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E il marine denunciò il Pentagono

Publie le venerdì 20 agosto 2004 par Open-Publishing

Guerre-Conflitti Daniele Zaccaria

di Daniele Zaccaria

Un riservista cita a giudizio Donald Rumsfeld: «Ha prolungato illegalmente la missione irachena». In 40mila nella stessa situazione
Dopo i reportage dei principali quotidiani statunitensi, i quali hanno radiografato con dovizia di particolari la rabbia e la frustrazione delle truppe impegnate nel fronte iracheno, un’altra tegola si è abbattuta sul bellicoso Donald Rumsfeld. Un anonimo riservista ha infatti denunciato il capo del Pentagono e alcuni alti responsabili della Difesa Usa per averlo costretto a prolungare la sua missione nel paese arabo oltre la durata ufficiale del contratto d’ingaggio.

Un abuso in piena regola che le autorità giustificano invocando la «legislazione di emergenza» che scandisce la vita degli Stati Uniti (dentro e fuori i confini nazionali) dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, ma che il coraggioso marine non intende affatto accettare. «La giustificazione emergenziale non ha più alcun senso, poiché il regime iracheno di Saddam Hussein è stato rovesciato e l’Iraq non costituisce più una minaccia terrorista per gli Usa. Si tratta di un atto che viola le liberta della nostra Costituzione», dichiara il suo avvocato in conferenza stampa. Lo scontro si annuncia duro, visto che i vertici dell’"Us army" hanno fatto sapere che non sono tenuti ad avvertire i loro soldati di eventuali modifiche alle missioni di guerra. Flessibilità assoluta quindi, per venire incontro alle multiformi esigenze della guerra infinita, un conflitto "postfordista", che per sua stessa natura è in continua evoluzione e richiede una disponibilità pressoché totale da parte dei suoi manovali. Che gli piaccia o no.

Attualmente il soldato si trova in una base militare della California in attesa di uno stage a Fort Bliss in Texas per poi riguadagnare tra qualche settimana i deserti del Golfo persico. Il riservista, padre di due bambine di sei e due anni, è stato identificato dal suo legale con l’appellativo di "John Doe", il nome che oltreoceano viene affibiato al cittadino qualunque o ai cadaveri senza identità che giacciono alla morgue. Una protezione comprensibile, quella dell’anonimato, considerando le furibonde campagne denigratorie montate dai falchi repubblicani contro chi ha osato mettere in discussione l’autorità dell’esercito.

La documentazione ricevuta dal ministero della giustizia indica che si tratta di un militare «con molta esperienza», che ha prestato servizio per nove anni nell’esercito di terra, in Somalia all’inizio degli anni ’90 e successivamente nello scenario mediorientale. L’ultima destinazione è stata l’Iraq, per una missione che ufficialmente doveva terminare il prossimo 21 dicembre. Nel mese di luglio però è arrivata la cattiva notizia: il riservista deve trascorrere altri 24 mesi nel calderone della guerra.

Se il "Gi" Doe dovessere ottenere soddisfazione, per il Pentagono si aprirebbero prospettive assai allarmanti: sono infatti circa 40mila i soldati americani che hanno subito lo stesso ingrato trattamento, obbligati dal governo a protrarre la propria permanenza nell’inferno iracheno, alla faccia dei contratti e delle regole d’ingaggio. L’eventuale vittoria giudiziaria, come si dice in gergo, farebbe "giurisprudenza", spingendo migliaia di soldati a denunciare i propri datori di lavoro.

http://www.liberazione.it/giornale/040819/LB12D6B3.asp