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Il Pentagono cerca la svolta militare

Publie le venerdì 13 agosto 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Daniele Zaccaria

La battaglia più dura di al-Sadr, l’outsider ribelle

di Daniele Zaccaria

Secondo molti esperti d’oltreoceano la battaglia di Najaf potrebbe rappresentare una «svolta» nel conflitto che dilania l’Iraq occupato. Al Pentagono c’è chi parla persino di «attacco finale», sintetizzando in poche sillabe l’obbiettivo conclamato dell’operazione. Per l’intensità dell’offensiva militare e per il suo significato simbolico, con la violazione dei luoghi sacri degli sciiti iracheni in una città che «rappresenta la Mecca e il Vaticano messe assieme», l’incursione dei marines ha per molti civili il volto minaccioso della guerra santa. Quasi a corroborare la retorica dei comunicati di al-Qaeda, dove gli occupanti occidentali vangono definiti semplicemente dei «crociati».

Le cronache della giornata di ieri, una delle più sanguinose dall’inizio dell’occupazione, confermano in effetti la brusca accelerazione impressa dal comando statunitense: non solo a Najaf, ma anche nella capitale dove i cacciabombardieri hanno lavorato a pieno regime sopra i cieli dei quartieri sciiti. L’esercito, impegnato da giorni in violenti scontri con le indomite milizie dell’imam Moqtada al-Sadr è seriamente intenzionato a marcare un ulteriore punto a suo favore nell’escalation militare, ma soprattutto ad assestare un colpo decisivo all’insurrezione guidata dell’outsider ribelle. Per questo sono andati a combattere nel suo giardino di casa. Sadr non era lì ad attenderli, ma asserragliato nel mausoleo di Alì, la roccaforte militare e religiosa dei suoi fedeli. Per il momento i mezzi pesanti americani sembrano voler risparmiare l’edificio religioso, magari per timore di attizzare una rivolta di popolo.

Tuttavia. Gli esiti della battaglia di Najaf sembrano scontati, considerando la disparità di forze in campo: i miliziani si difendono impiegando mortai e lanciagranate Rpg, si sparpagliano a gruppi di cinque dieci individui armati di mitragliatrici leggere, ingaggiandosi in scontri mordi e fuggi con le avanguardie dei marines. Molti di loro hanno imparato da pochi mesi ad usare armi in ogni caso molto più obsolete di quelle impiegate dai robocop Usa. I soldati statunitensi dal canto loro, oltre ad essere equipaggiati dei più raffinati ritrovati bellici, sono supportati dai cannoni dei mezzi blindati che "bonificano" il terreno prima degli scontri ravvicinati. Una scelta obbligata dopo la funesta spedizione in Somalia di dieci anni fa, quando le jeep dell’"Us army" cadevano con facilità irrisoria nelle imboscate dei guerriglieri del generale Aidid. Poi ci sono gli elicotteri che svolgono il doppio compito di attaccare le postazioni nemiche e di fare la spola tra la prima linea e le retroguardie. Infine agiscono le bombe radiocomandate degli aerei da combattimento capaci di colpire il "nemico" con precisione millimetrica. Per non parlare delle battaglie notturne, le preferite dai marines, i quali possono avvalersi dei sofisticati visori a raggi infrarossi e come fa notare il quotidiano francese Le Figaro «sfruttano una tattica paragonabile a quella dell’esercito israeliano nelle sue incursioni a Gaza e in Cisgiordania».

Di fronte a tanta geometrica potenza i militanti della brigata "mhedi" possono opporre solo una resistenza coraggiosa e una maggiore conoscenza dei sobborghi di Najaf. Il teatro principale degli scontri è l’immenso cimitero cittadino, che con le sue due milioni di lapidi è una delle più grandi necropoli di tutto il mondo musulmano, ma anche un intricato dedalo di cripte e catacombe dove i guerriglieri possono trovare preziosi anfratti e nascondigli. E continuare a resistere per giorni interi: «Combatteremo fino all’ultima goccia di sangue» esclamano i seguaci di Sadr, ripetendo il grido di battaglia del loro leader.

L’unico problema che i graduati statunitensi potrebbero sottovalutare, sono le conseguenze politiche dell’attacco. Sadr non gode certo di grande simpatie nelle gererchie dello sciismo iracheno, ma l’aggressione americana e la sua difesa ad oltranza dei simboli dell’islam potrebbero fargli guadagnare popolarità negli strati più poveri della società, i maggiormente vessati dall’occupazione alleata. Per questo in molti a Washington vorrebbero ucciderlo prima che sia troppo tardi.

http://www.liberazione.it/giornale/040813/LB12D6BA.asp