Home > PdCI: non a tutti piace la "bicicletta" di Diliberto

PdCI: non a tutti piace la "bicicletta" di Diliberto

Publie le venerdì 26 agosto 2005 par Open-Publishing
9 commenti

Dazibao Partiti

di Ok. Tober

Sulla base delle poche informazioni disponibili sul Comitato Centrale del PdCI tenuto nel luglio scorso emergono evidenti i problemi esistenti all’interno di questo partito. Non tutti, evidentemente, condividono la proposta di accordo elettorale con i Verdi per la prossime elezioni politiche. Accordo che riguarderà solo la quota proporzionale della Camera dei deputati, dato che per il Senato e per la parte maggioritaria della Camera ci sarà la presenza di tutta l’Unione.

Finora non ci risulta disponibile il dibattito del comitato centrale ma solo gli interventi di Diliberto e Cossutta. Inoltre lo statuto del Partito vieta a chi non condivide la politica del Segretario e del Presidente di far conoscere le proprie opinioni. Ma le divergenze ci sono.

Nelle sue conclusioni Diliberto ha attaccato personalmente il parmigiano Renato Albertini, presidente della Commissione Nazionale di Garanzia. Da parte sua, Albertini aveva chiesto una conferma della fiducia da parte di Cossutta e Diliberto. Alcune decisioni prese dalla Commissione non sono state gradite dal Segretario del PdCI. Ma Diliberto accusa Albertini di aver espresso delle critiche alla sua linea politica mentre in quanto Presidente della Commissione di Garanzia dovrebbe essere "super partes". (Viste le regole interne del PdCI che negano qualsiasi garanzia democratica ai militanti, l’unico che può permettersi di avanzare critiche senza correre eccessivi rischi può essere solo il Presidente della Commissione di Garanzia).

Denuncia Diliberto che c’è chi lo accusa di voler "decomunistizzare" il partito, di annacquarne l’identità per aver sostenuto la proposta della lista "bicicletta", già concordata con i leader dei Verdi Pecoraro Scanio e Cento.

La motivazione principale dell’accordo è data dall’esigenza dei due partiti di superare lo scoglio elettorale del 4%. Nelle scorse elezioni venne tentata la lista del triciclo tra SDI, Verdi e PdCI, ma l’operazione fallì. I Verdi si accordarono con lo SDI ma il risultato fu inferiore ai voti che i Verdi normalmente prendono da soli.

In proposito l’intervento di Cossutta è molto chiaro:

"Vi sono delle ragioni oggettive che spingono per una convergenza, perlomeno sul piano elettorale. Non sarebbe ancora la costruzione di quella che chiamiamo confederazione della sinistra, ma circa una comune lista elettorale vi è una spinta reale per cercare una intesa determinata dalla costrizione della legge elettorale, una legge che con lo sbarramento rischia di penalizzare brutalmente il nostro partito e quello dei Verdi. Vi sono delle difficoltà relative alla questione del simbolo. Dobbiamo lavorare con intelligenza per poter garantire la presenza del nostro simbolo sulla scheda assieme a quello dei Verdi e sotto l’insegna dell’arcobaleno. Vi sono state e vi sono delle obiezioni, delle preoccupazioni sulla questione della presentazione della lista arcobaleno."

Ma non è questo l’unico obbiettivo dichiarato dell’operazione, l’altro è quello di togliere voti a Rifondazione Comunista. Anche questo è detto chiaramente da Diliberto nelle sue conclusioni:

"La lista Arcobaleno può sottrarre voti a Rifondazione? Secondo me, sì, perché è un’idea che piace all’elettorato della sinistra."

Per le primarie dell’Unione del 16 ottobre, che Diliberto considera una "pagliacciata" è stato già deciso di votare Prodi, nonostante si presenti anche l’alleato Pecoraio Scanio. L’intenzione del PdCI è quello di ridurne il valore politico. In questo pesa anche una oggettiva difficoltà che il Segretario del PdCI è erso evidente, quello del programma:

"all’atto della presentazione delle primarie ciascun candidato deve predisporre non il programma, ma indicare alcuni punti programmatici, le priorità. Immagino che le priorità di Bertinotti saranno abbastanza simili alle nostre. Mentre non sappiamo quali saranno quelle di Prodi. Oggi il nostro cimento è dunque quello di portare Prodi a sostenere priorità che ci consentano di votarlo convintamente."

Le priorità programmatiche di Bertinotti saranno simili a quelle del PdCI, mentre di quelle di Prodi non sanno ancora nulla. Avendo deciso di votare comunque Prodi a prescindere, è evidente l’interesse politico a svalutare tutta l’operazione delle primarie.

Ci sono altri elementi che emergono dagli interventi di Diliberto e Cossutta che evidenziano il malessere sotterraneo esistente nel partito. Girano voci secondo cui Diliberto sarebbe andato in minoranza in Direzione, ci sarebbe un forte calo degli iscritti, e numerose fughe dal partito. Ci sono "beghe, litigi, trame". Sembra di capire che nelle realtà locale c’è che si richiama al Presidente Cossutta contro il Segretario.

D’altra parte che esista un correntismo occulto lo hanno rivelato le ultime elezioni europee dove i due candidati che dovevano essere eletti (Cossutta e Venier) sono stati bocciati in favore di Rizzo e Guidoni. La Direzione aveva poi deciso che Rizzo doveva dimettersi ma lui ha risposto picche e si è tenuto ben stretto la poltrona di parlamentare europeo.

Dai pochi elementi disponibili non è ancora chiaro se nel PdCI si aprirà uno scontro politico che metterà Cossutta contro il suo ultimo delfino Diliberto, riproducendo un copione già ripetutosi fin da tempi della corrente cossuttiana e poi in Rifondazione. Una differenza di toni fra i due massimi dirigenti del PdCI si intravede. E Diliberto, a cui non difetta una certa scaltrezza manovriera, ha dimostrato di poter passare da una posizione politica all’altra senza particolari scrupoli di coerenza. Basti citare un esempio. Oggi rincorre i movimenti e la cosiddetta lista dei professori di Firenze. Quando alle ultime comunali di Firenze quella lista si presentò unita a Rifondazione Comunista, Diliberto scese in città per dichiarare (citazione letterale dal comunicato ADN-Kronos): "Rifondazione sta con i professori, io sto con gli operai". Ora farebbe carte false per avere in lista un professore.

http://www.pablorosso.it/diliberto.htm

Messaggi

  • Bisogna prendere atto che in un paese dove c’è ancora una forte pregiudiziale anticomunista di stampo moderato, che ha spinto il PCI (cioè la sua ala moderata) a diventare DS, presentare Bertinotti come candidato del centro-sinistra (se dovesse vincere contro Prodi) è un mezzo passo falso. E i miei cari compagni del PdCI non hanno ancora capito che le basi di leggittimazione di vecchio stampo (come il Prc assorbì Democrazia Proletaria) non vanno più bene, bisogna cercare dialogo e bisogna scendere un po’ a compromessi e andare gradualmente, cedere qualcosa insomma. Comunque se non vuoi dare qualcosa la situazione non si sblocca, e poi questo sembra un passo per fare una sinistra più consistente (comunque il Prc prende circa il 6%, e non va bene restare dopo una decina d’anni ancora così) e dunque visibile. I Conflitti ci sono perché i miei compagni ragionano come quelli del Prc, e se a loro non vanno bene le scelte del Presidente e del Segretario, possono andarsene liberamente al Prc.Non è importante se ti allei coi Verdi o con l’SDI, ma tenere sempre il nucleo intatto e non perdere le buone intenzioni: se queste due condizioni vengono meno, allora condividerei questo inutile malessere coi miei compagni. Ormai è finito il tempo delle strategie di Stalin di considerare i socialisti e i socialdemocratici dei "socialfascisti"(strategia che fece perdere la guerra civile spagnola, come ci insegna la storia). Visto che si ha un obiettivo comune, facciamo qualcosa in comune. Poi con questa opearazione si cerca anche d’altro canto di strappare voti non solo al Prc ma anche ai DS per non fare la stessa fine di Prc, di arrabbattarsi quel misero 6%. E poi tutti sbagliamo perché siamo comunque uomini, andarsene poi non gioverà e quindi contestiamo al voto le decisioni che non condividiamo. I problemi riguardanti le realtà locali devono essere risolti in sede locale dai capigruppo,e poi sento parlare di partito allo sbando (e poi OK Tober parla al condizionale, non vorrei che il suo intento sia di sabotare il mio partito e sarebbe male, ci vuole unità, non scontro come ho accennato, soprattutto tra compagni, capito OK Tober?), ma i voti sono aumentati nelle varie campagne elettorali, e quindi questa strategia giudicata insensata dai miei compagni funziona. Quindi vi richiamo a un appello: APRITEVI MENTALMENTE e per il momento SEGUIAMO QUESTA STRATEGIA, intesi?

  • "Solo per precisare che gli atti dell’ultimo comitato centrale del PdCI sono stati pubblicati (come avviene in occasione di tutti i comitati centrali) sui numeri de La Rinascita della Sinistra (settimanale reperibile in qualsiasi edicola) del 22 e del 29 luglio scorso. Il dibattito nel partito, che ha visto numerosi interventi più o meno critici nei confronti e delle posizioni di Diliberto e di quelle di Cossutta, è stato dunque, come sempre, pubblico e a nessuno è stato vietato di dire alcunchè, come testimoniano i resoconti stampa. Poi la linea politica del PdCI può essere legittimamente criticata da chiunque, però almeno un minimo di correttezza nell’informazione ci vuole."

  • “Vorrei, per cominciare, provare a chiarire a Ok Tober il significato dell’espressione "centralismo democratico". Egli scrive: "Viste le regole interne del PdCI che negano qualsiasi garanzia democratica ai militanti ecc..." e poi che "lo statuto del Partito vieta a chi non condivide la politica del Segretario e del Presidente di far conoscere le proprie opinioni", dando un’interpretazione del tutto errata di questo particolare meccanismo decisionale, che è stato assunto da tutti i partiti socialisti e comunisti e poi superato, nel caso italiano, da PRC e DS, figli del PCI, insieme con il PdCI. E’ un meccanismo per cui ogni militante è libero di proporre all’interno delle sedi decisionali del partito, liberamente, la propria opinione, in merito a qualsiasi questione. Dopodichè, a maggioranza, viene presa una decisione. Solo a questo punto la decisione diviene vincolante per il militante (il quale, non si dimentichi, è libero di stracciare la tessera quando vuole!)
    Vorrei chiedere all’autore dell’articolo se ritiene che uno Stato nazionale il cui parlamento prende a maggioranza una decisione vincolante per i propri cittadini (che hanno eletto quegli stessi deputati) sia uno Stato che "nega qualsiasi garanzia democratica" ai cittadini. A me pare, francamente, di no.
    Non mi soffermo sulla pubblicità degli atti del comitato centrale (altro elemento democratico) poichè già un’altra risposta a questo articolo ha smantellato la tesi della dell’autore sulla segretezza (o quasi) di questi, che invece sono stati regolarmente pubblicati sul settimanale del partito.
    Nel merito: la lista arcobaleno non è un traguardo. E’ lo sparo dello starter. La lista risponde certamente ad esigenze elettorali. E la scelta tattica di presentare questa lista, nella quale saranno riconoscibili i simboli dei partiti che la compongono, serve certamente a scavalcare la soglia di sbarramento del 4% fissata dalla legge elettorale. Perchè un partito deve buttare a mare un milione di voti destinandoli alla ripartizione? Ma non basta. Anch’io sarei scettico se tutto si riducesse a questo. Ma così non è.
    La tattica si inscrive nella strategia e negli obiettivi di lungo periodo che il PdCI si è dato: l’unità della sinistra, attraverso una confederazione dei partiti che compongono la vera sinistra, che accolga anche tutto quello che di buono si muove nella società civile.
    PdCI, PRC, Verdi e Sinistra DS votano da anni nello stesso modo in parlamento, con poche eccezioni. Allora si capisce come la lista arcobaleno voglia rispondere alla domanda di unità che viene dal popolo della vera Sinistra, ed essere l’incubatrice della nuova unità della sinistra di trasformazione, non un mero cartello elettorale.
    Infine le primarie. Democrazia diretta? "Ma mi faccia il piacere" direbbe il Principe De Curtis!
    L’Unione ha bisogno di elaborare una proposta politica, non la faccia del candidato, all’ultima moda a stelle e strisce! Le primarie non fanno che accrescere la già preoccupante personalizzazione e spettacolarizzazione della politica, minando le fondamenta della democrazia rappresentativa, che ha fatto del partito politico di stampo novecentesco un’importante strumento democratico di selezione della classe dirigente, e lasciando il campo libero a tanti futuri piccoli berlusconi con le loro clientele e iloro gruppi di pressione.
    E se poi indebolissero Prodi (che comunque le vincerà) invece di stabilizzare e rafforzare la sua leadership? E’ conveniente per la stabilità della coalizione?
    Compagni: perchè per una volta, anzichè darci le bastonate sui genitali come Tafazzi non proviamo a lavorare insieme per l’unità della sinistra vera e a portare la rotta della coalizione verso più rossi lidi?”

    Django

    • Nel mio articolo sul PdCI ho sostenuto che all’interno di questo partito sta emergendo un’area di dissenso sulla proposta di lista unitaria con i Verdi (la cosiddetta “bicicletta”). Riferivo che ero arrivato a questa conclusione sulla base delle informazioni incomplete che avevo a disposizione (e tratte, aggiungo ora, da diversi siti internet del PdCI). Mi viene precisato che gli interventi nel Comitato Centrale sono stati riportati sul settimanale del PdCI, “La Rinascita della sinistra”. Siccome questo giornale non arriva nelle edicole che sono abitualmente alla mia portata, non ho potuto consultarlo. Mi pare un dettaglio marginale ma ne prendo comunque atto.

      D’altra parte lo stesso messaggio inviato a commento del mio articolo, che ha il tono di una certa ufficialità pur non essendo firmato, precisa che il dibattito “ha visto numerosi interventi critici” nei confronti di Diliberto e Cossutta. Mi pare quindi che l‘informazione fornita dall’articolo (“non a tutti piace la “bicicletta” di Diliberto”) sia pienamente confermata.

      Così come è incontestabile che lo statuto del PdCI ponga dei vincoli molto forti alla possibilità di espressione di un vero dibattito democratico. Basti leggere quanto previsto dall’articolo 9 che regola la vita interna del partito. Le opinioni dell’iscritto sono autorizzate se restano fatto “individuale” ma è vietata “la formazione di correnti o altri gruppi organizzati”. Inoltre, per chi non condivida le decisioni assunte dagli organismi dirigenti “è fatto espresso divieto di rappresentare all’esterno posizioni politiche difformi”. Queste due norme unite alla mancanza di qualsiasi prescrizione positiva sulla possibilità di sottoporre posizioni alternative in sede congressuale o di garantire la rappresentanza di posizioni diverse negli organismi dirigenti, costituiscono armi formidabili nelle mani del gruppo dirigente di qualsiasi partito. Nel caso specifico della diarchia Cossutta- Diliberto, almeno fino a quando non si dovesse aprire un conflitto fra i due.

      L’esperienza storica dimostra che questo tipo di struttura, che cerca di garantire il controllo dall’alto, non determina in realtà l’assenza di correnti, ma la legittimità di una sola corrente: quella del vertice del partito. A fronte di questa l’iscritto non dispone di alcuno strumento reale di proposta e di scelta.

      I numerosi riferimenti contenuti nell’intervento di Diliberto al Comitato Centrale allo stato della dialettica interna del partito (voci, conflitti, correntismo occulto, permanente intervento della Commissione di Garanzia) ci dicono anche qualcos’altro. Strutture organizzative molto più aperte alla dialettica democratica, come il PRC o i DS, soffrono di altri pericoli, come un eccesso di conflittualità, o la rigidità e ripetitività del dibattito interno. Ma la strada scelta dal PdCI esprime comunque tutta una serie di elementi degenerativi della vita interna, senza offrire i benefici derivanti da maggiore libertà e democrazia.

      L’amico “Django” nel suo messaggio difende questa struttura paragonandola a quella di un parlamento che prende a maggioranza una decisione vincolante per i propri cittadini. Ma se vuole dare coerenza al proprio ragionamento dovrebbe ipotizzare che quel parlamento introduca le norme inserite nello statuto del PdCI e preveda che i “cittadini non possano formare gruppi organizzati” e “non possano esprimere pubblicamente il proprio dissenso su una decisione presa a maggioranza da parlamento stesso”. Ritiene che in questo caso si possa ancora parlare di democrazia?

      Personalmente penso che lo statuto del PdCI, e la sua struttura materiale per quanto è possibile conoscerla, derivi da una concezione burocratico-autoritaria della politica e del partito. C’è sicuramente qualcuno a cui piace questa roba, il sottoscritto non è fra quelli.

      Questo ragionamento mi collega all’altro tema che ho toccato nel mio articolo e che voglio riprendere: il carattere strumentale della cosiddetta “lista arcobaleno”. Premetto che ritengo del tutto ragionevole e di buon senso cercare di unire liste che hanno notevoli probabilità di non raggiungere il quorum e con questo evitare di disperdere di voti. Sono anche del tutto scevro da moralismo nel ritenere che una forza politica possa cercare di pescare voti dove può, e se piccola abbia inevitabilmente un proprio istinto di sopravvivenza che la guida.

      Cerco però di capire qual è il fondamento politico di una strategia e quale la sua coerenza interna e sollevo tre interrogativi:

      1) Come si concilia la visione “burocratico-autoritaria” che emerge dallo statuto e dalla prassi del PdCI con l’improvvisa scoperta dei movimenti, scoperta che a me pare esclusivamente finalizzata a dare più apparenza che sostanza alla lista citata? I movimenti hanno espresso esattamente una cultura opposta della politica: valorizzazione dell’iniziativa dal basso, costruzione di relazioni a rete, contaminazione delle idee e dei valori, ecc. ecc.. Mi sembra che nulla di tutto questo sia presente nell’elaborazione del PdCI.

      2) Se ho capito bene le cose sostenute da vari anni dal PdCI, il suo obbiettivo è quello di costituire una confederazione della sinistra. Questa proposta, si badi bene, è stata rivolta innanzitutto ai DS, partendo da due premesse: 1) che non si deve parlare, come ha fatto Rifondazione Comunista, di due sinistre, una alternativa e una riformista; 2) che il PdCI, come ha sottolineato con molta forza Diliberto nell’ultimo congresso del suo partito, non si considera parte della sinistra alternativa o radicale, ma della sinistra di governo. Come si concilia la “tattica” della lista arcobaleno con quella “strategia”?

      3) Nel mio articolo facevo riferimento a come il segretario del PdCI possa sostenere una posizione e il suo esatto opposto, sulla base della convenienza politica del momento. Ho citato un esempio relativo alla lista “dei professori” di Firenze, ma ne posso portare un altro. C’è un intervista ufficiale di Diliberto del 2002, (redatta dalla sua portavoce Mauela Palermi), a proposito di liste unitarie che riporto:

      “Si discusse molto in Direzione sulla scelta se andare o no da soli alle elezioni. Tu eri particolarmente convinto della scelta di andare con nostre liste, con il nostro simbolo. E’ una scelta che rifaresti? E che è successo dove si è fatto un accordo con altri partiti?
      Certo che la rifarei. La scelta di andare alle elezioni da soli, con il nostro simbolo, in tutte le dieci province, era giusta ed è stata premiata. Mentre dove abbiamo sperimentato liste "bicicletta" o "triciclo" non abbiamo ottenuto un buon risultato. E’ andata male laddove ci siamo alleati con Di Pietro. L’elettorato non vi si è riconosciuto. Banalmente, ma con una buona dose di verità, va detto che l’elettorato di Di Pietro è sostanzialmente conservatore mentre il nostro è, in tutta evidenza, comunista. Ma non è andata bene neanche laddove ci siamo alleati con i Verdi. Perché evidentemente chi è comunista, chi dà fiducia ai comunisti, vuole votare comunista tout court. Si tratta di culture - la nostra, quella di Di Pietro, quella dei Verdi - difficilmente conciliabili. Naturalmente con eccezioni. Con i Verdi va male a Cuneo e meglio in altri posti. La verità che ci consegna questo voto è che noi avanziamo in maniera significativa laddove ci presentiamo con il nostro simbolo.

      “Culture difficilmente conciliabili” diceva solo pochi anni fa. Capisco che anche all’interno del PdCI qualcuno faccia fatica a seguire questi tatticismi.

      Ok. Tober

      P.S. Tanto per la precisione. La politica del “socialfascismo” fu una sciagura per il movimento comunista e per tutte le forze democratiche, e per certi versi persino un crimine. Ma quando scoppiò la guerra civile in Spagna, i partiti comunisti seguivano la strategia dei “fronti popolari” che era, per certi versi, l’esatto contrario della teoria del “socialfascismo”. Ma questa è tutta un’altra storia.

    • Sono un iscritto di base del Pdci.
      Raramente ho letto tanta faziosità e falsità sul conto del mio partito. Parlando di tatticismo senza principi, credo ognuno di noi dovrebbe andare a scuola Bertinotti, il quale per ottenere visibilità al suo partito adotta uno strumento leaderistico e personalistico come le primarie, danneggiando le masse popolari e le loro istanze (che nello scontro con il programma moderato di Prodi verrebbero irrimediabilmente sconfitte). Per tacere di un’improbabile scontro Bertinotti-Berlusconi...c’è veramente chi crede che gli "alleati" di centro voterebbero per Fausto? Credere ciò significa davvero essere degli analfabeti della politica. E se per assurdo Fausto, che non ha nemmeno la sensibilità di fare sintesi nel suo partito, diventasse presidente del consiglio, quanto durerebbe il suo governo? Una settimana? Due?
      Quanto alla democrazia interna, chiederei ai compagni di Rifondazione di andare a vedere cos’è successo al loro ultimo congresso, nel quale il buon Fausto ha invitato senza tanti complimenti mezzo partito ad andarsene se non condivide la sua linea! Alla faccia del ripudio dello stalinismo!
      Sarebbe opportuno poi chiarire che nel Pdci non esiste alcuno scontro interno tra segretario e presidente. Vi sono delle legittime posizioni difformi da alcune scelte della segreteria, come è doveroso sia; del resto, come è costume in un partito comunista, il segretario ha cercato la massima sintesi possibile, e gli iscritti, in base al principio del centralismo democratico, accettano la decisione di maggioranza.
      Inoltre vorrei chiarire ulteriormente il significato del centralismo democratico.
      Si tratta della massima sintesi tra centralismo e democrazia.
      In tutte le sedi opportune (attivi degli iscritti di sezione; comitati federali, regionali, centrale; congressi di sezione, federale, regionale, nazionale) ogni compagno/a ha la facoltà di esprimere la propria opinione, di contribuire alla costruzione della linea politica, di lottare contro le posizioni che ritiene errate, ecc. Una volta presa una posizione (se possibile, attraverso una sintesi; se le distanze sono inconciliabili, attraverso il voto) essa è vincolante per tutti.
      L’accettazione del centralismo democratico essendo una grande prova di maturità politica (il saper fare propria anche una posizione non condivisa) deve essere parte integrante del DNA dei Comunisti. La salvaguardia dell’unità del partito, e quindi la proibizione di manifestare all’esterno posizioni difformi, è un bene prezioso, che caratterizza e distingue un Partito Comunista.
      Permettere le correnti significa permettere che ognuno faccia e dica quello che vuole, significa sancire la morte del Partito come intellettuale collettivo, come organo coeso e organizzato.

    • Se il vecchio Pci avesse ragionato in questo modo, Cossutta sarebbe stato espulso almeno cinque anni prima dello scioglimento.

      Non e’ che io sia un fan di Bertinotti, tutt’altro, e chi frequenta questo sito la sa bene.

      Ma certo sentire ripetere questa solfa sul centralismo democratico e sull’ unita’ del partito da difendere ad ogni costo mi sembra cosa vecchia come il cucco, lontanissima da ogni punto di vista da quanto maturato nel movimento di questi anni a partire da Seattle e Genova e soprattutto lontanissima dalla realta’ sociale italiana.

      Poi personalmente ho anche qualche simpatia personale per la cosiddetta "bicicletta" o per l’ idea della "lista arcobaleno".

      Ma certo se sono queste le premesse, se esiste ancora un’ idea cosi’ totalizzante del partito, ogni apertura all’ esterno o "movimentista" apparirebbe come un espediente tattico per superare il fatidico 4% al proporzionale e nulla di piu’.

      E quindi una operazione meramente "politicista" di cui non si sente proprio il bisogno.

      Keoma

    • Sul primo punto hai ragione. Probabilmente Cossutta sarebbe stato espulso. Ma credo tra lui e Berlinguer ci fosse una sorta di gioco delle parti, se Cossutta fosse stato espulso avrebbe portato con sè una buona fetta di filosovietici.

      Detto questo, cerca di capire le nostre ragioni come noi ci sforziamo di capire quelle degli altri.
      Per noi, che siamo un partito piccolo, è fondamentale tenere assieme tutto il Partito. Non possiamo permetterci, come ad esempio accade in Rifondazione, che la parte maggioritaria del PRC sostenga una giunta di centrosx e quelli della minoranza vadano a volantinare contro il loro stesso partito.
      Capisco benissimo che la scelta del centralismo democratico possa apparire totalizzante, una limitazione della libertà individuale: e in qualche modo lo è, si tratta della limitazione della libertà di poter continuare a fare e dire ciò che si vuole una volta che una decisione è stata presa. Ovviamente esso vale per questioni rilevanti.
      Tutti i compagni/e accettano coscientemente il centralismo democratico.
      Poi tu dici di essere stanco della solita solfa, cosa vecchia e distante dai movimenti.
      Certamente. Ma noi non abbiamo mai inseguito strumentalmente alcun movimentismo. Siamo comunisti, comunisti vecchio stampo se vuoi, siamo dispostissimi a confrontarci con i movimenti, ma nel rispetto dell’autonomia di ciascuno.
      Riguardo alla lista arcobaleno, essa potrebbe essere il primo passo di quella Confederazione della sinistra che abbiamo proposto fin dal II Congresso a Bellaria (dicembre 2001). Un obiettivo strategico, che perseguiamo da tempo. Saremmo ben disposti a subordinare la nostra identità di comunisti (Marx, Lenin, Gramsci) ad una confederazione che riunisca la sinistra su alcuni temi caratterizzanti, che non sto ad elencare.
      Il problema del 4% è un problema oggettivo, riguarda noi come i Verdi. Sinceramente non ho molta voglia di andare in giro a sentirmi dire che votare per noi è un voto buttato via.
      Ma se non facciamo questa lista, che ritengo l’embrione di un progetto strategico, allora il voto al PdCI sarebbe un voto oggettivamente inutile. Non a caso Rifondazione tenta in tutti i modi di sabotare la lista arcobaleno. Se non è politicismo questo...

      saluti comunisti

    • E infatti anche l’ impostazione di Rifondazione mi sembra "politicista".

      Pero’ sicuramente meno slegata dalla realta’ sociale e dai movimenti reali che la attraversano.

      Francamente, se ancora avevo qualche dubbio, credo proprio che, in assenza di una "lista arcobaleno" che non sia la somma algebrica di Pdci + Verdi e di fronte a posizioni come le tue ( che credo siano veramente rappresentative della cultura retro’ del Pdci ) il mio voterello alle primarie e poi alle elezioni politiche, continuero’ a darlo a Rifondazione.

      Pur con tutti i suoi limiti oggettivi.

      Keoma

    • Il mio articolo sta suscitando un certo numero di reazioni tra iscritti o simpatizzanti del PdCI che trovo interessanti e che sollevano temi sui quali varrà la pena di tornare.

      Ma qualche risposta vorrei darla subito. Lascio stare le accuse di aver scritto falsità che mi rivolge un iscritto di base del PdCI, dato che non specifica di quali falsità si tratti.

      Nei miei interventi ho sollevato alcune incongruenze nelle posizioni di Diliberto per cercare di rispondere ad un interrogativo che mi sembra interessante: la cosiddetta lista Arcobaleno è solo una operazione tattica legata al problema della soglia elettorale del 4% o è qualcosa di più?

      Quando “l’iscritto di base del PdCI” scrive, riprendendo un argomento ampiamente usato dal suo partito, che la lista arcobaleno può essere il primo passo verso la “Confederazione della sinistra” proposta al Congresso di Bellaria del 2001 non scioglie il nodo. Una dichiarazione di Diliberto del 2004 dice: “Tre anni fa proponemmo a DS e PRC una confederazione della sinistra”. E’ del tutto evidente che prevedere di costruire un soggetto politico, come può essere una Confederazione, che comprenda in toto il partito dei DS (Fassino, D’Alema, ecc.), vuol dire avere una prospettiva politica del tutto diversa da quella di porre la basi per una sinistra alternativa che competa, se possibile in un quadro di collaborazione più ampio come è “L’Unione”, con la sinistra moderata.

      Un altro elemento che emerge in qualche intervento di militanti del PdCI è una elevata dose di quella che chiamerei “Bertinotti-fobia”. Faccio due esempi, che mi derivano da alcuni commenti al mio articolo.

      Si contrappone un Bertinotti leader che alimenta divisioni, ad un Cossutta che persegue la sintesi. Rifondazione Comunista è stata attraversata da conflitti fin dalla sua fondazione. Nella sua storia ci sono state quattro rotture significative: con il primo segretario Garavini sulla gestione del partito, con i Comunisti unitari sul sostegno a Dini, con il gruppo di estrema sinistra di Bacciardi sul sostegno a Prodi, e poi con la formazione del PdCI.

      Nel primo caso Bertinotti non era ancora in Rifondazione e il protagonista dello scontro è stato Cossutta, nel secondo e nel terzo caso la rottura è avvenuta in seguito a scelte politiche pienamente condivise da Cossutta e Bertinotti. In sintesi tre scissioni sono avvenute con Cossutta presidente, la quarta e più grave è stata messa in atto da Cossutta presidente. Dopo la rottura che ha dato vita al PdCI non ci sono state altre scissioni in Rifondazione Comunista anche se è un partito che vive in uno stato di permanente conflittualità. Il PdCI non ha subito scissioni ma ha perso per strada figure importanti che avevano partecipato alla sua fondazione come la Salvato, Nesi e Manisco. Non basta parlare di sintesi perché la sintesi ci sia davvero.

      Un sintomo di “Bertinotti-fobia” è anche la polemica che si fa sulle primarie. Chi ha voluto le primarie è stato Prodi, non Rifondazione Comunista (della vicenda fa un ottima ricostruzione Notarnicola su Aprile OnLine http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=6001&numero=’3’ ). Chi pensa che siano una pagliacciata dovrebbe rivolgersi quindi ad altro indirizzo. L’alternativa era se farle con un solo candidato o con più candidati. L’interrogativo a cui dovrebbero rispondere i critici delle primarie è questo: ritengono che se si fossero fatte con la sola candidatura di Prodi sarebbero state una cosa più seria e democratica? Se rispondono di sì, allora possono polemizzare fondatamente con il segretario di Rifondazione.

      Un’ultima osservazione. Io non ho sostenuto che ci sia una divisione tra Cossutta e Diliberto. Ho rilevato, sulla base della discussione del Comitato Centrale di luglio del PdCI, che mi sembra di percepire una differenza di toni fra le argomentazioni portate in favore della lista arcobaleno fra i due diarchi. Il punto politicamente interessante è che all’interno dello stesso partito molti pensano che questa divisione vi sia. Cito dall’intervento di Diliberto al Comitato Centrale dell’ottobre scorso: “A scanso di equivoci, lo dico per la centunesima volta e spero non ce ne sia più bisogno: l’intesa politica e gestionale tra me e il presidente del partito è totale, e se qualcuno dei territori si azzarda ancora a dire "sto con Diliberto, sto con Cossutta", non sarò più tollerante. I gruppi dirigenti locali devono stroncare questi fenomeni.” Non so come siano stati concretamente stroncati questi fenomeni, ma nel Comitato Centrale di luglio Diliberto ritorna sullo stesso problema: “Vedete, compagne e compagni, tra me e Cossutta non c’è nessun problema. Armando sa che in presenza di una divergenza di opinione, bastano due minuti: ci vediamo nella sua stanza e tutto si risolve. Il problema è un altro, e lo ha detto Frosini. Il problema è chi usa il suo nome, a ricaduta dal centro sino nei territori, indossando una casacca che si ritorce contro il Presidente. Questo, non altro, è il malcostume che va contrastato.” E’ evidente che si tratta di un fenomeno significativo e persistente e che segnala un malessere che nessuna cappa di piombo statutaria può cancellare.

      Ok. Tober