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POTERE E RELIGIONE NELLA TRADIZIONE OCCIDENTALE

Publie le lunedì 11 luglio 2005 par Open-Publishing

Dazibao Religioni Stefano Ulliana

di STEFANO ULLIANA

L’articolo seguente cerca di porre in evidenza e di analizzare la distinzione e la contrapposizione fondamentale che si va operando attualmente in Italia e nel mondo fra due spazi di civiltà: lo spazio ed il tempo creato dall’amore per l’eguale libertà e lo spazio ed il tempo generato dall’amore per una eguale e totale subordinazione.

La divaricazione fra questi due opposti luoghi di civiltà pone infatti in luce quanto la prima posizione utilizzi quale proprio connaturato mezzo espressivo ed operativo la scelta deliberata e cosciente di un’apertura creativo-dialettica, capace di conservare nella propria inscindibilità i due criteri teorici e pratici della libertà e dell’eguaglianza; allo stesso tempo essa indicherà quanto e come la seconda posizione, cercando di occupare lo stesso luogo immaginativo e razionale, intenda costruire il monolite di una ragione passionale completamente identitaria, attraverso la coesione e la convergenza degli elementi simbolici e rituali.

Di fronte al presupposto teologico, politico e naturale che vuole dunque mantenere e conservare lo spirito e l’anelito di una natura unita alla ragione nel desiderio eguale ed amoroso di libertà, l’attuale formazione teo-conservatrice - italiana, europea e mondiale - desidera portare a compimento il proprio definitivo passaggio alla modernità, facendo coincidere l’immagine classica e tradizionale del Dio occidentale (la volontà onnipotente e giusta) con quella capace di giustificare una rinnovata volontà di egemonia e dominio sulle popolazioni e società che abitano le due rive dell’Oceano Atlantico.

Questa nuova immagine procede all’immedesimazione dell’umano con l’Identità assoluta, accostando il suo intelletto e la sua volontà per il tramite essenziale di un sentimento capace di esaltare ed adorare un nuovo idolo divino, a sua volta semplice strumento per la fondazione della propria parusia nel feticcio della Legge universale: la salvezza capitale dell’umano nell’interiorizzazione della necessità, della sofferenza e dell’alienazione. L’identità assoluta e le sue genti hanno infatti un Nemico mortale: l’Altro, nella forma denegata del diverso. L’Altro allora non è più l’ebraismo, o il mussulmanesimo - che possono essere ricondotti alla medesima sostanza patriarcale ed autoritaria - quanto piuttosto tutti quei mondi che rigettano quella idolatria occidentale, conservando le proprie credenze nella molteplicità del divino. In questo modo le/la religione cristiana occidentale - oggi una fusione fra lo spirito gregario del puritanesimo, la sua aggressività collettiva, e lo spirito gerarchico e feudale della cattolicità - diviene pieno e completo strumento dell’espansione verso e contro l’Oriente dell’Impero Economico Occidentale.

In possesso dell’egemonia e del dominio ideologico essa si fa serva del proprio padrone materiale, ritenendo di poterne rovesciare il primato antropologico. Quanto, infatti, la potenza immanente del profitto desunto dal capitale sembra essere materia dominante nel mondo della moderna relazione di sottrazione e di rapina (alienazione), altrettanto la forma classica di questa ritrova la necessità tradizionale della separazione e differenziazione (le idee e la materia prima). In questo modo la materia eccedente del profitto trova i propri nuovi taumaturghi e sacerdoti in figure investite nel contempo del potere religioso e di quello economico: una universale Opus Dei del Capitale e di Dio che cerca in tutti i modi di eliminare in modo preventivo la riapertura dello spazio e del tempo dell’eguale e amorosa creatività, del movimento che tiene l’infinito della libertà (Padre) e l’infinito dell’eguaglianza (Figlio) attraverso l’infinito dell’amore (Spirito).

Questa, che sembra essere il fine e la fine desiderata e necessaria - il fatale destino - della civiltà occidentale tradizionale, pare ritrovare nelle elaborazioni razionali che compone e combina attualmente la ripetizione ed il riflesso delle proprie lontane origini. Che cos’era infatti la separazione di un indifferenziato molteplice nella filosofia platonica, se non il tentativo (riuscito) di neutralizzare lo stato naturale produttivo dei filosofi presocratici, elevandolo al controllo ed al potere di oligarchiche potenze ideali, che lo avrebbero differenziato ed ordinato? Che cosa fu, poi, il richiamo di Aristotele alla non-separazione dell’Essere e dell’Uno, se non il tentativo (esso pure riuscito) di militarizzare l’intero cosmo naturale ed umano attraverso la determinazione attuale della potenza? Che cosa fu, successivamente, l’utilizzazione da parte del pensiero cristiano del combinato-disposto fra Platone ed Aristotele, nella filosofia prima di Plotino e poi di Agostino, se non la trasformazione dello Spirito libertario ed egualitario del cristianesimo - lo Spirito dell’Amore - nell’ordine della pace predisposta da un Signore del tutto imperiale, nel concetto e nella prassi?

Chiesa e potere terreno, se mai furono disgiunti nel periodo medievale, certamente si preoccuparono costantemente di controllare e reprimere - con il fuoco dell’annichilazione e con il sangue delle stragi o dei genocidi - ogni pur piccolo barlume naturale e razionale che rimettesse in aperto la vita del desiderio e dell’amore, la sua libertà e la sua ricerca di eguaglianza. Attenti alla crescita di un cuneo mortale all’interno del rapporto fra mondo e Dio - il profitto che si trasformava in capitale ed in moltiplicazione delle relazioni di movimento - Chiesa e Stato si accordano reciprocamente all’inizio della modernità, per organizzare le reciproca difesa e la doppia negazione dei propri nemici: i filosofi e gli scienziati ‘eterodossi’, i politici ‘ribelli e rivoluzionari’. Da Giordano Bruno e Galileo Galilei, sino a Karl Marx ed oltre: sino alla nostra stessa contemporaneità, nella quale rispunta con le apparenti stimmate di una crocifissione definitiva il rapporto fusionale di un duplice annichilimento orizzontale e la relazione verticale di una duplice ed alternata negazione.

Se la logica è la realtà e la realtà è la logica - vi ricordate la successione delle affermazioni: <>??? - quella ‘croce’ ha un grande, grandissimo, valore ermeneutico.
Esso, infatti, ci parla, da un lato del rapporto stesso d’amore e di desiderio che intercorre in una coppia di amanti (eterosessuali od omosessuali che siano), a seconda che questo rapporto abbia come fine e motore la reciproca distinzione ed il reciproco riconoscimento, oppure al contrario annichilendo entrambi gli estremi in un rapporto fusionale non intenda far valere la triangolazione inerte stabilita da un’identità astratta e separata, irreale e non vivente, codificante l’uno come attivo (maschio) e l’altro come passivo e ricevente (femmina). Dall’altro quel valore ci parla proprio di fede e di religione: se l’occhio e lo sguardo di Dio e su Dio non siano altro che l’idolo ed il feticcio dell’assoluto della potenza e del potere della sua legge, oppure se l’aperta libertà (il Padre) nella sua orribile apertura per la finitezza consaputa dell’umano non possa essere esaltata - e non solo mitigata - dall’amore ricercato e desiderato per la sua eguaglianza (lo Spirito del Figlio).

LA CROCEFISSIONE DELLA LIBERTÀ DEL DESIDERIO.

Il braccio orizzontale di quella ‘croce’, infatti, inchioda al rapporto di potere voluto e pensato da un’Identità superiore, che decide della reciproca annichilazione, dell’annichilazione della personale e vivente libertà del desiderio. La tradizionale funzione maschile - l’attività - deve qui incontrare la funzione femminile - la passività e la ricezione - quasi come si trattasse della ripetizione su scala individuale e personale del rapporto fra la forma e la materia aristoteliche. Questa funzionalizzazione al risultato procreativo naturale impedisce però che la parte maschile ritrovi in se stessa la ‘passività’, mentre all’opposto chiude l’accesso alla parte femminile ad una certa forma di ‘attività’. Quale ‘passività’ e quale ‘attività’ vengono neutralizzate e negate? Per il soggetto maschile viene negata la sensibilità e l’emozione, per quello femminile tutto ciò che tradizionalmente viene riferito alla potenza intellettuale: l’intento e la decisione, l’autodeterminazione. In questo modo il desiderio viene traslocato alla parte eminentemente femminile e ‘materiale’, mentre l’autodeterminazione materiale organica viene alienata e collocata nel luogo separato e superiore della potenza ‘maschile’ dell’intelletto: il luogo della decisione, della scelta e della determinazione autonoma.

A governare l’intero procedimento, l’intero processo, sta per l’appunto un’Identità che prima fa deporre e traslocare il principio del movimento - il desiderio - poi innalza ed aliena il traslocato una volta di più in ciò che deve essere padrone e controllore della vita sociale: l’assemblea degli ‘aristocratici’ della città, posta a difesa dei barbari, interni ed esterni, contro tutte le minacce portate all’unità dei gene superiori. Il possesso maschile del femminile - e, attraverso di questo, dell’intera congerie dei beni mobili ed immobili - è dunque mediato e garantito, nella concezione tradizionale classica, dal governo degli anziani possidenti, dall’assemblea deputata a regolare la vita economica, sociale e politica della città, attraverso il controllo e la reciproca regolazione dei passaggi ‘patrimoniali’ nobiliari. Ora, nel passaggio dall’età medievale a quella moderna e, da questa a quella contemporanea, non si assiste ad una modificazione essenziale di questa struttura, che perciò resta sullo sfondo a costituire la logica di edificazione della realtà comune. È pur vero che lungo il suo tragitto la civiltà materiale dell’Occidente ha attraversato la mobilitazione portata dall’accumulo e dalla moltiplicazione del capitale: è altrettanto vero, però, che questa mobilitazione viene ora sempre più racchiusa entro una concentrazione dei poteri classica, necessitata ad utilizzare ancora quella struttura e le sue forme di alienazione e negazione reciproca.

Bene. Quel reciproco annichilimento e questa reciproca negazione aprono finalmente il campo alla discussione sulla Legge (e sul suo Ordine implicito).

LA FEDE DENEGATA NELLA PROPRIA RAZIONALITÀ.

L’apparenza di quell’Identità sovrana avviene per il tramite immediato della Legge e del suo Ordine implicito. L’alienazione della potestà decisionale che le assemblee popolari della Grecia classica accettavano, nel momento in cui decidevano di istituire deputati al controllo contro le prevaricazioni nobiliari, accettando la mediazione della Legge, finiva fatalmente il suo cammino nella accettazione di una società divisa in classi, all’interno della quale il potere della Legge stessa non poteva non rinviare ad uno scopo separato, pregiudizialmente alienato: la reciproca e mutua negazione del diritto ad altro (rivoluzione). La reciproca e mutua negazione della libertà creativa e del suo ideale reale dialettico. La separatezza di questo scopo - fondamento di quella sovranità che è giunta sino a noi attraverso il concetto dello Stato - è ‘naturalmente’ proseguita lungo i secoli: dal potere dell’Imperatore medievale, garantito dalla luce ed illuminazione della grazia divina, al governatore degli stati moderni, sempre più soggetti a forme di espropriazione economica (secondo il dogma della libertà del mercato delle multinazionali). Così ora Legge ed Ordine implicito riscoprono la virtù della separatezza, l’utilità della costruzione di un mondo altro, superiore, luogo della totalità delle decisioni e delle determinazioni considerate legittime.

Ma quell’Identità sovrana trascina con sé anche la discussione intorno al Dio tradizionale, alla fede ed al valore necessario della norma morale. Qui si situa la discussione intorno all’altro braccio della croce precedentemente disegnata, quello verticale. Qui si situa il rapporto fra Dio, la fede, la credenza nella legge rivelata.
L’Identità assoluta è stata tradizionalmente il termine di riferimento indiscutibile per la storia della fede nel cristianesimo occidentale: essa veniva infatti indicata dalla teologia positiva come il fondamento di tutti gli attributi divini. Potenza ed atto soprannaturale, essa valeva come l’eterno dell’amore e del giudizio, della misericordia provvidenziale e dell’intervento, miracolistico, salvifico o punitivo. Nulla poteva mettere in questione questa interpretazione: così all’avvento della civiltà moderna pensatori quali Cartesio e Spinoza mantennero per Dio gli attributi del Pensiero e dell’Estensione.

Tramite di essi era possibile e necessario - dal punto di vista morale ed etico - addivenire alla composizione della determinazione essenziale per l’umano: abbandonare la credenza nell’apparire (sensibilità, natura, passione), per rifugiarsi in ciò che solo poteva garantire la salvezza, attraverso la grazia e le opere (la ragione corroborata dalla fede e dai suoi contenuti). Lungo l’intera età medievale la mediazione era stata irrobustita in continuazione da un’incessante divisione e stratificazione delle potenze: ora, invece, quel mondo ‘fantastico’ lascia il posto al nulla. Nemmeno gli attributi del pensiero e dell’estensione paiono essere più presenti, forse ad evitare il ‘pericolo’ del soggettivismo da un lato e quello dell’oggettivismo scientifico ateo dall’altro. Il rapporto con Dio pare essere lasciato alla semplice credenza sentimentale e alla formale e convinta adesione ai simboli della fede, nel loro contenuto dogmaticamente stabilito (sacramenti, crocifisso, gerarchie ecclesiastiche). Si è così giunti al paradosso di una fede in realtà vuota, perché sostituita dalla credenza e dalla partecipazione consensuale e collettiva alla scenografia del divino, alla messa in mostra dell’unità nella diversità.

La politica della determinazione leggera ora impone il semplice riferimento al fondamento ed alle sue caratteristiche essenziali, l’universalismo della Chiesa si mostra attraverso l’adesione incondizionata ed indiscussa dei fedeli. Scompare la ragione: o, almeno, scompare quella ragione che non è più necessaria, o addirittura ridiviene pericolosa, nel suo atteggiamento scettico ed illuministico, per il pericolo che essa riapra lo spazio infinito della relazione. Dunque, abbiamo una fede priva di ragione: insieme a questa scomparsa però non viene a mancare l’aspetto essenziale per il quale la ragione stessa è stata interpretata ed utilizzata, nella tradizione occidentale dominante, quella neoplatonico-aristotelica. Non viene a mancare la necessità del suo aspetto costrittivo, il suo valore di legge e di norma per la collettività ed il singolo. Anzi, legge e costrizione, necessità e vincolo, unità senza possibile alterazione e trasformazione, sono le caratteristiche fondamentali di un riavvicinamento: il riavvicinamento del potere laico e di quello della Chiesa stessa.
La stessa unità necessaria, lo stesso richiamo all’ordine assoluto, risuonano sotto traccia nelle affermazioni della struttura economica, sociale e politica mondiale così come nelle espressioni di un universalismo cattolico che pretende ancora di possedere la verità dell’unica salvezza.

Corpi ed anime mondiali così paiono vibrare secondo un’unica nota musicale, secondo una rassomiglianza ed una analogia essenziale. Grazie al sentimento di una eccitazione primitiva. Ridotta al grado di una tribù mondiale, l’umanità fatica a ritrovare quel senso e quella ragione che, effettivamente, possono costituire una valida soluzione ai problemi planetari, che paiono essere lasciati - sia nella loro stessa composizione ed analitica evidenza, che nella loro destinata soluzione - ad una ristretta ed ancora ‘aristocratica’ platea di intelletti e volontà, in una sorta di definitiva concretizzazione delle medievali gerarchie angeliche.

Possesso, controllo e dominio costituiscono in tal modo le coordinate del presente, passato e futuro del senso razionale dell’umanità contemporanea. A degna conclusione dei propri inizi la civiltà occidentale attua finalmente la propria completa realizzazione (il mondo unico della globalizzazione). I resti fumanti delle proprie continue trasformazioni restano, però, ancora appena fuori, in una prossimità ancora pericolosa. Come maceria, scarto o rifiuto, essi impongono ancora la violenza riottosa della materia. La sua irriducibilità.

CHAOS, ORCO E NOTTE.

Come ombra del divino Chaos, Orco e Notte trovano spazio e dimensione naturale e razionale in un’opera di Giordano Bruno, intitolata Lampas triginta statuarum (Wittenberg, 1587). Essi, infatti, devono svolgere la controparte ‘oscura’ della relazione trinitaria (Padre, Figlio e Spirito), permettendo a questa di riassumere un rinnovato valore ‘rivoluzionario’. Nella riflessione di Giordano Bruno, infatti, lo spirito che è nella materia - il desiderio naturale - si riflette e rovescia nella materia che è nello spirito - l’eguaglianza del Figlio al Padre - allargando con ciò uno spazio razionale all’interno del quale può comparire l’immagine e la figura universale e concreta dell’Amore, nella sua relazione doppiamente infinita (verticale ed orizzontale). È grazie a quest’apertura che la molteplicità naturale (Chaos) trova una sponda - senza riduzione od esclusione alcuna - nella molteplicità razionale (Notte), grazie ad una mediazione nello stesso tempo chiara ed oscura: lo Spirito e l’Orco.

Il testo bruniano è particolarmente difficile e complesso, ma la struttura fondamentale che pone in luce ed evidenza pare certamente poter rappresentare lo strumento essenziale per il ribaltamento e rovesciamento del presupposto teologico, politico e naturale tradizionale, vincolato alla semplice filiazione in linea diretta e deterministica del rapporto trinitario. Qui il concetto dell’Uno necessario e d’ordine - di derivazione neoplatonico-aristotelica - giunge nella propria applicazione sino alla nostra contemporaneità, magari grazie proprio alla ripresa e all’esaltazione strumentale della filosofia hegeliana in ambiente universitario ed accademico statunitense.

Con oculata ed opportuna capacità di visione la rinnovata concezione del mondo unico - appunto di derivazione premoderna - riesce a riprendere il sopravvento e l’egemonia dal punto di vista culturale riutilizzando tutta la linea tradizionale del rapporto trinitario che da Plotino ad Agostino, attraverso Scoto Eriugena e Tommaso, arriva sino ad Hegel ed agli hegeliani contemporanei (persino nelle figure degli stessi Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI). Questa concezione, prettamente imperiale, si fa ora strumento di cattivazione universale delle coscienze, prefigurando l’immagine di una razionalità di nuovo totalitaria e concentrazionaria.
Usando concetti ambigui dal punto di vista temporale - per la propria derivazione dall’ambito teoconservatore statunitense - quali ‘destino eterno’ ed ‘integralità dell’umano’, questa concezione entra in risonanza, appunto, con lo strumento di governo mondiale: la necessità assoluta del profitto capitale (con la sua universalità coattiva ed escludente).

E ad essere coartate verso posizioni reazionarie e conservatrici non sono solamente le teorizzazioni teologiche e politiche: persino i presupposti della conoscenza naturale vengono irrigiditi nella difesa di quella concezione lineare e deterministica che meglio garantisce, con la propria internità, la struttura tradizionale dell’Essere. Teorie e discipline nuove - come le teorie fisiche delle stringhe, o le logiche della paraconsistenza - vengono guardate con sospetto - se non nascostamente censurate - negli ambienti accademici ed universitari, proprio per la loro messa in discussione di tutti i caposaldi della concezione classica (punto, linea, corpo e spazio; movimento; principio d’identità e di non-contraddizione, terzo escluso).

Disattente - quando non apertamente contrarie - ai migliori progressi scientifici, civili e di pensiero, le strutture occidentali del potere laico e di quello religioso sembrano concentrate unicamente sulle modalità attraverso le quali tutte le determinazioni possano essere coordinate e organizzate univocamente.

DISTOPIA. L’UNIVOCITÀ DELL’ATTO E DELLA POTENZA IMPERIALI.

La credenza senza appartenenza dei cittadini europei (Silvio Ferrari, La Chiesa cattolica tra Ratzinger e Ruini. Religione civile o intransigenza: due strategie. In: http://www.chiesa.espressonline.it) si sta infatti rapidamente tramutando, ritrasformando - almeno nelle intenzioni pedagogiche della Chiesa Cattolica Romana - in una rinnovata partecipazione identitaria, sollecitata dalla comunicazione retorica dell’apparato organizzato della determinazione simbolica (ibidem). Se i miti ed i riti della religione cristiana non consentono più una presa normativa sull’insieme mobile delle popolazioni europee, i veicoli concreti della fede - i segni religiosi - riprendono per sé lo spazio delle coscienze ed i loro movimenti di riconoscimento (proprio ed altrui). In tal modo ciò che, in una decodificazione della superstizione latente, assume la caratteristica dell’idolo, conquista comunque la platea dell’orizzonte razionale (culturale in senso lato). La fede viene pertanto veicolata attraverso la restrizione di questi strumenti identitari. Ma viene, appunto, ristretta: conquista le coscienze, ma viene conquistata dall’idolatria. Dall’idolatria dell’univoco.

Allora verità, libertà e natura possono di nuovo essere poste in una successione che - dall’alto del cielo al basso terrestre - riesuma la tradizionale disposizione dell’Atto e della sua Potenza nella Rivelazione. Si costruisce lo spazio ed il tempo per un unico Linguaggio. E, in realtà, alla fine per un’unica Espressione. Effetto immediato di questa riduzione parossistica è la ripresentazione di quella normatività che sembrava essere andata perduta: la visione dogmatica elaborata nei secoli dalla Chiesa cattolica si presenta come fondamento necessario ed ineludibile, intangibile ed indiscutibile, dell’etica e della politica collettiva. Con ciò una teocrazia ancora più potente - ma anche maggiormente minata da crepe e difetti interni - compare sulla scena dei ‘destini’ politici e religiosi occidentali.

L’Uno indicato dalla religione si sovrappone e si smarca dall’Uno indicato dall’economia. La stessa moltiplicazione dell’offerta religiosa presente sul continente nord-americano (ibidem) avrà quindi una conclusione ‘fatale’ nella riduzione all’idolo che maggiormente rappresenta la vocazione imperiale statunitense: la partecipazione ‘azionaria’ vincente (ibidem). La riduzione sul continente europeo sarà invece avvantaggiata dalla composizione delle confessioni a costruzione maggiormente gerarchica, mentre più difficile sarà integrare le forme religiose più assembleari, che tenderanno invece a costituire la possibilità per la creazione di mondi diversi. Nello stesso tempo una vocazione neocalvinista e neopuritana permeerà di sé le antiche assemblee religiose cattoliche, mentre queste ultime potranno fornire alle prime, in via di espansione a livello mondiale, la conoscenza e l’esperienza delle proprie virtù mediative ed unitarie. Così globalmente nel mondo si formerà un ibrido fra le due prevalenti confessioni cristiane, attraverso un avvicinamento progressivo, che trasferirà le caratteristiche migliori e vincenti dall’una all’altra, quasi secondo una selezione darwiniana dei migliori atteggiamenti ‘religiosi’.

Visto che l’ambiente sarà quello economico, la determinazione socio-politica della religione sopravvivente dovrà dimostrare di essere quella maggiormente adatta alla vera ed autentica fede del profitto capitale: l’unicità del controllo e del dominio delle forze naturali ed umane. Questo principio (e non altri) muove la richiesta relativa alla codificazione costituzionale delle ‘radici cristiane dell’Europa’, proprio in quanto il richiamo all’identità culturale e civile tradizionale dell’Europa costituisce una riscrittura orwelliana del passato: essa infatti annichila nel passato tutte le posizioni differenti e contrarie, per espungerle soprattutto dalla possibilità di ripresentarsi nel futuro. Inoltre, proprio come nel passato tragico delle guerre e delle persecuzioni religiose, questo richiamo all’unicità della fede religiosa vorrà favorire il processo di integrazione sopra indicato, garantendo un nuovo supernazionalismo religioso quale motore della difesa della civiltà neoimperiale europea.

In particolare, proprio la Chiesa cattolica romana si sta facendo promotrice e portatrice di questo impulso all’unificazione aggressiva, intendendo vincere la gara per l’egemonia con le altre confessioni religiose del continente europeo. Prima nella disputa con l’ortodossia, poi con la riaffermazione dell’esclusività e del primato nell’opera di salvezza del proprio canone di verità (Dominus Jesus). La Chiesa cattolica romana sta partecipando a questa lotta mettendo in campo strumenti dottrinali apparentemente capaci di assorbire il campo delle confessioni contrapposte (anglicani, luterani, protestanti in genere): la razionalità della vocazione, il suo impiego immediatamente civile e collettivo, la stretta e forte forma identitaria sono strumenti attraverso i quali Papa Benedetto XVI cerca di conquistare, facendosi prima apparentemente conquistare da principi d’uso frequente presso i fedeli delle chiese protestanti.

Lo stesso orizzonte razionale della fede viene utilizzato per un richiamo all’evidenza - quasi aristotelico-cartesiana - della contraddizione che animerebbe la cultura di tradizione illuminista europea: il patente distogliersi dal fondamento dell’Uno nella sua necessaria e penetrativa organicità (ibidem). Le determinazioni necessarie interne a questa ramificazione progressiva razionale costituirebbero invece le unità valide per l’agire collettivo, nel rapporto interno ed esterno, nella trasformazione neocorporativa dell’economia e della società europea e nel combattimento previsto e preparato con l’Oriente ed il suo assolutismo (qui compare di nuovo l’uso dell’impostazione ed interpretazione hegeliana).

La Chiesa cattolica romana, perseguendo il proprio obiettivo egemonico in Europa, si forgerebbe dunque quale perfetto strumento ideologico dell’imperialismo occidentale, nella sua ‘fatale’ espansione verso la conquista dell’intero orizzonte planetario. Il richiamo alla volontà - quasi provvidenziale - di fare del cristianesimo la religione civile dell’Europa (ibidem) non ha dunque altro valore e funzione della preparazione e predisposizione di questo strumento ideologico, dell’essenziale e necessario richiamo all’unità delle genti europee (contro il nemico interno ed esterno). Libertà e democrazia, in questo contesto, non avranno allora altro senso e significato della conservazione - anche feroce - delle espressioni economico-sociali del capitale, con una progressiva militarizzazione del diritto borghese, verso stati di dittatura (dittatura del capitale) sempre più profondi ed accentuati.

La stessa unità del diritto, razionale e naturale, nei suoi beni della vita, libertà e felicità verrà piegata e spezzata, effettivamente capovolta, dalla difesa indiscussa della proprietà finanziaria mondiale, dalle sue necessità rese diritto esclusivo e dalle manifestazioni ad esse adeguate dell’agire individuale e collettivo (persuasione dei mezzi di comunicazione di massa). A questa fascistizzazione del diritto - l’autoaffermazione del corpo e della ragione sana - porterà il suo contributo teoretico e pratico il nuovo processo fusionale religioso, il processo dell’integrazione dottrinale mondiale. Avendo di mira questo obiettivo, la Chiesa cattolica romana sta rinnovando la propria offerta di stato etico, prima italiano, poi europeo ed infine mondiale. Una battaglia per la conquista mondiale dunque di grande impegno, accompagnata nelle sue diverse fasi espansive dalla nascita o dalla fortificazione di opportune organizzazioni economico-religiose e pedagogiche (Opus Dei, Comunione e Liberazione, Legionari di Cristo), capaci di innescare ed accompagnare lo sviluppo di quella conquista.

Il tocco, il tatto e l’impressione decisa degli interessi in sensolatoeconomici - la sicura salvezza dell’identità, attraverso il controllo del rapporto fra produzione e scopo - costituirà la stella polare e l’orizzonte di cielo di questi movimenti. Ben altro terreno, aperto e molteplice, proporrà invece la soluzione della fase conclusiva e definitiva della civiltà occidentale, quale apertura a relazioni di pace e giustizia nell’intero pianeta.

UTOPIA. LA PLURIVOCITÀ DEL CREATIVO E DIALETTICO.

Ben altro terreno, si diceva. Non è in realtà un terreno nuovo: esso era già presente nella cultura greca, prima delle riduzioni platonico-aristoteliche; ha attraversato l’età medievale e rinascimentale, spingendo da sotto con la propria forza eruttiva, ogni qualvolta il messaggio evangelico ritornava alle proprie origini egualitarie e libertarie; si è trasformato nei movimenti della nuova scienza e filosofia dell’epoca moderna; è stato travisato, quando questi movimenti hanno riadattato per loro stessi un ambiente naturale e razionale che li riaccostava alla tradizione neoplatonico-aristotelica; ha superato con difficoltà le proprie crisi contemporanee, quando ha cercato di abbandonare questo contesto; si ritrova oggi a dover riformulare una prospettiva filosofica forse completamente nuova, assolutamente rivoluzionaria. Questo terreno viene riesumato in tutta la sua straordinaria vitalità creativa e dialettica, dal cataclisma bruniano, dal presupposto teologico, politico e naturale proposto all’inizio della modernità dal filosofo di Nola Giordano Bruno.

Così di fronte alla crisi del positivismo scientifico della seconda metà del XIX secolo e del riflesso che pareva comportare per ogni prospetto di razionalità, l’infinito creativo e dialettico bruniano poteva essere portato in auge solamente dalle avanguardie culturali e politiche occidentali, prima della definitiva crisi indotta dalla modernità stessa tramite i due conflitti mondiali. Non ancora uscita dalla crisi indotta, la modernità post-bellica si è ritrovata a riproiettare di fronte e davanti a sé i due filoni della metafisica dell’oggettività e della soggettività, proprio attraverso ciò che occlude e decapita in anticipo la visione e la prassi del presupposto bruniano: la concezione dello Stato etico, nella sua versione socialista ed in quella liberale. Eguaglianza senza libertà e libertà con un’eguaglianza solamente formale combatterono allora fra loro per l’impossessamento totale e definitivo, per il dominio ed il controllo, del mondo unico di antica tradizione platonico-aristotelica. Facile fu, inevitabilmente, la vittoria del secondo contendente, dove almeno l’apparenza superiore della libertà, pur nella sua astrattezza e funzionalità, poteva ancora espletare la ragione di una completezza ed integralità per la libertà personale.

La vittoria di questo contendente doveva però portare in campo - come porta attualmente in campo - la ’virtù’ nascosta ed originaria della modernità: dare alla completezza ed integralità della libertà personale l’antico valore classico, feudale e di classe della separazione e della differenza. Far risorgere quell’antico prospetto neopitagorico-aristotelico, che Giordano Bruno aveva duramente sperimentato in terra inglese, per ribadire la necessità di un atto prioritario e di una potenza ad esso gerarchicamente subordinata. In questo contesto la riattualizzazione delle argomentazioni bruniane - in particolar modo quelle portate dalla Cabala del Cavallo pegaseo, con la loro carica ironica e beffarda nei confronti del progetto di costituzione ordinata del mondo - non possono non far ancora tremare di sdegno e di scandalo i nuovi esegeti e cultori del Nuovo Ordine mondiale, proprio per la ragione che esse riescono a far intravedere lo sviluppo di uno spirito mondiale ‘sovversivo’: un nuovo spirito dell’Anticristo, capace di rompere e dissolvere - come alter Christus - l’identificazione idolatrica fra religione e potere.

Ora pare giungere infatti a conclusione il sistema del mondo preparato lungo tutti i secoli della modernità stessa, necessariamente espungendo dalla storia e soprattutto dalla memoria - pericolosamente sempre ’artistica’, come aveva scoperto Bruno - tutte quelle anomalie o scarti diversivi e pericolosi che hanno sì apparentemente portato il sistema stesso a progredire, ma hanno nel contempo costituito - soprattutto per il tempo presente e futuro - un’occasione rivoluzionaria: a partire dalla Rivoluzione sovietica del 1917 e regredendo sino alla Rivoluzione francese del 1789-92/3, per giungere a ritroso appunto sino al giusnaturalismo del ‘600, la volontà intellettuale moderna ora egemone procede alla sradicazione, abrasione ed espulsione di qualsiasi spazio e tempo di vitale, libera ed eguale, comunanza e fratellanza, umana e naturale. Nel tempo della guerra infinita e preventiva, la civiltà occidentale è giunta finalmente - ed in modo apparentemente fatale - ad identificare l’infinito astratto della tradizione neoplatonico-aristotelica con la volontà di terrorizzare o distruggere ogni parvenza di movimento autonomo.

Nel mondo unico abitato dal principio capitalistico del profitto certo ed assicurato, necessario, la sola logica capace di mantenere e conservare in vita il sistema che di ciò si alimenta e prospera è la logica della sopraffazione preventiva, mentre l’unico strumento destinato a realizzarla si appalesa definitivamente come lo strumento delle armi e della distruzione selettiva (culturale, socio-economica, istituzionale ed infine, come extrema ratio, fisica e collettiva). Contraddizione ed opposizione vengono allora delegittimate nella propria reale fattualità, per essere assunte e neutralizzate entro una cornice predisposta ad attutirne gli urti, le pulsioni e, soprattutto, le dinamiche. Per questo la neutralizzazione preventiva ad opera del diritto iper-borghese internazionale non può non restringere in maniera sempre più asfissiante ogni spazio e tempo che, tenacemente, desiderino continuare ad essere abitati da una concezione vitale, libera ed eguale, della convivenza, umana e naturale.

Specchio riflesso di questa costituzione formale è, poi, la civiltà materiale che viene edificata e costantemente costruita, nell’intento di occupare tutti gli spazi dell’immaginazione: qui l’astratto ridiventa il motore di un costante e diuturno perseguimento simbolico. L’integro e l’integrale scavano un fossato ed una frattura, un vero e proprio ’Vallo di Adriano’, nei confronti delle nuove minacce e dei ’nuovi barbari’, stanziati ai confini dell’Impero, ma anche oramai penetrati nelle pieghe più periferiche del medesimo tessuto connettivo economico-sociale mondiale.
Di fronte a questa salvezza totalmente a rischio, innalzarsi a costituire una separazione ed una differenza ultima e definitiva non sarà allora che l’estremo rifugio prima dell’annichilazione. Così di fronte all’inclusione necessaria e necessitata - con la forza del terrore, se necessario - in questo mondo d’incubo, può restare solamente il richiamo al suono ed al canto, al sogno utopico ma tremendamente reale nella sua eventuale negazione, dell’attualizzazione del presupposto bruniano.

Quella attualizzazione che i movimenti culturali, teorici e pratici, nati alla metà degli anni ‘60 del secolo XX hanno già iniziato a compiere e che i successivi sviluppi delle filosofie o delle scienze umane e naturali hanno contribuito a far progredire. Considerazione e definizione dell’inconscio come insiemi infiniti (Matte Blanco), teoria delle stringhe (supersimmetria), filosofia e logica della paraconsistenza, matematiche della non-linearità e della complessità, teologie della liberazione e della partecipazione collettiva, movimenti ’altermondialisti’: tutte queste correnti intellettuali e pratiche possono ritrovare spazio e tempo d’agibilità entro il presupposto bruniano.

Natura ed Anima, nella loro interpretazione bruniana, paiono infatti poter slanciare finalmente un presupposto teologico, naturale e politico rovesciato ed opposto rispetto a quello della tradizione neoplatonico-aristotelica (la severiniana ’follia dell’Occidente’). Con un regresso ai pensatori presocratici ed una rivoluzione nel concetto di Spirito Giordano Bruno costituiva e costituisce tutt’ora una splendida occasione per una modernità diversa da quella che poi pare essersi effettivamente realizzata e sviluppata. Finalmente, in tutte le sue dilaceranti separazioni e contraddizioni esiziali. Un’occasione di modernità che però ora riappare, nella propria virtù e tensione risolutrice.

Così all’indagine teologica del problema spetta quella preminenza che potrà garantire - secondo lo stesso costume bruniano - frutti fecondi anche sul piano degli schemi culturali che siamo usi predisporre, per leggere ed interpretare sia la realtà che chiamiamo, generosamente, Natura sia quella che, affettuosamente, denominiamo con i termini di Anima e Ragione.
BREVI NOTE SULL’AUTORE.

Stefano Ulliana è nato a Udine (Friuli - Venezia Giulia, Italia) il 1 Agosto 1959.

Insegnante presso le scuole medie statali italiane, è saggista e autore di articoli particolarmente legati all’opera e al pensiero di Giordano Bruno.

Tra i suoi scritti:

Saggi e articoli.

Il concetto di Spirito in Giordano Bruno nel confronto con la tradizione neoplatonico-aristotelica. In: Filosofie nel Tempo. A cura di P. Salandini e R. Lolli.

Sotto la direzione di G. Penzo. Vol. II: dal XV al XVIII secolo. Roma, Spazio Tre, 2002. Pagg. 1255-1271.

La proposta teologica bruniana. In: <>, Rivista di Teologia. Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 49/4, 2002. Pagg. 493-518.

Volumi.

Il concetto creativo e dialettico dello Spirito nei Dialoghi Italiani di Giordano Bruno. Il confronto con la tradizione neoplatonico-aristotelica: il testo bruniano De l’Infinito, Universo e mondi. Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003.

Una modernità mancata. Giordano Bruno e la tradizione aristotelica. Roma, Armando Editore, 2004.

Giordano Bruno. Epistole Italiane. In corso di completamento. Milano, Ghibli, 2005.

Notizie complete su

www.geocities.com/ulliana59/index.html

Potere e religione nella tradizione occidentale