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Fausto Bertinotti : «Il pericolo è l’egemonia neocentrista»

Publie le sabato 27 agosto 2005 par Open-Publishing

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«Le primarie colmano un vuoto e possono essere un grimaldello contro il maggioritario. La proliferazione di candidature a sinistra segnala un problema nei rapporti tra noi e parte del movimento». Parla Fausto Bertinotti

di ANDREA COLOMBO, ROMA

In un’intervista uscita due giorni fa sulla Stampa Fausto Bertinotti, il principale sfidante di Prodi nelle primarie, assicurava di vedere nella proliferazione di candidature provenienti dalla sinistra radicale solo un positivo segno di partecipazione diffusa.

Bertinotti, la partecipazione va benissimo, ma tante candidature della sinistra radicale non segnalano anche una pericolosa rivalità in quell’area?

Di rivalità non parlerei. Io come persona, anzi come compagno, ho sempre fatto molte cose con le persone di cui si è parlato - sia chi come Gino Strada ha spiegato la sua scelta di non partecipare alle primarie, sia chi, come don Gallo, è ancora incerto. C’è sempre stata amicizia. Di certo però questa vicenda mette in luce l’esistenza di un problema irrisolto tra una certa area del movimento e il Prc. Nonostante i tanti dibattiti che abbiamo fatto sul tema del rapporto tra partiti e movimento, c’è evidentemente un difetto di confronto.

Hai detto che quella parte del movimento, per dirla chiaramente i disobbedienti del nord-est, sembra avere con Rifondazione un rapporto da partito a partito. Perché?

Perché la loro presenza nel movimento ha una tipica modalità da partito: dal perseguimento di un progetto alla ricerca di alleanze. Sia chiaro, si tratta di una modalità rispettabilissima e anche interessante. Però segnala la presenza di una questione complessa.

Anche Rifondazione, d’altra parte, è interna ai movimenti pur essendo un partito...

Il Prc ha elaborato con i movimenti un rapporto che li sceglie e individua come espressione di una possibile rifondazione della politica. Dunque cancella il modello secondo cui i movimenti portano il testimone sino a un certo punto e poi devono passarlo al partito, in nome della logica della rappresentanza.

Torniamo alle primarie. La presentazione di una candidatura unica della sinistra radicale non avrebbe rafforzato il peso di quest’ultima nel rapporto con Prodi e l’ala moderata della coalizione?

Assolutamente no. Una simile modalità avrebbe avuto effetti distruttivi sui metodi e sulle culture politiche necessarie per un rinnovamento della sinistra radicale.

E perché mai?

Perché sarebbe stato un tentativo di mutuare le forme della politica in crisi: affidare tutto agli accordi tra stati maggiori, raggiunti attraverso un patteggiamento che inesorabilmente finisce per sostituire il processo politico.

Così metti in forse il dogma eterno della sinistra italiana: il primato dell’unità a tutti i costi...

Esattamente. L’unità a tutti i costi è in qualche modo il sovrano della politica. Bisogna rompere questo schema per fare del nesso con i conflitti e con i rapporti sociali il nuovo sovrano, e costruire su questa base il nuovo soggetto politico. Bisogna sostituire a questa idea dell’Unità maiuscola, la ricerca di forme unitarie mature e necessarie.

Cosa significa nel concreto?

Ad esempio significa ricercare l’unità nella rappresentanza politica, per costruire o un’opposizione più efficace o l’alternativa. Un processo unitario di questo tipo è guidato da progetti circoscritti. Oggi in Italia, battere Berlusconi. Un’unità di questo tipo io la definirei «unità di scopo», perché al di fuori del suo scopo specifico non ha ragioni di esistere. Poi c’è un secondo modello di unità, che invece è strategico e persegue un obiettivo non transitorio ma di medio-lungo periodo: la costruzione di una soggettività politica e sociale che si pone l’obiettivo della trasformazione della società capitalista per come si dà nel nostro tempo.

Perché sia necessaria l’unità tra forze diverse nel primo caso è chiaro. Ma perché parli di processo unitario anche per quel che riguarda la creazione di un soggetto politico antagonista?

Per tre ragioni: la prima è che il soggetto sociale del cambiamento è esso stesso da ricostruire, non è più dato come in passato: quello di classe operaia, oggi, è un concetto complesso. La seconda è che sul terreno della politica si sono determinate soggettività critiche della globalizzazione diverse dagli «eredi» del movimento operaio e comunista ma non meno importanti, ad esempio il femminismo. La terza ragione è che il primo movimento post-novecentesco, il «movimento dei movimenti» secondo me è destinato a cambiare la politica. E in quel movimento sono emersi soggetti e culture portatori di punti di vista diversi da quelli classici ma con una fortissima domanda di politicità.

Capisco l’unità finalizzata solo a sconfiggere Berlusconi. Poi però bisognerà governare. Hai messo all’odg la cancellazione della legge 30, della Bossi-Fini e della riforma Moratti. Ti sembrano obiettivi raggiungibili?

Ma sì.

Anche l’eliminazione della legge 30?

Negli ultimi tempi sono maturate parecchie cose. Il miraggio di una pattuizione tra l’accettazione della flessibilità e un nuovo riconoscimento del valore del lavoro è fallito miseramente. Si è visto che il solo risultato dell’accettazione della flessibilità è la precarietà, e questo ha provocato parecchi ripensamenti anche nell’area moderata. Il lavoro svolto insieme nell’Unione, in particolare nel tavolo sul lavoro, non ha ancora raggiunto una posizione definitiva sulla legge 30, però ha già fissato la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato, ed è senz’altro un grosso passo avanti. Certo, si parla di una battaglia politica, nella quale anche le primarie avranno il loro peso.

Sulle quali, nella sinistra radicale, permangono fortissime perplessità...

Lo so, ma credo che si debba sgombrare il campo da ogni pregiudiziale e verificare strada facendo. Se le primarie portano a un aumento della partecipazione, allora bisogna prendere atto del fatto che, in questa realtà, colmano un vuoto e offrono un’occasione.

Non sarebbe stato opportuno accompagnare al pronunciamento sui candidati anche quello sul programma?

No. In un referendum sul programma che passasse anche per le persone, si determinerebbe un effetto di trascinamento dall’alto verso il basso, dal candidato ai programmi. Gli elettori voterebbero per Prodi, non per il programma. Passerebbe l’equazione Prodi uguale riformisti, inclusi quelli che alle primarie non si presentano. Il risultato sarebbe fare un regalo a questi ultimi e perdipiù forzare la visione di Prodi, che non coincide con la loro.

Le primarie sono un’occasione anche per rimettere in discussione il maggioritario?

Possono essere un grimaldello. Le primarie si collocano sul limite estremo di un maggioritario già nei guai, lo spingono sul terreno che tende a evitare, quello della partecipazione. Introducono quello che il maggioritario voleva espellere.

Ma l’attacco al maggioritario agevola i progetti neocentisti?

Se con il bipolarismo si è condannati ad alleanze difficili e faticose e senza il bipolarismo c’è il pericolo centrista, forse bisognerebbe interrogarsi sul rapporto con la società. Forse il problema è lì, non nei modelli elettorali.

A proposito di neocentrismo, cosa pensi del dialogo intrecciato a Rimini da Rutelli e Formigoni?

Secondo me bisogna evitare di attribuire a Rutelli quel che non pensa distogliendo così l’attenzione dalla minaccia reale. In altri termini bisogna evitare che la paura di un partito neocentrista offra un alibi al centrismo reale. Nel breve periodo, di qui alle elezioni, il rischio di un partito neocentrista non c’è. Il problema è invece l’egemonia neocentrista. Anche perché, mentre fino al 2001 questo processo neocentrista faceva perno sulla Cdl, adesso, maturando l’alternanza, si sposta verso le forze interne all’Unione. Poteri come Confindustria investono sulle forze neocentriste dell’Unione.

Questa la diagnosi. E il rimedio?

Per battere l’ipotesi centrista non basta il pur necessario confronto sui programmi. Bisogna costruire un progetto di società diversa, dando vita a una forza non minoritaria, dotata di di soggettività politica, una forza plurale ma con una comune idea di società.

E quali forme dovrebbe assumere questo soggetto?

Forme che oggi ancora non immaginiamo. Ma certamente diverse da quella del partito unico.

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