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DON’T COME KNOCKING

Publie le mercoledì 15 giugno 2005 par Open-Publishing

Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda

di Enrico Campofreda

Cosa spinge Howard (Sam Shepard sì, quello dell’indimenticabile “Paris, Texas”) il cow-boy, il macho, lo sciupafemmine, l’attore di grido anche se ormai in disarmo ad abbandonare il set e viaggiare verso il Nevada ? Un po’ la nausea del vissuto, il senso della vita smarrito o mai avuto. Forse il rimpianto di ciò che per indole non sarebbe mai potuto essere. È con gli occhi d’un infantile sessantenne che Wenders si chiede se sia il caso di bussare alla porta del destino quando questo ha intrapreso percorsi che non si possono più controllare né tantomeno invertire o risultano sconosciuti come i figli che l’attore ha seminato sui set degli States.

Howard fugge dalle responsabilità d’un contratto che lo lega alla produzione dell’ennesimo film, ormai parodia della saga western incarnata per quarant’anni, e ripara a casa dell’anziana madre che lo ricordava poco più che ragazzo. Lei lo accoglie, constata che neanche il tempo e la fama gli hanno inculcato le buone maniere, lo informa che in qualche angolo della Frontiera ha abbandonato un figlio e una donna che anni addietro le comunicò l’evento. La notizia scuote Howard mentre da eterno bambino sta consumando il soggiorno fra casinò e videogame. Presa l’auto del padre defunto inizia un viaggio alla scoperta di quanto s’è lasciato alla spalle per vent’anni.

In un caffè di Butte - luogo sperduto che fu un tempo set cinematografico - rincontra Doreen, una vecchia fiamma ancora piacente (l’eterna sensuale Jessica Lange). È lei la donna che telefonò alle madre annunciandole la nascita di Earl, ora quel ragazzo suona il rock nello stesso locale di cui Doreen è diventata proprietaria.

Ci si può presentare davanti a un figlio ormai adulto affermando d’esserne lo sconosciuto padre? L’ingenuo e maldestro Howard ci prova ma comprende l’errore appena Earl, alla rivelazione, dà in escandescenze. Il giovane ha vissuto con la madre, ha dato fondo alle sue risorse, alle energie più intime espresse con la musica per rabberciare il vuoto paterno. È arrabbiato, vive male anche la relazione con la sua ragazza ma soprattutto rifiuta l’apparizione d’un genitore fuori tempo massimo e si scatena scaraventando per strada i mobili del suo appartamento.

Nella vita di Howard, che ormai mal sopporta la notorietà e vorrebbe celarsi quando vaga fra hotel e casinò, s’insinua un’altra presenza: Sky, un’angelica ragazza bionda che gira con un’urna fra le braccia, contenente le ceneri della madre scomparsa. Anche questa donna è finita nell’alcova dell’attore e Sky scopre d’essere figlia dello stralunato cow-boy capace di vivere per anni secondo i miti hollywoodiani che l’hanno portato sugli scudi.

Ora però tutto risulta difficile. Insoddisfatto e in fuga da quel mondo, consumato da alcol e droghe, Howard constata come la vita sia molto più complessa e dura di come possa apparire in un film e soprattutto non consente repliche: se i ciack si possono ripetere ciò che si fa negli anni rimane indelebile proprio come quei figli ritrovati.

Nonostante si sforzi l’egocentrico e narcisista Howard non sarà mai un genitore né esemplare né presente: Doreen gli ricorda che il suo nome fa rima con codardo e il mesto ritorno è ancor più pieno di fallimento e solitudine. Rintracciato da Sutter, un detective sguinzagliato dietro di lui dalle assicurazioni delle Major, il cow-boy è costretto a tornare sul set. Rientra nella propria prigione dorata con tanto di manette, lasciandosi alle spalle quell’intreccio paterno che l’atterrisce come l’emarginato pronto a rapinarlo e a bucargli a revolverate le gomme dell’auto.

Eppure il suo viaggio non è stato inutile: i fratellastri Earl e Sky si sono incontrati e proseguono il tragitto della vita affiancati sotto quel cielo turchese, con le nuvole in viaggio, gli abbagli luminosi, le atmosfere rarefatte, il country di sottofondo, fra l’ocra della sabbia del deserto sollevata da pneumatici o zoccoli di cavallo che piacciono tanto al più americano fra i tedeschi.

Inutile ribadire lo splendore d’immagini, i tagli di luce, la ricomposizione d’inquadrature e sequenze di cui Wenders è maestro. La pellicola potrebbe essere gustata solo per questo, invece c’è anche sangue nella storia dello stonato e malinconico stallone col cappellaccio perennemente in capo.
Non sarà la poesia di “Paris, Texas” ma è comprensibile: i capolavori per essere tali devono rimanere unici.

Regia: Wim Wenders.
Soggetto e sceneggiatura: Sam Shepard, Wim Wenders.
Direttore della fotografia: Franz Lustig.
Montaggio: Oli Weiss, Peter Przygodda.
Interpreti principali: Sam Shepard, Jessica Lange, Eva Marie Saint, Tim Roth, Gabriel Mann, Sarah Polley.
Produzione: Peter Schwartzkopff.
Origine: Germania / Francia, 2005.
Durata: 122 minuti.

Info Internet: Sito ufficiale.
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