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15 agosto 2005, omaggio a Hugo Chávez e a Simón Bolívar

Publie le martedì 16 agosto 2005 par Open-Publishing

Dazibao Televisione America Latina Gennaro Carotenuto

di Gennaro Carotenuto

Poco fa mi ha chiamato un’amica carissima: "stanno parlando di Chávez alla Rai". "Non voglio sentire" le ho risposto brusco e con il dubbio di essere scortese, "non ho voglia oggi, 15 d’agosto del 2005, di sentire critiche squallide sul giuramento di Montesacro", quello con il quale, esattamente 200 anni fa, Simón Bolívir giurava di dedicare la sua vita alla causa della liberazione d’America. Non ho resistito, ovviamente. Non erano critiche squallide, disquisivano persone brave e che stimo molto, ma pur non lapidando squallidamente Chávez -come farebbe una "Repubblica" qualsiasi- non riuscivano a fare a meno di fare esercizio di realismo e di terzismo, finendo comunque per lapidare bonariamente il velleitario Chávez.

Li ascoltavo e mi ricordavano il "colonialismo invisibile" del Libro de los abrazos di Eduardo Galeano. Il grande uruguayo dice che il "colonialismo visibile" è quello che ti proibisce di dire, ti proibisce di fare, ti proibisce di essere. Ma dice che ancora più grave è il "colonialismo invisibile" che ti convince che la schiavitù è il tuo destino, che l’impotenza è la tua natura e che ti convince che non si può dire, non si può agire, non si può essere. [//]

Gli europei, i meno peggio di quegli europei che inventarono il colonialismo visibile, non riescono a non farsi colonizzare il cervello e a non concedere cambiali in bianco a chi pretende che non si dica distinto, che non si agisca distinto, che non si sia distinti, che è quello che Hugo Chávez sta dicendo, agendo, essendo dal 1998. Il metodo, le parole, le azioni, perfino l’aspetto fisico, ieri di Bolívar, di Martí, Sandino, Guevara, oggi di Hugo Chávez o Evo Morales e neanche a dirlo, Fidel Castro, repellono il colonizzato invisibile.

Va bene invece Ricardo Lagos, piacerà da morire tra pochi mesi Michelle Bachelet. Avrá un successo clamoroso e vedo e prevedo a fine d’anno lo scoppio di una vera Bacheletmania, quando in Cile avremo una donna presidente e socialista in totale continuità con la politica economica pinochetista voluta dal FMI. La ameranno sopratutto quegli stessi che da destra e da sinistra si accontentano di alcuni simboli -donna e socialista- ma disprezzarono sempre Salvador Allende e altri simboli, come quello del latte garantito ai bambini cileni, che aveva il difetto di essere una conquista concreta.
Piacerà tanto la Bachelet, come piace -ma si ingannano- Lula da Silva, che li ha tranquillizati con quel suo fare da zio Tom supino, ma che invece come Chávez per il Venezuela, sta costruendo un futuro da grande potenza per il Brasile.

Oggi, duecento anni fa, il ventiduenne Simón Bolívar, giurava a Roma di liberare l’America Latina dalla dominazione spagnola. Chissà cosa ne avrebbero scritto le "Repubblica", "El País", "Guardian", ma anche le "Liberazione", "Carta", "Manifesto" dell’epoca del giovane Bolívar. Avrebbero lapidato bonariamente il velleitarismo di quel giovane, avrebbero criticato l’impurità ideologica di quel creolo ignorante, che non poteva dire quello che diceva, non poteva fare quello che faceva, non poteva essere quello che invece fu proprio rispettando quel velleitario giuramento: il Liberatore d’America.

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