Home > Cosa sottendono le riforme renziane

Cosa sottendono le riforme renziane

par zag(c)

Publie le mercoledì 23 luglio 2014 par zag(c) - Open-Publishing

Il mantra che tutti i mass media ci propinano fino alla noia e che le ragazze renziane pon pon ci propongono in tutte le salse è sempre la stessa. O si fanno le riforme o si muore e chi non è con noi peste lo colga! Naturalmente questo sillogismo non è argomentato , ma solo affermato come verità. Non sanno, non possono, non ci riescono? Una o tutte insieme. Sta di fatto che , secondo me, due sono le direttrici su cui si muove l’architettura riformista di Renzi ( riformista è anche chi propone cambiamenti in senso reazionario, smentendo una vecchia tesi intesa a definire riforme uguale progresso)
Uno è sul piano istituzionale che discende dall’altro che è di tipo strutturale economico sociale.

Quello istituzionale discende dalla consapevolezza che istituzioni partecipative e democratiche , che passano attraverso il consenso ampio e partecipato del “popolo” non sono compatibili con la prioritaria “riforma” economica e politica chiesta dall’Europa( leggi Troika e organismi economici e finanzi europei e internazionali) . Ecco il perché la necessità, l’esigenza di trasformare l’impalcatura costituzionale di natura democratica partecipativa e rappresentativa ( i deputati rappresentano la volontà degli elettori ed esprimono la loro volontà), in un’altra di tipo oligarchico e delegante ( i votanti delegano i deputati a governare in nome e per loro conto). Quindi sempre meno rappresentanti, e sempre più scelti fra una ristretta cerchia determinata non dalla loro rappresentatività o consenso popolare, ma dalla loro affidabilità e fedeltà al loro leader o partito di appartenenza o gruppo di potere. Questo consentirebbe alle “istituzioni” di essere più veloci e immediate nelle risposte ( ciò significherebbe che l’attuale impalcatura sia lenta che è contraddetta dall’esempio che è bastata una settimana per approvare la controriforma del sistema pensionistico) Il sistema è frammentato , il consenso disgregato e fluido, il ceto politico discreditato e quindi occorrono truppe fedeli a prova di fede. E questo il vero obbiettivo più o meno dichiarato più o meno percepito.

Le riforme di tipo economico strutturale sono chieste dalla Troika in quanto necessarie per la crescita e lo sviluppo. Le riforme strutturali da sempre sono in primo luogo delle riforme "distributive", vanno cioè a modificare in modo strutturale la distribuzione delle risorse all’interno della società. L’esempio è data sempre dalla riforma pensionistica e del mercato del lavoro che si apprestano ad approvare. Queste vanno a modificare il rapporto di distribuzione della ricchezza prodotta fra lavoro e capitale, fra lavoratori e datori di lavoro. Basta leggere le statistiche che abbondano nelle quali si evince di come la ricchezza dagli anni ’70 ad oggi si è andata progressivamente e massicciamente spostandosi dal reddito da lavoro a ricchezza finanziaria, profitti e rendite. Questo dato è sopportata da tesi economiche teoriche secondo le quali la ricchezza cosi accumulata a favore del capitale verrebbe reinvestito nella produzione e quindi nella crescita e occupazione. Se ciò non è avvenuto in questi anni, e anche qua i dati empirici stanno li a dimostrarlo, e perché si è fatto troppo poco, si è fatto ancora non a sufficienza ecc ecc. Come si vede le ragazze pon pon che vanno divulgando il renziano pensiero mascherandolo di tecnicismo parlano in realtà solo di politica e di politica distributiva in questo caso.

Ma le stesse tesi che spingerebbe i paesi PIGS a fare le riforme entra in contraddizione quando si confrontano con la realtà e si arriva a dei risultati sorprendenti, di cui , naturalmente nessuno ne parla. L’OCSE stabilisce alcuni parametri , per indicare le “capacità riformatrice” dei paesi. Gli indici più noti sono l’EPL (Employment Protection Legislation) e il PMR (Product Market Regulation), valori bassi di questi indici sarebbero virtuosi. Ora detti parametri sono naturalmente aleatori e del tutto arbitrari e misurano minore regolamentazione, minori protezioni per i lavoratori, maggior flessibilità e maggiore apertura dei mercati. Tutto questo farebbero del paese un paese virtuoso. Bene. Paesi con l’EPL più elevato in Europa sono la Germania e l’Olanda, mentre l’Irlanda, la Spagna e anche l’Italia hanno indici decisamente più bassi. Similmente per quanto riguarda l’apertura dei mercati, l’Italia si piazza meglio ad esempio del Lussemburgo e del Belgio. Non parliamo del costo del lavoro, delle ore lavorate e via di questo passo. Allora? Come direbbe qualcuno l’Italia il suo compitino l’ha svolto e alla grande. E’ stato uno scolaro diligente e come mai , quindi, i dati statistici indicano la ripresa sempre più lontana Sie si riuscisse a fare due piu due risulterebbe che l’Italia non ha assolutamente bisogno ne di riforme strutturali ( nel senso indicato dal renzismo) ne di quelle dettate dai parametri dell’OCSE. Ma al contrario! Avremmo necessità di un cambio di passo a 180 gradi. Ribaltare il mantra fin qui perseguito e non di meno democrazia , ma di piu rappresentatività, di più controllo dal basso, di più investimenti di più Stato e di meno mercato. Non di crescita qualunque essa sia purché vi sia, ma di una crescita ecocompatibile e dettata dai bisogni e dalle necessità della popolazione mediamente intesa.

Ma da queste orecchie è difficile che ci si ascolti!

Portfolio