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Manipolare la verita’ e’ un business?

Publie le martedì 18 maggio 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Governi Viviana Vivarelli

Di Viviana Vivarelli

Una cosa emerge con sempre crescente chiarezza: siamo nelle mani di un
governo che censura la verita’ e cerca in ogni modo di nasconderla. Un
governo di mentitori e complici che intende usare Rai, Mediaset, Lasette e
la stampa per propagare le sue menzogne e aggredisce chi lascia trapelare
qualche spiraglio di verita’.

 la vedova del maresciallo Massimiliano Bruno (carabiniere morto a Nassirya
e medaglia d’oro) denuncia che suo marito aveva visto detenuti iracheni in
condizioni inumane nel carcere di Nassiriya, nudi, sporchi e trattati come
scarafaggi. Parti dell’intervista vanno in onda sul tg3.

 scatta l’operazione censura: Fini e Gasparri denunciano il direttore del
tg3 Di Bella chiedendone le dimissioni per manipolazione delle
informazioni. Fini parla di "orribile e volgare manipolazione della
verita’", Gasparri di comportamento «indegno» e suggerisce «l’immediata
uscita di scena di chi si è reso colpevole di una condotta così disinvolta
in un momento così difficile e delicato a livello internazionale». La
commissione di garanzia esamina per dritto e per rovescio l’intervista ma
non trova reato, tuttavia parla ugualmente di ’errore giornalistico’.
Dunque quando il Polo dice menzogne grosse come case per due anni e mezzo
va tutto bene, quando arriva qualche spiraglio di verita’ si tratta
di ’errore giornalistico’. Cattaneo parla di nuovo di abolire Rai 3. Di
fronte alla montagna di bugie di Rai e Mediaset, di fronte agli affronti
alla verita’ fatti quotidianamente da Vespa e Ferrara, di fronte a membri
del parlamento e del governo che ci considerano scimmiette sceme e
continuano a dirci il contrario della verita’, di fronte a menzogne
anglo-americane avallate in ogni modo possibile e di cui ora il mondo
intero comincia a vedere il senso, ancora e ancora il Polo pretende di
censurare i fatti e ancora ripete di non sapere e cerca di chiudere la
bocca a chi parla.

 subito Vespa chiama la vedova a Porta e Porta e con un abile
interrogatorio da’ l’idea di una smentita.
Iacopo Fo: "Da Vespa si chiede per tre volte alla signora: suo marito le ha
detto che i carabinieri torturavano? Che lui e’ stato presente a torture?
Suo marito era a conoscenza di torture inflitte da soldati inglesi o
americani? (l’intervistatrice ripete queste domande perche’ vuole essere
sicura che al telespettatore le risposte siano chiare, entrino in testa).
La signora Longo ogni volta risponde di no, a tutte le domande. E in
effetti nella precedente intervista non aveva detto che i carabinieri
avevano torturato ne’ che suo marito fosse stato presente a torture ne’ che
suo marito sapesse delle torture inflitte da americani e
inglesi... L’intervista e’ costruita con domande che non hanno niente a che
vedere con quanto la signora ha detto il giorno prima al Tg3. Smentisce
qualche cosa che ne’ lei ne’ nessun altro ha mai detto."£ Ma un
telespettatore intende quel che gli si vuole far intendere e cioe’ che il
tg3 ha sbagliato.

 purtroppo il colonnello Carmelo Burgio, comandante dei carabinieri
paracadutisti del Tuscania, rientrato in Italia dopo alcuni mesi passati a
Nassiriya, conferma immediatamente al Corriere della Sera di aver visto
iracheni torturati, con bruciature da ferro da stiro, ferite e lividi
spaventosi. Racconta addirittura che i soldati italiani avrebbero
ingaggiato uno scontro a fuoco con i poliziotti iracheni per liberare due
detenuti torturati. Conferma che gli italiani hanno denunciato la
situazione alla magistratura irachena (!) e agli inglesi che dirigono
quell’area. Lo stesso Fini (in pieno paradosso con se stesso) cerca di
dimostrare che l’intervista di Burgio (che parla delle denunce) e’ la
prova che gli italiani hanno fatto il possibile e l’impossibile per
limitare il fenomeno. Continua a ripetere che l’intervista alla vedova e’
stata manipolata, poi e’ costretto a dire che il comportamento della
polizia irachena e’ disgustoso.

 dichiarazione del colonnello Burgio:
"Quel carcere era l’unico in cui noi mettevamo piede. In tutta la
provincia di Dhi qar, sotto il nostro controllo, non ci sono altre
prigioni. Quel carcere era spaventoso. I detenuti erano ammassati dentro
stanzoni cupi. Almeno 30a in ogni camerone. Erano sporchi, affamati, pieni
di pidocchi. E credo che il povero Massimiliano facesse parte di una
squadra addetta alla supervisione. Assisteva a quelle scene disumane.
Capisco che ne abbia parlato alla moglie con un senso di pena». "Il carcere
era gestito dalla polizia irachena. Noi andavamo spesso a fare controlli e
più volte abbiamo riscontrato segni di torture sui detenuti. Ne abbiamo
sempre informato l’autorità giudiziaria irachena». "Quando facevamo notare
loro i segni delle torture, si meravigliavano della nostra reazione
scandalizzata. Per la polizia irachena accogliere un arrestato con una
trentina di legnate era una pratica normalissima. E non parliamo
dell’edificio in cui erano rinchiusi i prigionieri. Uno schifo. I militari
italiani hanno cercato di rimediare. Hanno aggiustato qualche parete, hanno
disinfestato gli ambienti invasi dai topi. Poi hanno capito che ogni sforzo
era vano. E hanno deciso di costruire un carcere nuovo che adesso dovrebbe
essere quasi ultimato». «Ci siamo trovati a volte davanti a detenuti mezzo
morti, con bruciature di ferro da stiro sul corpo e lividi terrificanti a
causa delle bastonate. Non era solo la polizia irachena a usare la mano
pesante. I più bestiali erano alcuni gruppi di miliziani legati a
formazioni politiche che si arrogavano il diritto di svolgere compiti di
polizia per mantenere l’ordine. Spesso la loro attività consisteva
nell’andare a scovare esponenti del vecchio regime per compiere vendette.
Li trascinavano in qualche sotterraneo e li sottoponevano a sevizie di una
ferocia inimmaginabile». «Abbiamo cercato di intervenire. Il 9 marzo scorso
abbiamo addirittura ingaggiato un conflitto a fuoco per liberare due
persone tenute prigioniere da giorni e vittime di orribili torture. In
quell’occasione abbiamo arrestato nove responsabili». «Se prendevamo gente
che si era macchiata di reati comuni, come per esempio i tombaroli, li
consegnavamo alla polizia irachena. Se invece ci capitava di arrestare
terroristi, li affidavamo agli inglesi. Il contingente italiano a Nassiriya
dipende dal comando inglese, perciò eravamo obbligati a portare i
prigionieri sospetti di attività terroristica nel carcere di Um Qasr,
vicino a Bassora». «Ma non potevano controllare che fine facessero. Se ne
occupavano solo gli inglesi. Noi però eravamo molto preoccupati riguardo
alla possibilità che ai detenuti, sia a quelli arrestati per reati comuni
sia ai terroristi, potesse succedere qualcosa in prigione». «Sapevamo cosa
accadeva nel carcere controllato dalla polizia irachena. Cosa avveniva in
quello diretto dagli inglesi onestamente non potevamo saperlo». "Mai
sentito nulla da parte degli inglesi. Ad ogni modo noi ci siamo premuniti.
Abbiamo le prove che gli italiani non hanno mai torto un capello alle
persone arrestate. Se ad esse è successo qualcosa dopo, quando le abbiamo
consegnate agli altri, noi possiamo dimostrare di essere puliti. Se hanno
subito violenze, responsabili sono gli altri». «Ogni volta che compivamo un
arresto procedevamo in questo modo: varie fotografie della persona a torso
nudo, visita medica e certificato sul quale veniva annotato tutto, anche un
graffio. Dopodiché avvertivamo i responsabili del carcere: queste sono le
condizioni in cui vi consegniamo i detenuti, qui c’è scritto tutto, se da
ora in poi gli succede qualcosa sappiamo di chi è la colpa». "Avevamo alle
spalle una brutta esperienza. Ricordavamo bene quello che era accaduto in
Somalia, con i problemi che poi hanno avuto i nostri. Volevamo
assolutamente evitare di finire nei guai». "Ci siamo consultati con il
comandante del nostro contingente, prima il generale Bruno Stano e poi
l’attuale Gian Marco Chiarini. E insieme abbiamo deciso una procedura di
trattamento nei confronti degli arrestati che ci poteva mettere al riparo
da qualsiasi brutta sorpresa. Una procedura che consiste in un’attenzione
massima a non commettere qualsiasi forma di sopruso. E poi fotografie e
certificati. A tutti quelli incaricati di compiere arresti raccomandavamo
sempre di mantenere la calma, di evitare maniere troppo dure. Ragazzi,
dicevamo, cerchiamo di stare sempre molto attenti e tutto filerà liscio».

 ma il grottesco non e’ finito: una troupe della Rai va col governatore di
Nassiriya, Barbara Contini (e per fortuna che era una volontaria!) a
visitare il carcere, ma non Abu Ghraib bensi’ il carcere nuovo, dove non ci
sono detenuti, pero’ si vieta di prendere fotografie. Tuttavia si e’ visto
lo stesso che i prigionieri veri sono tenuti tutt’ora in una situazione
agghiacciante, in 20 o 30 in una cella, nudi, non hanno neanche lo spazio
per sdraiarsi per terra, non hanno acqua per lavarsi, a 50°. Sono li’ da un
mese senza aver mai potuto parlare con un avvocato. Il capo della nuova
polizia irachena che dirigeva quel carcere e’ stato sostituito in quanto
aguzzino, dunque che sia stato un aguzzino e’ innegabile. E’ chiaro che i
’liberatori’ hanno permesso non solo che propri soldati abusassero dei
detenuti ma pure che lo facesse la nuova polizia irachena sotto il loro
comando. In realta’ si sono limitati a consegnare i prigionieri ai vecchi
aguzzini di Saddham, cosi’ come stanno rimettendo ai loro posti gli atroci
generali di Saddham.

 i carabinieri italiani sono gli unici che restano puliti in questa immonda
faccenda, hanno fatto di tutto per ridurre i danni, hanno fatto denunce
agli inglesi, da cui dipendono direttamente (forse senza sapere che costoro
sono gli aguzzini peggiori), hanno fatto continue denunce denunce al
governo italiano (che se ne e’ fregato prima e se ne frega ora, e non puo’
proprio farci credere che non sapeva nulla). Nessuno fece nulla, ne’
Martino, ne’ Berlusconi, ne’ Frattini per porre fine ai soprusi bestiali.
Mentre la Croce Rossa continuava a mandare le sue denunce, ognorate dal
governo, e il governo si e’ occupato solo nei suoi interesse privati e di
lusingare gli americani.

 l’apparente smentita della vedova si annulla perche’ lo stesso giornale
dei carabinieri conferma e aggrava le sue denunce: i carabinieri sapevano e
le cose sono molto peggiori del previsto. Questo uno degli articolo del
giornale dei carabinieri:
"Viaggio nell’inferno del penitenziario: in 70 in una stanza Nella prigione
i carabinieri scoprono 40 agenti iracheni violenti ma il governo di Bremer
non li rimuove. Le gabbie sono le stesse che, molto probabilmente,
disgustarono il maresciallo Massimiliano Bruno. 4 m per 5, le sbarre fitte
che vanno dal soffitto al pavimento di cemento. Detenuti seduti per terra,
senza letti, senza gabinetti. Il maresciallo Bruno aveva ragione a
descrivere queste celle come un posto per scarafaggi, non per uomini. E’
difficile immaginare come questi prigionieri possano dormire, calcolando a
occhio che qualcuno non ha neppure lo spazio per allungare le gambe.
Oltretutto, l’estate di Nassiriya è già cominciata. Il termometro arriva a
55 gradi e lì dentro, fra le sbarre, si boccheggia. Tre ventilatori appesi
non bastano a far circolare l’aria pesante di un’umanità sudata e sporca.
Ci sono all’incirca 70 uomini in un unico stanzone e altri 20 nella «cella
vip», privilegiata perché ha un buco nel pavimento che fa da gabinetto. Un
vecchio si spinge tra i compagni aggrappati alle sbarre e per farsi notare
allunga una mano. Sul palmo mostra un occhio di vetro. Il suo. Sulla gamba
una vecchia cicatrice gli ha rubato mezza coscia. A gesti cerca di
spiegare. Fa capire che lui non dovrebbe stare in prigione, che è malato.
Un altro riesce, di nascosto dai secondini, a dire a un interprete che è
dentro da 7 mesi e che non ha mai visto un avvocato...i secondini spingono
via i giornalisti. Sono poliziotti iracheni. E le celle sono quelle della
Stazione di polizia di Nassiriya. Polizia irachena, ma, fino al 30 giugno,
con la supervisione italiana. Per mostrarle pochi minuti alla stampa c’è
voluto l’intervento del comandante dei carabinieri Luciano Zubani e della
governatrice civile Barbara Contini. Ieri, nella visita velocissima e
concessa con molte ore di ritardo, le gabbie si presentavano nella loro
forma migliore. I pavimenti delle zone comuni erano stati appena lavati, le
pale ai soffitti giravano oscillanti. Dato lo stato pietoso della prigione,
i poliziotti iracheni potevano fare poco altro per dare ai reporter
un’impressione positiva. Le strutture sono quello che sono. Orribili.
L’affollamento eccessivo. Appena scorti gli stranieri, i prigionieri si
sono affannati a scrivere e poi a far scivolare al di là delle sbarre
decine di bigliettini. Richieste di aiuto, proclami di innocenza. Molti
avevano semplicemente sete e con le mani hanno fatto il gesto di versare
acqua in un immaginario bicchiere. Quando il maresciallo Bruno lavorava a
Nassiriya era anche peggio. Allora il comandante dei carabinieri Georg Di
Pauli non concesse la visita all’inviato del Corriere , ma un militare
volle ugualmente mostrare per pochi istanti quel girone d’inferno. Corridoi
pieni di sporcizia, prigionieri piagati. Erano almeno il doppio di quanto
non siano oggi. I militari italiani, secondo il mandato ricevuto dal
Parlamento, devono creare un ambiente di sicurezza per l’afflusso degli
aiuti umanitari, assistere e addestrare la polizia irachena al rispetto
della legge locale e dei diritti umani...Davanti alla governatrice Contini
il responsabile iracheno della prigione racconta diligente di come le cose
siano migliorate con gli «amici italiani». «L’anno scorso siamo arrivati ad
avere anche 300 detenuti, ma non avevamo dottore, né gas per cucinare, né
acqua a sufficienza». Oggi il governo provvisorio paga tre pasti al giorno
per i detenuti, medici e avvocati. C’è dell’altro. Il capo di Stato
maggiore dei carabinieri, Giorgio Giaimo, spiega che il controllo italiano
può solo cercare di spingere la polizia al rispetto delle loro stesse
procedure. «Verifichiamo che gli arrestati siano stati sentiti da un
giudice, siano stati interrogati in presenza di un avvocato e, ovviamente,
non siano stati percossi. Dai controlli a campione fatti sono fiducioso che
queste regole siano sempre più rispettate». Nel recente passato non è stato
così. Il 7 febbraio due detenuti vennero uccisi dai secondini.
Probabilmente una vendetta tra militanti di partiti diversi. L’unico a
pagare fino ad oggi è stato il capo della polizia, il colonnello Hasan, che
ha perso il posto. Gli assassini sono probabilmente ancora in servizio.
Forse proprio qui, con le chiavi in mano. In questi mesi le segnalazioni
fatte dai militari dell’Arma degli abusi compiuti dalle guardie sono state
continue e numerose, ma il nostro comando non ha il potere di rimuovere il
personale iracheno denunciato. «Stiamo per espellere una quarantina di
agenti che i carabinieri hanno scoperto essere corrotti e violenti» spiega
la governatrice italiana Contini. L’ok però deve venire da Bagdad, dal
governo del proconsole Usa Paul Bremer, ma si fa aspettare da mesi. Gli
italiani in sostanza hanno la responsabilità, ma non l’autorità e tutto, in
ultima analisi, dipende dagli americani. ...Mohamed Feisal ha il grado di
capitano e la faccia tosta di ammettere che «quando c’era ancora Saddam ho
torturato anch’io dei prigionieri». La ristrutturazione è costata al
governo Bremer la bellezza di 400 mila dollari. Difficile capire dove siano
finiti.

Il Barbiere della Sera: "Il problema è che la guerra preventiva dei neocon
americani si distingue dalle guerre consuete perché è concepita per portare
il bene (i valori della democrazia liberale) e dunque è essa stessa “il
bene”, se mai guerra benefica vi fu. E’ per questo che anche le torture
inflitte ai prigionieri iracheni nelle carceri gestite dagli americani e
dagli inglesi sono ancor più inaccettabili...Nemmeno ai criminali di guerra
nazisti risulta che nessuno abbia attaccato un cavo elettrico ai testicoli.
A Norimberga ci fu un processo pubblico, un processo celebrato dai
vincitori, ma pur sempre un processo che serviva a mostrare al mondo la
verità del nazifascismo, dei suoi orrori e dei suoi campi di sterminio.E’
la verità che è mancata troppo a lungo in questa guerra. E ora che forse
sta per emergere, chi la guerra l’ha voluta e sostenuta, come chi ci
governa, ne è atterrito."