oltrepassano infatti, per la prima volta, la soglia del 20 per cento e confermano lo spostamento a destra della società ungherese. Se non bastasse, cresce anche l’astensionismo, quattro punti percentuali oltre il livello delle scorse elezioni. Il 39 per cento degli aventi diritto al voto non si è recato alle urne. La vittoria di Orban va letta anche come una risposta nazionalista alla crisi del sistema politico. Mentre i partiti tradizionali perdono consensi Orban riesce a mantenersi saldo alla guida del paese. Fino a oggi il leader di Fidesz è riuscito in un duplice intento: da un lato, quello di ridurre gli spazi democratici delle opposizioni e limitare il ruolo della magistratura; dall’altro, di incarnare il ruolo di difensore degli interessi nazionali grazie a una serie di misure favorevoli ai ceti popolari. In questi anni Orban ha ridotto le tasse sui redditi medio-bassi, ha incrementato il controllo statale sul settore energetico, ha abbassato le bollette elettriche (in virtù di accordi con la Russia di Putin), ha aumentato i salari e ridotto la disoccupazione sotto il 10 per cento. L’immagine di Orban come difensore del paese di fronte allo strapotere delle banche straniere non è stata, finora, intaccata dalle opposizioni.

Oltre alla destra di governo, solo i neonazisti vengono avanti e si confermano in ascesa, accreditandosi agli occhi della popolazione ungherese come una forza antisistema, estranea allo sfacelo generale. Il partito di Jobbik ha condotto una campagna elettorale all’attacco, tutta all’insegna del rifiuto dell’euro e dell’Unione Europea, e del richiamo alla Grande Ungheria. I neonazisti puntano a presentarsi come l’unica alternativa alla «vecchia classe politica«, i soli a poter difendere il paese dal dominio di Bruxelles, del crimine, della corruzione del sistema politico e della finanza. Jobbik non si limita alla propaganda. Al linguaggio apertamente fascista e xenofobo si sono accompagnati negli ultimi anni aggressioni a militanti comunisti e di sinistra e, in misura crescente, verso le comunità rom, prese di mira dalle organizzazioni squadristiche del partito. Del resto, i riferimenti storici di Jobbik non lasciano spazio a dubbi. Fra tutti, primeggia il nome di Horty, il dittatore fascista che governò l’Ungheria tra il 1920 e il 1944 – al quale Jobbik, tra l’altro, vorrebbe dedicare l’istituzione di una nuova milizia nazionale. Anche l’antisemitismo fa parte del repertorio di Jobbik. In parlamento i neonazisti hanno proposto la schedatura dei parlamentari di origine ebraica. Gli ingredienti del fascismo stanno tornando drammaticamente in campo, favoriti dalla crisi economica e sociale. Sarebbe un errore madornale trascurare quel che accade ormai in molti paesi d’Europa. La peggior miopia sarebbe quella di perseverare nelle politiche di austerità, sordi alla sofferenza sociale, e di relegare l’ascesa della destra nelle sue varie forme – autoritaria, di governo, neonazista – a semplici manifestazione di un populismo occasionale.

http://www.claudiograssi.org/wordpress/2014/04/dopo-la-francia-e-lucraina-lungheria-segnali-molto-gravi/