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I tre passi di Rifondazione

Publie le domenica 6 marzo 2005 par Open-Publishing

Dazibao Partiti Partito della Rifondazione Comunista Parigi

Intervento. Prc, via le croste del socialismo reale, rifiuto della violenza e autogoverno. Una politica per i movimenti

de Pierluigi Sullo

Ha detto benissimo Nichi Vendola, venerdì mattina, dal palco del congresso di Rifondazione comunista, a Venezia: siamo tornati alle nostre radici, dove non ci sono mausolei. Il senso di quel che sta accadendo nel partito di Fausto Bertinotti, mi pare, è in questi tre passi.

Primo, cercare di rimuovere dalla chiglia della barca le incrostazioni del “socialismo reale”, cioè mettersi in condizione di navigare senza essere appesantiti da zavorre: il ripudio dello stalinismo, che parve a suo tempo pleonastico, aveva questo scopo.
Resta da vedere quanto dello scafo abbia finito per diventare parte stessa delle incrostazioni.

Infatti, secondo passo, Bertinotti ha aperto il libro degli incubi, in cui la “violenza rivoluzionaria” ricava la sua legittimità dalla violenza dell’”avversario”. Questo ha provocato nel Novecento fenomeni abietti come la polizia politica e i gulag, nella “patria del socialismo”, e vicende tragiche, quelle dei milioni di militanti che, battendosi per la liberazione, rimasero intrappolati nell’oppressione, quando non ne diventarono agenti. E questa subcultura della violenza ha impregnato di sé il linguaggio e il modo d’essere delle sinistre [tutte, quelle “riformiste” comprese], anche quando non si tratta di violenza armata. Una visione “militare” della società e del suo cambiamento.

La pace, dice Bertinotti, è “la rivoluzione del nostro tempo”. La polemica che estreme sinistre assortite hanno condotto negli ultimi due anni a proposito della non violenza ha il sapore acido di cibo scaduto.
Resta da vedere quanto, nel modo d’essere del partito, stia penetrando di questa “rivoluzione”, quanto a capacità di ascolto, di ricerca del consenso, di apertura alla società con la “curiosità” di cui parla Vendola.

Il terzo passo viene da sé, se la pace è la rivoluzione del nostro tempo. La violenza si esercitava per conquistare il potere. Che è, esso stesso, violenza, per quanto si cerchi di moderarlo. Perciò Bertinotti può affrontare la questione, un tempo capitale, del governo, con animo più leggero. Non è “lo sbocco che offriamo ai movimenti - ha detto - ma un passaggio”. Tradotto, significa che la società civile organizza il suo autogoverno, quindi è “lo sbocco politico” di se stessa. In questa costruzione, avere interlocutori aperti nelle istituzioni è, in certi momenti, utile, forse necessario, ma secondario. Di nuovo, la polemica dell’estrema sinistra contro il “governismo”, e il reclamare il “programma” prima dell’accordo con i “riformisti” e con Prodi, ha il senso iper-politico del pretendere che l’”avanguardia” conduca una trattativa sul programma [già dato, perché è il partito, la “sintesi”]; una trattativa del resto impossibile perché, dall’altra parte, è seduto il “nemico di classe”.

Resta da vedere quanto Rifondazione saprà mettere in pratica questa “sdrammatizzazione” del governo, come l’ha definita Marco Revelli, e non finirà impantanata nell’autismo della politica, che parla alla politica, preferibilmente attraverso la tv.

Ma c’è un rovescio del problema. Resta da vedere quanto il movimento saprà essere all’altezza della sua smisurata ambizione: un altro mondo, addirittura. Che si fa un pezzetto alla volta, un incontro alla volta, un conflitto alla volta, un varco aperto alla volta, una persona alla volta. A noi pare che sia stato il movimento, sia stato il suo messaggio basilare, appunto il ripudio della violenza e del potere, a cambiare - tra gli altri - Rifondazione comunista. Non sta avvenendo, come le estreme sinistre proclamano, l’opposto: la politica onnipotente che divora il movimento.

Perciò bisogna seriamente chiedersi se quel “passaggio” ci sembra utile, in questo momento, o no. La risposta di Carta, per quel che vale, è: proviamoci. Non siamo in un Risiko in cui piccole armate conquistano e perdono territori. Siamo in un’onda in cui le identità - culturali e politiche, generazionali e religiose - si incontrano e si mischiano, per tentare la miscela giusta, provvisoria e nuova, il cui risultato è l’autogoverno. Se c’è una evidenza che Rifondazione ancora non vede con precisione, ma moltissimi dei suoi sì, è che la provetta di questa miscela è il municipio, la comunità.

Ma, forse, quel che il movimento ha fatto, e ha da dire, dovrebbe essere comunicato più alto, e più chiaro. Non è Bertinotti a dire che la condizione di lavoratore precario è un crimine contro la società: lo dicono le reti dei precari, prima di tutto. Così per l’abolizione delle galere etniche per migranti, o per la messa in commercio della nostra cultura e della nostra acqua, e così via.

Noi ci stiamo provando, con il Cantiere sul programma che abbiamo avviato il 16 gennaio e che continuerà. Non diventerà una “fondazione”, almeno così noi pensiamo, perché c’è piuttosto bisogno di una rete, di un luogo che raccolga le esperienze locali, e le sappia mettere in relazione tra loro e comunicare, alla società e alla politica. Ma di questo stiamo discutendo, con i nostri amici di Aprile, di Alternative e delle molte altre riviste con cui abbiamo iniziato il lavoro.

Se i “riformisti” sono afoni, o ripetono il mantra del liberismo addomesticabile, come ha giustamente scritto sull’Unità Pietro Folena, e se le carte della politica del centrosinistra si stanno scompigliando al punto tale che candidato alla regione Puglia è Nichi Vendola, allora è il momento di dire chiaramente che tipo di paese il movimento vuole, perché un varco è aperto. Lo possiamo fare insieme a Rifondazione comunista, come con altre parti del centrosinistra, in un rapporto tra pari, reti sociali e politici, sindacalisti e associazioni, nuovi municipi e media indipendenti. Sarà difficile, ma vale la pena provare.

http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=3692&numero=214