Home > GUERRA GLOBALE PERMANENTE

GUERRA GLOBALE PERMANENTE

Publie le lunedì 7 febbraio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti USA Lucio Garofalo

di Lucio Garofalo

La dottrina strategico-politica di Bush potrebbe riassumersi, almeno per quel che riguarda la sua versione ufficiale, nel seguente schema di ragionamento: esportare ed imporre, con la violenza delle armi, la cosiddetta “democrazia”-ossia il modello U.S.A. di democrazia- in tutto il pianeta, soprattutto laddove è più conveniente, come nell’area del Golfo Persico, tra i Paesi più ricchi di petrolio e di altre preziose materie prime che scarseggiano sempre più e dunque costano sempre più.

Non dobbiamo dimenticare che il Golfo Persico, esattamente la Mesopotamia - l’attuale Iraq - fu, in tempi remoti, la culla delle prime, più evolute civiltà umane come i Sumeri, i Babilonesi, poi assoggettati dagli Assiri ecc. La rozza dottrina della White House di Washington, espressa da alcune avanguardie ideologiche neoconservatrici, pretende di imporre la “civiltà moderna” (retta su un assetto imperiale dell’economia capitalistica in fase di espansione su scala planetaria, un assetto guidato dai vertici dell’establishment militare-industriale nordamericano) a popoli che conoscono la civiltà più autentica dall’epoca più antica della storia del genere umano!

Secondo la teoria dell’amministrazione yankee, in Medio Oriente non può esserci “pace” o “stabilità”, senza un cambio di regime in Iraq, in Iran, in Siria, che sono tre micro-potenze regionali, i cui governanti, sgraditi all’Occidente perché avversi alla “democrazia occidentale”, impedirebbero un’equa soluzione del conflitto arabo-israeliano, precisamente della questione palestinese, che rappresenta il nodo centrale di tutte le vertenze e le controversie mediorientali - ciò è l’unico elemento di verità contenuto nella tesi nordamericana! Da tali premesse teorico-politiche, formulate dall’amministrazione Bush, si deduce che nel prossimo futuro, la presunta “democrazia” made in U.S.A. dovrebbe essere imposta, ovviamente con la forza bellica, ossia con un violento rovesciamento dei regimi in carica, in Iran e in Siria...e poi?

L’esportazione della “democrazia” sarà dunque imposta dappertutto, esattamente laddove converrà agli interessi imperiali ed espansionistici dell’economia del dollaro, inaugurando un lungo ciclo di guerre di rapina, o meglio un ciclo di “globocolonizzazione” del pianeta da parte dello strapotere che fa capo al regime yankee, protettore dell’economia di Wall Street, delle multinazionali, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e via discorrendo.
Ma vediamo in breve come funziona il sistema, tanto decantato, della “democrazia” degli U.S.A.

Mi pare che nella “società democratica” più antica e potente del mondo, il potere politico sia concentrato esclusivamente nelle mani di un’oligarchia elitaria di professionisti e carrieristi dello Stato, mentre i “cittadini-sudditi” possono esercitare solo un “diritto-dovere” di voto.

In effetti, nella realtà statunitense appena il 40 % della popolazione mette davvero in pratica quel “diritto-dovere”; invece il restante 60 % diserta regolarmente, puntualmente, le urne elettorali.
Sfido chiunque a confutare tali dati! Invito chiunque a smentire il fatto che alle ultime elezioni presidenziali nordamericane, Bush junior è stato eletto solo con il 20 % dei consensi!

Pertanto la “democrazia” made in U.S.A. esclude dalla partecipazione politica concreta - ma anche dalla partecipazione di tipo semplicemente politico-formale ed elettorale - oltre il 60 % della popolazione statunitense. Infatti milioni di negri, di ispanici, di cinesi e di altre “minoranze etniche” - che insieme formano la stragrande maggioranza del popolo nordamericano -, si astengono in maniera cronica e sistematica, dall’esercizio e dalla pratica del voto, perché non si sentono politicamente rappresentati, per cui sono estromessi dal sistema politico, sono di fatto emarginati dalla “vita democratica” del Paese, nella misura in cui i diritti e le libertà democratiche sono in pratica negati alla cospicua maggioranza dei “cittadini” statunitensi. Invece di imporla, o proporla, agli altri popoli della Terra, mi pare che i governanti di Washington dovrebbero preoccuparsi di estendere, in modo concreto, la civiltà democratica più autentica, lo stato di diritto, le libertà costituzionali, sancite solo formalmente, a tutti i “cittadini” ai quali quei diritti e quelle libertà di carattere democratico, sono attualmente negati - e sfido chiunque a contestare tali affermazioni! Purtroppo i “maestri” e i “campioni” - come Bush & soci - di questa ipocrita e perversa “democrazia”, pretendono di imporla all’intero pianeta con il ricorso sistematico alla guerra, al fine di espandere e rafforzare l’organizzazione di un “involucro protettivo”dell’Impero economico-monetario globale che fa capo al dollaro statunitense.

Dall’11 settembre 2001, giorno dell’orribile attentato compiuto contro le Twin Towers di New York, nel cuore dell’Impero globale, si è sempre più evidenziato un dato certo ed inoppugnabile, una verità che, per quanto possa apparire cinica ed amara, è assolutamente inconfutabile.

Come gli avvenimenti immediatamente successivi hanno dimostrato ed in seguito anche gli eventi a noi più prossimi hanno confermato, quell’efferato crimine perpetrato contro l’umanità, quell’abominevole eccidio di massa - tanto per chiarire la mia opinione -, ha fornito l’occasione più propizia per produrre nuove, immense “fortune” economiche e politiche sulla scena planetaria.

Molto probabilmente, come si venne a sapere da attente indagini sui movimenti finanziari condotti nei giorni immediatamente precedenti al massacro contro il popolo statunitense (non contro il capitalismo nordamericano e mondiale, come si è voluto supporre ), il risvolto economico relativo alla formazione di ingenti profitti finanziari accumulatisi nelle settimane e nei mesi successivi all’attentato, suffraga un’ipotesi solo in apparenza folle o parossistica, secondo cui l’azione stragista non sia stata motivata da alcun intento di natura politico-ideologica, né da sentimenti etico-religiosi di ispirazione islamico-integralista, ma esclusivamente da ignobili finalità di segno affaristico.

Immagino che tali affermazioni possano suscitare reazioni di sdegno e scandalo tra i lettori, nella misura in cui rivelano una raccapricciante realtà, quella di un sistema economico rapace e criminale, articolato ed esteso su scala globale, un mostruoso apparato capitalistico-finanziario costruito su metodi scientifici di sfruttamento, di rapina e di estorsione, attuati a livello planetario.

Questo “nuovo ordine mondiale” permette a speculatori totalmente privi di scrupoli, di approfittare anche e soprattutto dei più atroci delitti e delle peggiori nefandezze - come l’attentato commesso a New York nel settembre 2001 -, per accumulare colossali “fortune” economiche, per rimpinguare i proventi capitalistici di pochi, potentissimi detentori delle ricchezze mondiali, depositari del dominio sull’economia imperiale planetaria, e perciò padroni del destino di tutti i popoli della Terra, un pianeta abitato da oltre sei miliardi di esseri umani, i due terzi dei quali vivono molto al di sotto della soglia della povertà, in particolare quasi due miliardi di individui si trovano al limite estremo della povertà, sopravvivendo a stento con meno di un euro al giorno!

Tale assetto del potere economico-politico strutturato su scala globale, favorisce quindi una crescente concentrazione delle ricchezze, nonché del controllo e delle decisioni politiche internazionali, nelle mani di minoranze sempre più ristrette, sempre più avide e corrotte, sempre più criminali e prepotenti, capaci di estorcere con la violenza, più o meno legale - vedi il caso Iraq -, le risorse materiali ed umane appartenenti ai popoli della Terra, ossia a miliardi di persone, e capaci di sottrarre, con l’inganno e l’astuzia, i risparmi di milioni e milioni di piccoli investitori e di semplici lavoratori in tutto il mondo, condannandoli alla fame ed alla miseria!

In altri termini, questo “ nuovo ordine globale” è costruito in modo tale da accrescere nel tempo le già gravissime sperequazioni e disuguaglianze sociali e materiali oggi esistenti, approfondendo il divario a forbice tra ricche minoranze sempre più ricche e potenti, da un lato, e dall’altro masse sempre più estese di poveri, destinate ad impoverirsi e disumanizzarsi sempre di più.

Con l’avvento della cosiddetta “globalizzazione economica”, ossia con l’ascesa e l’espansione a livello mondiale del mercato capitalistico, si è storicamente determinato un metodo di distribuzione delle ricchezze planetarie sempre più iniquo, irrazionale ed intollerabile per la stragrande maggioranza delle donne e degli uomini della Terra, con conseguenze e costi inimmaginabili per l’equilibrio e la distensione mondiali, vista anche la tendenza demografica di natura esplosiva e destabilizzante che si registra nella realtà abnorme di continenti come l’Africa e l’Asia.

Sulla base del ragionamento fin qui sostenuto, si può senza dubbio asserire che con l’atto terroristico e criminale dell’11 settembre 2001, non abbiano nulla a che spartire, né la causa arabo-palestinese, né le rivendicazioni dei diseredati della Terra, né il fondamentalismo religioso di matrice islamica, né l’antiamericanismo ideologico, né altre ragioni che sono senz’altro più nobili, bensì soltanto il folle e spietato cinismo degli affari, l’arroganza e la perversione di un sistema economico privo di moralità e di ideali, l’avidità e la voracità di un capitalismo mondiale scevro di umanità e sprovvisto di un minimo di razionalità etica, mosso esclusivamente da una logica ferrea e feroce costituita dalle ragioni del profitto e del business finanziario.

Si pensi, ad esempio, alla guerra in Iraq e alle sue cause, siano esse ipotetiche, reali o dichiarate.

In quella tragica vicenda, la principale “colpa” di Saddam Hussein non è stata tanto quella di essere un dittatore feroce e sanguinario, come veniva sbandierato dalla propaganda bellicista anglo-americana e come in effetti egli è stato, bensì quella di aver convertito in euro, all’incirca due anni e mezzo fa, ingenti riserve statali di petrodollari, un “reato” assolutamente grave ed imperdonabile per i padroni ( pochi ) e per i servi (tantissimi ) dell’Impero monetario del dollaro statunitense, il cui primato, quando viene meno la spinta motrice dell’economia e della politica, viene sorretto e rilanciato da una devastante forza militare!

Inoltre, non sono da sottovalutare le ragioni connesse al controllo e al possesso delle risorse petrolifere e di altre preziose materie prime di cui l’Iraq è uno dei principali paesi produttori, nonché l’enorme importanza che l’Iraq riveste per la sua centralità territoriale in un’area strategicamente essenziale come quella del Golfo Persico, tra il Medio Oriente e l’Asia centro-orientale. Per molti anni il regime tirannico di Saddam ha costituito un fedele bastione dell’occidente a presidio di un’area che nel lontano 1979 fu destabilizzata dalla rivoluzione khomeinista, esercitando un ruolo funzionale agli obiettivi economico-politici nordamericani.

Infatti, non si può fingere di non sapere che Saddam è stato il principale alleato degli interessi imperiali statunitensi ed un ottimo socio in affari della Casa Bianca, visto che è più facile stringere patti scellerati e stipulare intese economico-politiche di un certo tipo, ossia poco pulite e poco lecite, con i regimi dittatoriali anziché con governi più democratici.

Purtroppo per Saddam Hussein, quell’amicizia e quel sodalizio sono definitivamente crollati allorquando il famigerato dittatore ha firmato un accordo per la fornitura di greggio iracheno - che, non dimentichiamolo, è il meno caro del mondo, se si pensa che un litro di benzina in Iraq costa appena 10 lire! - a favore della Francia, della Russia e della Cina, e dall’intesa sono rimasti esclusi proprio gli U.S.A., i quali si sono prontamente vendicati, da “padroni del mondo” come essi si proclamano e come pretendono di essere considerati!

In effetti, proprio dal momento in cui il primato economico-militare nordamericano si è imposto rapidamente su scala planetaria, grazie soprattutto al crollo del muro di Berlino e del Patto di Varsavia, incentrato sul predominio sovietico, ovvero dal 1989 in poi, la crescente preponderanza dell’economia sulla politica e sulle altre dimensioni della vita sociale degli uomini, ha convinto gli stessi fautori e teorici della “globalizzazione” ad impossessarsi degli strumenti di analisi e di indagine scientifica che erano propri del pensiero marxista, allo scopo di comprendere e controllare meglio i processi e le dinamiche, sempre più vaste e complesse, di un’economia di mercato che si espande e si afferma con velocità vertiginosa a livello globale.

Oggi, nessuna persona dotata di buon senso e di onestà intellettuale, può dunque negare l’ignominiosa evidenza di un mondo sempre più dominato da pochi operatori finanziari in grado di determinare, o quantomeno di condizionare, in maniera abietta e scellerata, le scelte politiche fondamentali per il destino dell’intera umanità.

Alla luce dei recenti atti terroristici (che purtroppo non hanno risparmiato i nostri connazionali) il periodo del dopoguerra in Iraq si sta rivelando molto più funesto e sanguinoso della fase propriamente bellica. Un conflitto che tanti osservatori avevano giudicato una trionfale “guerra-lampo”, ma ora reputano un’operazione disastrosa che rischia di evocare precedenti storici alquanto tragici e luttuosi (si pensi all’intervento militare in Vietnam). Ciò accredita la causa di quanti si sono opposti e si oppongono alla dottrina strategica nordamericana della cosiddetta “guerra globale permanente”, dal Papa all’intero movimento pacifista internazionale. E’ ormai facilmente intuibile che la principale ragione per cui l’amministrazione Bush si ostina a presidiare il territorio iracheno, a preservare in particolare i pozzi di petrolio, è appunto la necessità strutturale, per le economie neocapitaliste, specialmente per le oil-company dell’Impero globale made in U.S.A., di controllare le risorse petrolifere e le altre preziose materie prime di cui è assai ricca l’area del Golfo Persico.

Se si pensa, ad esempio, che un litro di benzina in Iraq costa appena 10 lire, mentre in Italia costa oltre 2000 lire, quantomeno 200 volte in più, si desume il motivo che induce il governo nordamericano a stabilizzare le sue truppe in territorio iracheno. In tal senso, se è vero che il popolo iracheno viene brutalmente espropriato delle ingenti ricchezze naturali della propria terra, è altresì vero che i popoli occidentali, esattamente le masse dei consumatori di benzina e degli altri derivati del petrolio, subiscono quotidianamente una gravissima frode, un’estorsione legalmente autorizzata, senza alcuna possibilità di tutela dei propri risparmi e dei propri diritti.

In altri termini, la politica guerrafondaia del governo Bush è dettata dalla necessità di appropriarsi con facilità del greggio iracheno, che è il meno caro del mondo ed è anche il più abbondante visto che molti giacimenti petroliferi iracheni non sono stati ancora sfruttati, mentre quelli dell’Arabia Saudita, ad esempio, stanno progressivamente ed inevitabilmente esaurendosi. Poiché gli Inglesi e gli Americani erano stati esclusi dal contratto di fornitura del greggio iracheno, quando era ancora in carica il regime genocida di Saddam che aveva deciso di privilegiare i Francesi, i Russi e i Cinesi (ecco spiegata la ragione dell’ostilità e della contrapposizione dei predetti Stati all’intervento armato in Iraq!), Bush e Blair hanno deciso di ricorrere alla forza bellica, confermando la validità della tesi del celebre generale von Clausevitz secondo cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. Tale verità è ulteriormente avvalorata dal fatto che il regime di Saddam è stato per tanti anni il principale baluardo militare degli interessi delle economie capitalistiche occidentali, contro la pericolosa insidia islamico-integralista rappresentata dal regime iraniano dopo l’avvento, nel 1979, della rivoluzione khomeinista.

Da quel momento in poi l’occidente capitalistico più sviluppato, con a capo gli U.S.A., hanno prima propiziato l’ascesa politica di Saddam Hussein, quindi hanno incessantemente finanziato, armato e sostenuto il suo regime filo-occidentale e laico, ma dispotico e criminale, con il quale gli uomini d’affari occidentali hanno siglato i migliori contratti economici, anche perché è più agevole accordarsi con i dittatori piuttosto che con governi più democratici che devono dar conto ai loro Parlamenti e ai loro popoli. Come tutti sanno, dal 1991 il “povero” Saddam è caduto in disgrazia, e la famiglia Bush - prima il padre e poi il figlio - ha intrapreso una vera e propria caccia all’uomo contro il sanguinario tiranno, ricordandosi improvvisamente del “sacro” valore dei diritti umani e delle libertà democratiche che sono più “sacre” se sono in prossimità dei pozzi petroliferi.

Forse sarà utile ribadire che lo stesso Saddam, molto prima della sua caduta, aveva deciso di convertire in euro le ingenti riserve statali di petrodollari. Tale scelta, per il governo yankee, ha costituito un reato di lesa maestà contro il primato del re dollaro, un crimine molto più esecrabile e riprovevole degli eccidi e delle stragi commesse contro Curdi e Sciiti. La scellerata ed infausta decisione è costata a Saddam Hussein e al suo regime, il tracollo a cui tutto il mondo ha assistito. Nondimeno, la fine di Saddam e del suo potere non sembra aver favorito la pace, né creato le condizioni più propizie per la conclusione delle ostilità militari in un Paese già troppo afflitto e martoriato. Al contrario, è ormai evidente una grave ed insidiosa situazione di guerriglia e di terrore, il cui focolaio rischia di divampare e di estendersi oltre l’Iraq, ovvero su scala planetaria, senza risparmiare l’autodeterminazione e la pace di nessun popolo presente sulla faccia della Terra.